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martedì 15 dicembre 2015

America latina: i diritti negati. Che cosa fare?



di Mayra Landaverde



In questi giorni di cortei, presidi e riunioni ho notato che tanti compagni si chiedono se davanti a tutte queste tragedie sia davvero utile continuare nella lotta. La lotta contro il razzismo, la corruzione, l'indifferenza ecc.

I risultati sono spesso scarsi o nulli. La stanchezza si fa molto presente fra noi.

Ieri, durante un corso, una partecipante ha chiesto al relatore cosa fare.

Sì, cosa fare? Andare in manifestazione? Realizzare uno striscione? Fare uno sciopero della fame? Incatenarsi davanti a qualche palazzo istituzionale?

Io non credo che nessun attivista o nessun docente abbia una risposta concreta.

E anche a me viene una stanchezza terribile quando vedo al nostro presidio per i nuovi desaparecidos - ogni giovedì - la gente che passa e non si ferma, non ci guarda e tante volte non accetta nemmeno il nostro volantino.

Sono tutti impegnati a faregli acquisti di Natale.

Come potrebbero essere interessati a dei ragazzi che ormai sono morti e sepolti in fondo al Mediterraneo? A chi potrebbe mai interessare la sorte di migliaia di centroamericani dispersi da qualche parte in Messico? Chi vorrebbe mai sapere di tutti i messicani che muoiono abbandonati nel deserto o annegati nel Río Bravo per attraversare la frontiera con gli Stati Uniti?

Non interessa a nessuno. Perché non li vedono. Perché sono numeri, cifre da telegiornale. Statistiche.

Allora, chiedono i compagni. Che cosa fare?

Facciamoglieli vedere. Proprio davanti ai loro occhi. Portiamoli qui nel centro città.

Il 25 aprile scorso , come Rete per i Nuovi Desaparecidos, abbiamo deciso di creare cartelli con le foto dei ragazzi algerini e tunisini dispersi nel Mediterraneo. Poche volte nella mia vita mi sono commossa in questo modo. La gente ha cominciato ad applaudire mentre noi camminavano in silenzio con i cartelli e quei volti appesi al collo , volti di persone di cui non si sa più nulla da anni.

Sono spariti, sono desaparecidos.

Noi li stiamo cercando! Vogliamo sapere dove sono. Non li portiamo per fare qualsiasi cosa.

Li portiamo perché le loro famiglie li cercano ma non possono essere qui. Perché ci hanno affidato questo grandissimo impegno e noi lo abbiamo accettato. Io l'ho accettato perché sono madre e non riesco nemmeno a immaginare la disperazione del non sapere dove sia finito mio figlio.

Che cosa fare chiedono i compagni.

Bene, prendete una di queste foto e cercateli con noi.

Ieri, 14 dicembre 2015, giornata importante a Milano, mentre si ricordava la strage di Piazza Fontana, abbiamo deciso di continuare ancora col nostro presidio, ma non da soli. Ora ci sono anche Torino, Palermo e Roma. E la stanchezza si sente già meno.

Facciamoci contagiare dai movimenti dell'America Latina. Noi siamo stanchi, ormai è da giugno che organizziamo questo presidio.

La carovana di madri centroamericane in cerca dei loro figli e figlie dispersi in Messico lo fanno da 11 anni. Saranno stanche anche loro, certo.

Ma stanno cercando i loro cari e vanno avanti, nessuno le ferma, neanche il governo messicano che ci ha provato in tutti i modi, negando il loro ingresso nel paese. Nessuno le ha fermate. Nemmeno quando trovano i propri figli. Emeteria Martínez cercò per 21 anni sua figlia. E continuò ad accompagnare le altre mamme anche dopo aver trovato la figlia.

Questo movimento ha trovato finora 200 persone e soltanto quest'anno ne sono già stati ritrovati altri quattro.

Ecco cosa fare.

Facciamoci contagiare da loro, dalla loro inesauribile voglia di cambiare il mondo.


giovedì 10 settembre 2015

Partecipiamo al presidio per dire BASTA alle STRAGI nel MEDITERRANEO !



L'Associazione per i Diritti Umani ha partecipato al presidio che, ogni giovedì, si tiene a Milano, in Piazza della Scala, a partire dalle ore 18.30.

Il presidio, organizzato da MilanoSenzaFrontiere, ha lo scopo di far riflettere su ciò che sta accadendo in Europa e nel mondo; di aprire le coscienze a nuove forme di accoglienza; di far capire ai politici quali sono le conseguenze di leggi e disposizioni errate; di dare dignità ai corpi delle persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo; di stare vicini, anche solo virtualmente, alle famiglie delle vittime e dei dispersi.

Di seguito pubblichiamo alcune fotografie del presidio, fatte dalla nostra associazione, e invitiamo tutti coloro che abitano a Milano a partecipare. Grazie.
 







martedì 18 agosto 2015

Kos, l’ultima frontiera del grande esodo


di R. Demopoulos   (da Il manifesto.it)



Estin­tori «spa­rati» sui migranti, per lo più siriani e afgani. Man­ga­nelli sguai­nati senza tanti com­pli­menti. Scene di puro panico intorno allo sta­dio, tra­sfor­mato in cen­tro d’identificazione.

A Kos (isola di 30 mila abi­tanti con­cen­trati nella capi­tale) ieri è esplosa la vio­lenza covata da set­ti­mane. La mic­cia era stata inne­scata da un epi­so­dio acca­duto il giorno prima davanti al com­mis­sa­riato di poli­zia: un paki­stano minac­ciato e schiaf­feg­giato da un agente, subito sospeso. Ma la pres­sione ora è tale da far dire al sin­daco di Coo, Gior­gos Kyri­tsis, che «se non ver­ranno presi subito rimedi effi­caci, la situa­zione sfug­girà di mano e scor­rerà il san­gue». A mag­gior ragione, sull’onda delle cari­che allo sta­dio si è mate­ria­liz­zato il «rischio di una strage» (sem­pre parole del sin­daco) nel porto dove ormai sono ammas­sate non meno di 7 mila fra donne, uomini e bam­bini sbar­cati nell’isola. Inu­tili gli appelli lan­ciati verso Atene, per altro senza risorse, che ha invo­cato l’intervento dell’Ue.
Sta di fatto che l’Unhcr, agen­zia delle Nazioni Unite, defi­ni­sce dram­ma­tica la situa­zione: scorte di acqua e medi­ci­nali insuf­fi­cienti; acco­glienza ormai ai minimi ter­mini; richie­denti asilo bal­zati al più 750% rispetto ad un anno fa. Con­ferma To Vima online: con un ritmo di 6– 800 arrivi al giorno, le auto­rità locali non sono più in grado di reg­gere l’emergenza. Di qui la richie­sta di schie­rare le forze spe­ciali, prov­ve­dendo anche al tra­sfe­ri­mento della mag­gio­ranza dei migranti pre­senti. Ma ci sono due pro­blemi ora insor­mon­ta­bili: da una parte l’identificazione, visto ciò che è acca­duto ieri intorno allo sta­dio e dall’altra il pat­tu­glia­mento delle coste, a 23 chi­lo­me­tri dalla Tur­chia, dove i migranti arri­vano a bordo di pic­coli gommoni.

E la ten­sione cre­sce di giorno in giorno, al punto che si ripe­tono anche le risse fra gli stessi migranti. Soprav­vi­vono in tenda nei giar­dini pub­blici, nelle piaz­zette e ovun­que tro­vino riparo alter­na­tivo alla spiag­gia dove met­tono piede. Ieri era stato pre­di­spo­sto il tra­sfe­ri­mento allo sta­dio per pro­ce­dere con l’identificazione, ma circa 1.500 migranti accal­cati sono diven­tati inge­sti­bili. Di qui gli scon­tri, le man­ga­nel­late e gli estin­tori usati come «armi» nei con­fronti della folla. Insomma, Kos è dav­vero una bomba ad oro­lo­ge­ria già pronta a defla­gare con effetti impre­ve­di­bili. Il Dode­can­neso, del resto, si è rapi­da­mente tra­sfor­mato nella rotta d’accesso all’Europa. Da sabato scorso, il flusso dei migranti ha assunto dimen­sioni più che straor­di­na­rie: la guar­dia costiera greca ha dovuto inter­ve­nire a soc­cor­rere quasi 1.500 pro­fu­ghi a largo delle isole di Aga­tho­nisi, Lesbos, Samos, Chios e Kos. E da lunedì quella che già era un’emergenza si è tra­sfor­mata in una cata­strofe uma­ni­ta­ria, che potrebbe dila­gare in un’ecatombe in assenza dell’indispensabile «governo» del fenomeno.

Kos, dun­que, com’è stata Lam­pe­dusa in Ita­lia e com’è diven­tata Calais con l’Eurotunnel tappa dell’esodo verso la Gran Bre­ta­gna. E di nuovo si ascol­tano rac­conti iden­tici: migranti che pagano il «biglietto» della mafia turca che orga­nizza l’attraversamento del brac­cio di mare fino al Dode­can­neso. Gente che scappa dalla guerra civile che dila­nia la Siria e altri che si sono «incam­mi­nati» dall’Afghanistan, sce­gliendo l’itinerario via mare alter­na­tivo ai Bal­cani.
Nelle gior­nate dram­ma­ti­che, si segnala anche la vacanza in barca di una fami­glia ita­liana che di notte inter­viene per soc­cor­rere i migranti. Car­lotta Dazzi, marito e due figli si pro­di­gano senza sosta. Lei è abi­tuata, da volon­ta­ria, ai migranti che affol­lano il mez­za­nino della sta­zione di Milano Centrale.

Nell’ultimo week end, invece, con il resto della fami­glia ha garan­tito l’approdo ad una cin­quan­tina di pro­fu­ghi. Erano sugli sco­gli, senza distin­guere la spiag­gia dal mare. Sono state le urla ter­ro­riz­zate dei bam­bini a sve­gliare Car­lotta e la fami­glia che dor­mi­vano nella baia di Ormos Vathi. Gra­zie al loro aiuto, i migranti hanno potuto rag­giun­gere Pse­ri­mos e rifo­cil­larsi prima di capire dov’erano sbar­cati, rispetto a Kos che era la loro mèta.

«Sem­pre sabato, oltre ai siriani che abbiamo soc­corso, abbiamo visto una tren­tina di altri pro­fu­ghi che imma­gino fos­sero a bordo di altri gom­moni» rac­conta Car­lotta, «C’era chi aveva per­corso a piedi sen­tieri nell’isola per mezza gior­nata, prima di riu­scire ad orien­tarsi. Le loro testi­mo­nianze par­lano di un “viag­gio” comin­ciato a Bodrum, in Tur­chia. E rac­con­tano di aver dovuto pagare alla mafia turca 1.300 dol­lari a per­sona. È la cifra che si spende per un’intera vacanza in Grecia…».

venerdì 14 agosto 2015

Basta alle morti in mare, migrare è un diritto


 

Ieri, 13 agosto dalle 18,30 alle 19,30, come tutti i giovedì a Milano, il gruppo “Nuovi desaparecidos”, con altre associazioni, si è riunito Piazza della Scala per dire "basta alle morti in mare, che migrare è un diritto, che la politica deve liberare le frontiere e che l'umanità è una sola". “Dimensioni diverse” ci ha inviato il testo seguente:

E' uno scandalo … è colpa dei migranti?

Leggere i giornali, ascoltare le dichiarazioni, i dibattiti … tutto è ridotto a numeri, ad una questione economica: la crisi, il lavoro, la casa, …

Nessuno o quasi spiega le responsabilità delle politiche economiche e di dominio che hanno gli Stati e le multinazionali nell'aver depredato e nel depredare le ricchezze naturali, nell'aver pagato e nel pagare despoti, regimi e inscenato guerre per avere il potere.

è colpa dei migranti?

Nessuno o quasi parla di responsabilità di una esistenza fondata sull'esasperato consumismo che brucia milioni di tonnellate di rifiuti e che oggi ancora il governo italiano decide di costruire altri 12 inceneritori (che oltre a bruciare risorse genera danni all'ambiente e alla salute) ponendo un limite alla raccolta differenziata che oltre a recuperare ricchezza genera maggiore occupazione.

è colpa dei migranti?

Nessuno o quasi dice che la disoccupazione sta crescendo in tutta Europa (oltre 28 milioni i disoccupati) e che continuerà a crescere poiché le nuove tecnologie, l'automazione, non solo assorbono lavoro ma sviluppano una produzione sempre più elevata.

è colpa dei migranti?

Nessuno a quasi lamenta e denuncia l'enorme, l'assurda e profondamente ingiusta, disparità tra i possessori di ricchezza: Credit Suisse Group il 50 per cento della ricchezza è posseduto dall'un per cento della popolazione mondiale.

è colpa dei migranti?

Nessuno o quasi accusa la speculazione finanziaria che per 2 punti di tasso di una moneta "brucia" sui mercati quasi 300 miliardi. Mentre paesi indebitati per le politiche di "aggiustamenti strutturali", fanno morite di fame milioni di persone

è colpa dei migranti?

Nessuno o quasi denuncia le speculazioni abitative: decine di migliaia sono gli appartamenti sfitti della proprietà privata, ma anche pubblica, mentre la lista dei richiedenti casa rimane insoddisfatta e i più disgraziati subiscono la violenza degli sfratti. … mentre in Italia si spendono ancora quasi 30 miliardi di euro ogni anno per i suoi armamenti.

è colpa dei migranti?

Nessuno o quasi denuncia: le Nazioni Unite hanno chiesto ai paesi ricchi di stanziare lo 0,7% del Prodotto Interno Lordo in finanziamenti per lo sviluppo del terzo mondo. Il Governo italiano ha stanziato soltanto lo 0,16%.

è colpa dei migranti?
 
Alla conclusione del presidio, è stato letto uno scritto di Antonio Gramsci del 1917: Gli indifferenti
 
INDIFFERENTI
“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera.
È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza.

Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.

Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti.
Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto.
E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.
Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.
Vivo, sono partigiano.

Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Antonio Gramsci - Indifferenti 11 febbraio 1917
 
 
 

 
 
 
 

mercoledì 12 agosto 2015

Respingimenti collettivi dalla Grecia


Respingimenti collettivi effettuati dalla Grecia mentre la Turchia si riprende i migranti "illegali". Ma costringe i siriani alla fuga verso l'Europa. E si muore anche sulle strade verso la costa del Mediterraneo.


da Fulvio Vassallo (da diritti e frontiere)







Questa mattina è stato diffuso in rete un grave allarme su un caso di respingimento collettivo effettuato da un mezzo non bene identificato, privo di bandiera, nelle acque dell'Egeo tra la costa turca e le isole greche. E' bene spiegare per chi non sia pratico di quella zona e dei respingimenti che i greci eseguono da anni, come sia facile respingere da un' isola sita a pochi chilometri dalla costa fino alle acque territoriali turche, talvolta basta togliere il motore del mezzo carico di "migranti illegali", rimorchiarlo dino alle acque turche, ed attendere poi che sia la Guardia Costiera turca ad eseguire il salvataggio. Una operazione che si risolve in meno di un'ora.


Abbiamo ricevuto da Nawal e diffondiamo









Dopo quasi un mese di semisilenzio adesso devo raccontare tutto altrimenti non riusciro' a continuare il mio lavoro.
Tra la Turchia e la Greci ci sono degli as...sassini in mare che vestono il ruolo di autorita' Europee e a volte Turche.
In questo momento e in questa posizione( 37°47'57.0"N 27°10'05.0"E) stanno per UCCIDERE 27 persone.
Parliamo di una grande nave militare che arriva nel posto dopo che i migranti lanciano l'sos e invece di salvare fa la seguente:
1 toglie il motore dell'imbarcazione
2 prende la benzina
3 prende le persone a bordo e le persone pensano che questo e' un salvataggio
4 prendono i coltelli e aprono strappano tutti i vestiti fino all'intimo colpendo le persone anche parti sensibili del corpo
5 rubano tutti i soldi e la media di ogni gommone e' 30 mila o 50 mila dollari
6 penserete che dopo tutto questo porteranno i migranti verso la Turchia o la Grecia....
No vi sbagliate!
7 Prendono i telefoni e tolgono le batterie restituendo a volte i passaporti.
8 bucano il gommone con i coltelli
E COME COLPO DI SCENA FINALE RIMETTONO I MIGRANTI IN ACQUA.
9 Come per magia arriva la guardia costiera Turca e prende a bordo i migranti cge a volte sono aggrappati al gommone e a volte nuotano aggrappati al salvagente ( per chi lo ha comprato prima di partire)
10 queste persone fantasma scompaiono con le loro armi in pugno e tutto questo succede con un passamontagna sulla faccia.
A chi puo' interessare la nave adesso e' qui 37°47'57.0"N 27°10'05.0"E
A volte si limitano a togliere solo il motore e spero che oggi si limitino a questo.... perche' dopo che questo e' successo i migranti non mi hanno piu' risposto.
Ah dimenticavo .. due ore prima erano qui 38.548811, 26.344768 e hanno fatto la stessa cosa con un altro gommone.
La foto ritrae una delle navi in questione.
Questo e' una foto scattata dai migranti a bordo del gommone.


Adesso possiamo dire con certezza che il mezzo che ha bloccato il barcone carico di migranti siriani, con uomini dal volto coperto che li hanno poi depredati, appartiene alla Guardia Costiera greca, non ha bandiera, ma i segni della bandiera greca sulle fiancate verso prua sono chiarissimi e dunque si tratta della stessa nave militare o di una nave gemella, comunque sempre appartenente alla Guardia Costiera greca. I segni di bandiera sulle fiancate sono inconfutabili. Il Governo greco deve dunque rispondere di quanto accaduto.


mercoledì 22 luglio 2015

Nave di MSF non autorizzata a sbarcare 700 persone in Sicilia a causa dell’incapacità di accoglienza



La nave di MSF per la ricerca e soccorso Bourbon Argos sta ora navigando a nord della costa siciliana, in direzione Reggio Calabria, con 700 persone a bordo, dove dovrebbe approdare sabato mattina. Nonostante lunghe discussioni con le autorità italiane e gli sforzi compiuti dalla guardia costiera italiana, a causa dell’incapacità del sistema d’accoglienza, la Bourbon Argos non è stata autorizzata a far sbarcare in Sicilia le 700 persone a bordo.

Mercoledì 15 luglio, durante 6 diverse operazioni di salvataggio, la nave di MSF ha tratto in salvo 678 persone. A bordo persone provenienti da Bangladesh, Costa d’Avorio, Eritrea, Gambia, Guinea,Libia, Mali, Nigeria, Senegal e Somalia, tra le principali nazionalità.

L’équipe di MSF è stata impegnata 24 ore al giorno per fornire assistenza a chi aveva bisogno di cure mediche. La nave è sovraffollata e le persone a bordo sono sistemate sul ponte in uno spazio molto limitato” dichiara Alexander Buchmann, coordinatore per MSF della Bourbon Argos. “Nelle ultime 24 ore questa situazione ha provocato tensioni tra la persone e potrebbe causare gravi problemi di sicurezza a bordo della nave”.

Nonostante la buona coordinazione tra la guardia costiera italiana e gli sforzi del Centro di Ricerca e soccorso marittimo (MRCC), le autorità italiane non hanno autorizzato lo sbarco delle persone a bordo della Bourbon Argos in nessuno porto siciliano a causa dell’incapacità del sistema d’accoglienza. Giovedì sera, le autorità italiane hanno autorizzato lo sbarco di 150 persone su 700 nel porto di Trapani. Tuttavia, MSF ha deciso di non procedere con uno sbarco parziale perché una simile operazione, in una situazione di tale sovraffollamento, avrebbe posto seri rischi per la sicurezza. La situazione a bordo era molto tesa e molte delle persone hanno espresso la loro preoccupazione e paura di essere “riportati in Libia”.

Soltanto 7 pazienti che necessitavano di urgenti cure mediche sono stati sbarcati insieme alle loro famiglie. Tra i casi più seri: una donna adulta, trasferita dalla nave della guardia costiera italiana, soffriva di ipotensione e forti dolori addominali, e aveva bisogno di un ricovero urgente; e un bambino di 12 mesi con polmonite, febbre e difficoltà respiratorie a cui MSF ha fornito un trattamento antibiotico, ma che necessitava di un ricovero urgente per ulteriori accertamenti e cure.

Per due giorni, abbiamo cercato di capire dove ci sarebbe stato permesso di sbarcare, attraverso un coordinamento continuo con la Guardia Costiera italiana, cercando di mantenere un livello accettabile di sicurezza a bordo”, aggiunge Alexander Buchmann. “Questo ha causato gravi rischi per la sicurezza a bordo della nave, obbligando 700 persone in difficoltà a trascorrere due notti intere sul ponte della nave in condizioni molto difficili”.


Venerdì mattina, dopo lunghe trattative, la Bourbon Argos è stata diretta a Messina. Tale decisione è stata poi modificata alcune ore dopo e la destinazione finale è ora Reggio Calabria. La nave sta navigando lungo la costa settentrionale della Sicilia - in modo da mantenere un contatto visivo con la terraferma e non alimentare paure tra i migranti a bordo. L’arrivo è previsto sabato mattina presto.

La mancanza di preparazione del sistema di accoglienza italiano sta avendo conseguenze molto concrete che stiamo sperimentando in prima persona”, dichiara Loris de Filippi, Presidente di MSF Italia. “Basta un minimo problema logistico che il sistema collassa. Siamo ancora a luglio, e gli arrivi non si fermeranno molto presto. Il Ministero dell’Interno dovrebbe autorizzare lo sbarco nei porti siciliani più vicini al fine di facilitare le operazioni di sbarco e permettere alle navi di tornare il prima possibile nella zona di ricerca e soccorso

L'Ufficio Stampa di Medici Senza Frontiere



giovedì 25 giugno 2015

Nessuno potrà dire che non sapeva ! Basta stragi nel Mediterraneo!


 

Per i nuovi desaparecidos, presidio in Piazza Scala a Milano dal 18 giugno tutti i giovedì alle 18.30



I nuovi desaparecidos sono le vittime delle politiche migratorie europee: sono scomparsi fisicamente e sono cancellati dal dibattito politico e dallo spazio del diritto.



Sono i nuovi desaparecidos. E il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita in modo che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere”.
Enrico Calamai (Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos)



Per questo le associazioni della rete Milano senza Frontiere tutti i giovedì, dal 18 giugno, saranno in piazza, riprendendo la modalità di lotta delle Madres de Plaza de Mayo.

Abbiamo scelto di portare le foto di alcuni dei nuovi desaparecidos per ridare umanità e dignità a queste persone  e alla lotta  che i lori parenti nella sponda sud del Mediterraneo, stanno facendo per avere verità e giustizia.  

 



Le rotte via terra che dall'Africa
e dallʼAsia portano verso l’Europa sono segnate da migliaia
e migliaia
di cadaveri.

E il Mediterraneo è sempre più la fossa comune in cui vengono seppellite le speranze di chi scappa da guerre, persecuzioni e miseria.

L'Europa rinnega i valori che ha dichiarato di voler difendere.

Invece di salvaguardare gli inalienabili diritti di cui ogni essere umano è portatore come sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti dellʼUomo, l’Unione Europea risponde chiudendo le sue frontiere e respingendo le persone senza curarsi della loro sorte.

L'Europa propone di distruggere i barconi dei trafficanti, attraverso operazioni nelle acque libiche o addirittura in terraferma.

L'Europa, per "proteggere" le sue frontiere, si avvale degli Accordi di Vicinato, con i paesi del Nord Africa, che hanno come obiettivo di intercettare i migranti in alto mare per riportarli in Africa e di intrappolarli ancora più a sud del Sahara.

Tutte queste misure non serviranno ad arrestare l'anelito dei migranti a ricercare una speranza di vita migliore.

Finché i Governi continueranno a imporre politiche economiche liberiste che generano devastazioni, sfruttamento e guerre, e continueranno a produrre e contrabbandare armamenti con i regimi totalitari, le persone non avranno altra scelta che lasciare il loro paese.

Vent’anni di politiche razziste di chiusura hanno solo prodotto morte, desaparecidos e dolore.
Oggi, in assenza di meccanismi istituzionali di ingresso regolare, le persone sono costrette a rivolgersi alla criminalità.




2015   Naufragio del19 aprile: 800 vittime

 La fine dell’operazione di salvataggio Mare Nostrum ha causato il moltiplicarsi del numero delle vittime. Nei primi cinque mesi del 2015 i morti sono più di 2.000

        

2014    Quasi 3500 migranti morti



2013   Naufragio del 3 ottobre: 364 vittime

Quasi 3000 vittime in tutto l’anno

 

2012   Più di 600 vittime

 

2011   Più di 2500 vittime

 

Dal 2000 al 2014 sono quasi 23 mila le persone migranti morte nel tentativo di arrivare in Europa (fonte Organizzazione Internazionale per le Migrazioni).

Solo 3.188 sono le salme recuperate e restituite ai familiari.






Milano Senza Frontiere

FB: Milanosenzafrontiere

Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos

domenica 21 giugno 2015

Migranti, la grande mistificazione




di Ignazio Masulli (da Il Manifesto, 12/6/2015)





Da set­ti­mane si agita lo spet­tro delle per­sone sbar­cate in Ita­lia per cer­care rifu­gio nel nostro o negli altri paesi euro­pei. In realtà, il loro numero dall’inizio dell’anno al 7 giu­gno è di 52.671. Quindi, poco più dei 47.708 regi­strati nello stesso periodo dell’anno scorso. Sulla base di que­sto trend è cal­co­la­bile un numero di 190.000 a fine anno (200.000 secondo altri). Come si giu­sti­fi­cano, allora, le posi­zioni estreme e i toni, talora quasi para­noici, rag­giunti nel dibat­tito su que­sto feno­meno in Ita­lia e in Europa? Dav­vero si vuol far cre­dere che l’arrivo di alcune cen­ti­naia di migliaia di per­sone costi­tui­sca una minac­cia per gli equi­li­bri eco­no­mici e sociali di un gruppo di paesi tra i più ric­chi del mondo?

In realtà, stiamo assi­stendo a una gros­so­lana mistificazione.

Intanto, sem­bra smar­rito ogni senso delle pro­por­zioni e si parla come se s’ignorassero dati di fatto signi­fi­ca­tivi. I paesi mem­bri dell’Ue, alla fine del 2013, con­ta­vano un numero di immi­grati di prima gene­ra­zione (cioè nati all’estero), rego­lar­mente regi­strati ed attivi nelle rispet­tive eco­no­mie assom­manti a più di 50 milioni, di cui circa 34 milioni nati in un paese non euro­peo. Que­sti immi­grati, come gli altri che li hanno pre­ce­duti, con­cor­rono diret­ta­mente alla pro­du­zione e alla ric­chezza di quei paesi. E non si vede pro­prio come nuovi flussi che si aggiun­gono a quelli regi­stra­tisi negli anni pre­ce­denti non pos­sono essere assor­biti con van­taggi demo­gra­fici, eco­no­mici e socio-culturali, solo che si adot­tino poli­ti­che appro­priate e posi­tive d’inclusione sociale.

In secondo luogo, invece di con­tra­stare sen­ti­menti xeno­fobi, che pure alli­gnano in parti della popo­la­zione, li si stru­men­ta­lizza e inco­rag­gia pur di gua­da­gnare con­sensi elet­to­rali nel modo più spre­giu­di­cato. L’esempio più vicino di tale irre­spon­sa­bile com­por­ta­mento viene dalle dichia­ra­zioni dei gover­na­tori di alcune delle regioni più ric­che del paese. Il loro lepe­ni­smo sem­bra igno­rare che pro­prio la van­tata ric­chezza di quelle regioni è dovuta anche al mas­sic­cio sfrut­ta­mento del lavoro degli immi­grati. Sfrut­ta­mento tanto più facile e pesante con i clan­de­stini. E que­sto ci porta dritto alla seconda misti­fi­ca­zione cui stiamo assi­stendo in Ita­lia e in Europa.

Indi­care gli immi­grati come una minac­cia serve a moti­vare misure di con­tra­sto e leggi restrit­tive che in realtà ser­vono a sfrut­tare al mas­simo il loro lavoro, indu­cen­doli a lavo­rare in nero, in impie­ghi pesanti e mal pagati, in affitto, a chia­mata e simili. Infatti, sono pro­prio le soglie di sbar­ra­mento all’integrazione, poste sem­pre più in basso, e il man­cato o dif­fi­col­toso rico­no­sci­mento dei diritti ai lavo­ra­tori immi­grati che per­met­tono ai gruppi diri­genti eco­no­mici e ai loro alleati poli­tici di sfrut­tare anche l’immigrazione per spin­gere verso la con­cor­renza al ribasso delle con­di­zioni di lavoro. In tal modo, si ren­dono più age­voli le poli­ti­che di restri­zione dei diritti dei lavo­ra­tori e di sman­tel­la­mento dello Stato sociale.

In terzo luogo, agi­tare lo spet­tro del peri­colo immi­gra­zione occulta altre respon­sa­bi­lità. Il fatto, cioè, che i mag­giori paesi euro­pei, Gran Bre­ta­gna e Fran­cia in testa, ma seguiti anche da Ger­ma­nia e Ita­lia si sono fatti pro­mo­tori, accanto agli Stati Uniti e insieme ad altri, di pesanti inter­venti politico-militari in Africa e in Medio Oriente. L’elenco è lungo. Si può comin­ciare dall’interminabile guerra in Afgha­ni­stan. Si può pro­se­guire con il sup­porto dato alla ribel­lione con­tro il regime siriano, rin­fo­co­lando con­flitti civili e reli­giosi che ora sfug­gono ad ogni con­trollo. Ancor più diretto è stato l’intervento in Libia, col risul­tato di una situa­zione, se pos­si­bile, ancor più con­fusa e ingo­ver­na­bile. Si è sof­fiato sul fuoco di vec­chi con­flitti tra le popo­la­zioni in Africa Centro-orientale per­se­guendo obiet­tivi tutt’altro che chiari. E lo stesso può dirsi per gli inter­venti in Mali e altri paesi.

Nel 2013, il numero di pro­fu­ghi che hanno cer­cato di fug­gire da zone di guerra, con­flitti civili, per­se­cu­zioni e vio­la­zioni dei diritti umani è stato di 51,2 milioni. Anche a con­si­de­rare circa un quinto di essi, vale a dire gli 11,7 milioni di per­sone che, in quell’anno, si tro­va­vano sotto il diretto man­dato dell’Alto com­mis­sa­riato per i rifu­giati delle nazioni unite e per i quali dispo­niamo di dati certi, vediamo che più della metà era costi­tuito da per­sone che fug­gi­vano dalla guerra in Afgha­ni­stan (2,5 milioni), dall’improvvisa defla­gra­zione del con­flitto in Siria (2,4 milioni), dalla recru­de­scenza degli scon­tri da tempo in atto in Soma­lia (1,1 milione). Ad essi segui­vano i pro­fu­ghi pro­ve­nienti dal Sudan, dalla Repub­blica demo­cra­tica del Congo, dal Myan­mar, dall’Iraq, dalla Colom­bia, dal Viet­nam, dall’Eritrea. Per un totale di altri 3 milioni, sem­pre nel solo 2013. Altri richie­denti asilo cer­ca­vano di scam­pare dai «nuovi» con­flitti in Mali e nella Repub­blica Centrafricana.

La grande mag­gio­ranza di que­ste e altri milioni di per­sone fug­gite da situa­zioni di peri­colo e sof­fe­renza, sem­pre nel 2013, non hanno cer­cato e tro­vato acco­glienza nei paesi più ric­chi d’Europa o negli Usa, bensì nei paesi più vicini. Paesi con un Pil pro capite basso e variante tra i 300 e i 1.500 dol­lari l’anno. Infatti, fin dallo scop­pio della guerra del 2001, il 95% degli afgani ha tro­vato rifu­gio in Paki­stan. Il Kenya ha accolto la mag­gio­ranza dei somali. Il Ciad molti suda­nesi. Men­tre altri somali e suda­nesi hanno tro­vato rifu­gio in Etio­pia, insieme a pro­fu­ghi eri­trei. I siriani si sono river­sati in mas­sima parte in Libano, Gior­da­nia e Tur­chia. Di fronte all’entità di que­sti flussi, il numero delle per­sone che, sem­pre nel 2013, hanno cer­cato pro­te­zione inter­na­zio­nale in 8 dei paesi più ric­chi dell’Ue, con Pil pro capite dai 33.000 ai 55.000 dol­lari, assom­mava a 360mila (pari all’83% dei rifu­giati in tutta l’Ue).

Que­sti dati di fatto dimo­strano l’assoluta man­canza di fon­da­mento e la totale stru­men­ta­lità che carat­te­rizza la discus­sione in atto tra i paesi mem­bri e le stesse isti­tu­zioni dell’Ue. Si discute di pat­tu­glia­menti navali, bom­bar­da­menti di bar­coni, per con­clu­dere con quello che viene defi­nito un «salto di qua­lità» nel dibat­tito e che con­si­ste­rebbe nella pro­po­sta di acco­gliere nei 28 paesi mem­bri dell’Ue un totale di 40.000 rifu­giati in due anni. Men­tre, nel 2013, Paki­stan, Iran, Libano, Gior­da­nia, Tur­chia, Kenya, Ciad, Etio­pia, da soli, ne hanno accolti 5.439.700. Il che signi­fica che un gruppo di paesi, il cui Pil è 1/5 di quello dei paesi dell’Ue, ha accolto in un anno un numero di immi­grati e rifu­giati che è 136 volte più grande del numero di quelli che sono dispo­sti ad acco­gliere i paesi della grande Europa in due anni! Ma per­fino que­sta misera pro­po­sta viene ora messa in discus­sione, dato anche l’atteggiamento nega­tivo di paesi come la Gran Bre­ta­gna e la Fran­cia, che pure si auto­de­fi­ni­scono grandi e civili. Lo spet­ta­colo di tanta pochezza poli­tica e morale induce a chie­dersi se i nostri gover­nanti e i diri­genti di Bru­xel­les si ren­dono conto che stanno asse­stando un altro colpo alla cre­di­bi­lità dell’Unione europea.

giovedì 18 giugno 2015

Comunicato congiunto per chiedere attenzione per il problema delle morti in mare





L'Associazione per i Diritti Umani pubblica il seguente comunicato molto importante:




COMUNICATO AGLI ADERENTI




Il 15 giugno 2015 un gruppo di associazioni, tra cui il nostro Comitato, ha depositato presso il Consiglio Per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, una Dichiarazione congiunta sul problema delle morti di migranti nel Mediterraneo e nei Paesi di transito, che si trasmette qui di seguito.

Il nostro Comitato è molto grato al CELS di Buenos Aires per la possibilità che ci ha offerto e si augura che la collaborazione possa continuare in futuro.





Consejo de Derechos Humanos, 29a. Sesión

Enhanced interactive dialogue on the human rights of migrants

Ginebra, 15 de junio de 2015





Distinguidos Delegados,



Queremos llamar la atención del Consejo y poner en crisis una tendencia que se traduce en la desprotección de los derechos humanos de las personas migrantes.



En lo que va del año, más de 1500 personas murieron o desaparecieron al intentar cruzar el mar Mediterráneo para llegar a Europa. Entre 2013 y 2014, 6000 migrantes fallecieron en las mismas circunstancias. Estamos frente a una crisis humanitaria, una cuestión política urgente y parte central de la agenda de derechos humanos de nuestros días.



Los migrantes víctimas de redes de ilegalidad que organizan el cruce del mar en condiciones precarias, degradantes y extorsivas. Como respuesta, la Unión Europea fortalece el control migratorio en sus fronteras por medio de fuerzas armadas o de seguridad, implementa mecanismos de devolución al lugar de procedencia y amenaza utilizar material bélico contra barcos ubicados en puertos africanos.



A este preocupante cuadro se agrega la ampliación de las zonas de control migratorio en terceros países y la consolidación de operativos de interceptación de migrantes en el mar. Estas respuestas imprimen a las políticas migratorias un enfoque policial con consecuencias insoportables.



Prácticas similares se verifican en otras latitudes, como en la frontera entre Estados Unidos y México, donde los migrantes son forzados a cruzar por zonas desérticas, deportados por puntos distintos que los que cruzaron, detenidos largamente en la frontera, sometidos a procesos judiciales extreme line en los que el cruce de una frontera es considerado un crimen grave, o expropiados de sus pertenencias.



Es urgente una reformulación mundial de los modos en los que los actores locales e internacionales atienden la situación de los migrantes en las fronteras. En 2014, el Alto Comisionado publicó los Principios y Directrices sobre los Derechos Humanos en las Fronteras Internacionales. Estas normas señalan que los derechos humanos rigen dondequiera que los Estados ejerzan un control efectivo, aun fuera de sus territorios. Exigen también debido proceso, acceso a la Justicia para denunciar abusos y mecanismos de reparación. Sería muy relevante que estas Directrices se establezcan como reglas mínimas de actuación de los Estados, que sean a su vez traducidas en normas internas.



Urge dar prioridad al rescate de personas en peligro, pero es necesario, sobre todo, un replanteamiento de las políticas migratorias para que prevean mecanismos de entrada regulares, la única forma de prevenir otras tragedias y de desmantelar las bandas criminales a las que se ven obligados a recurrir para llegar al continente europeo.



Muchas gracias.





CAREF - Comisión de Apoyo a Refugiados y Migrantes

Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS)

Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos

Conectas Direitos Humanos

Corporación Humanas – Centro Regional de Derechos Humanos y Justicia de Género






giovedì 11 giugno 2015

Per il recupero del relitto del naufragio nel Mediterraneo del 18 aprile



Anche l'Associazione per i Diritti Umani aderisce al seguente appello:




Le seguenti associazioni antirazziste siciliane non condividono la scelta della Procura di Catania e del governo italiano di non assumersi la responsabilità di disporre il recupero del relitto del più grande naufragio (almeno 800 morti) nel Mediterraneo dal secondo dopoguerra ad oggi. I principali motivi sono:



I parenti delle vittime vorrebbero verità e giustizia sulla fine dei loro cari; vorrebbero avere la possibilità di procedere alla identificazione delle salme. Vorrebbero piangere i loro scomparsi in un luogo preciso. Inoltre, secondo alcune legislazioni dei paesi d’origine, senza le salme dei defunti non avranno assistenza. Ad un mese dal naufragio i riconoscimenti, anche se costosi, sarebbero possibili.



Bisognerebbe accertare la reale dinamica del naufragio, i pochi superstiti hanno dichiarato che la nave soccorritrice avrebbe più volte urtato il barcone durante le operazioni di soccorso. Occorre dunque un esame approfondito del relitto.



Recuperando il relitto si potrebbero identificare non solo gli scafisti, ma risalire agli organizzatori del viaggio della morte. Sembra infatti che il peschereccio provenisse dall'Egitto.



Alcuni di noi hanno seguito il processo per il naufragio del Natale ’96 a 19 miglia da Portopalo. Dopo 13 anni di processi e grazie alle testimonianze dei superstiti alcuni responsabili furono condannati a Catania a 30 anni; l’allora primo ministro Prodi si rimangiò l’impegno a recuperare il relitto, ma grazie all’impegno di alcuni familiari delle vittime si denunciarono le reti di trafficanti, che lo scomparso Dino Frisullo definiva “holding degli schiavisti”. Senza quell'impegno della società civile non si sarebbe mai fatta giustizia.



A 19 anni da quella tragedia la situazione dei diritti umani delle/i migranti è drammaticamente peggiorata, le legislazioni dei governi europei e dell’UE sono sempre più securitarie e liberticide, anche per i richiedenti asilo. Anziché garantire l’accoglienza a chi fugge da guerre (spesso causate da “interventi umanitari” di Nato, Usa ed UE) i governi europei stanno programmando un intervento, chiaramente militare, per distruggere i barconi dei trafficanti, con quali “danni collaterali”? Non dimentichiamo l’omicidio del cooperante palermitano Lo Porto per un intervento anti-ISIS con i droni, gli aerei senza pilota, dei quali la base di Sigonella è diventata capitale mondiale.



Non condividiamo che si criminalizzino soltanto scafisti, quando non si riesce a perseguire a monte le reti criminali di trafficanti e le mafie del mediterraneo.



I servizi segreti occidentali ed il governo libico di Tobruk sono stati capaci, finora, di delirare su presunti terroristi dell’ISIS, che potrebbero arrivare in Sicilia infiltrandosi fra i migranti. In realtà sono in corso manovre politiche guidate dal governo inglese e sostenute dall'Egitto per legittimare un intervento militare in Libia.



Questo disegno allarmistico, che passa attraverso il controllo dei mezzi di informazione, potrebbe avere effetti devastanti nell’opinione pubblica per giustificare le scellerate politiche di crescente militarizzazione delle nostre coste, del Mediterraneo e della nostra isola.





Rete Antirazzista Catanese, Comitato di base NoMuos/NoSigonella, La Città Felice, Cobas Scuola, LILA, Catania Bene comune, Associazione Altro diritto- Sicilia, Centro Impastato, Casa memoria Felicia e Peppino Impastato (Cinisi); Borderline Sicilia


http://www.nomuos.info/appello-affinche-sia-recuperato-il-relitto-del-naufragio-del-18-aprile/





Hanno finora aderito: ANPI Palermo, ANPI Sicilia, Migralab A.Sayad(Me), Laici missionari comboniani(Pa), Osservatorio contro le discriminazioni razziali Nourredine Adnane(Pa), Comitato Verità e Giustizia per i nuovi desaparecidos del Mediterraneo, Associazione Trama di Terre(Imola), Azione Civile(Ct), “Periferie al Centro” Fuori Binario(Fi), RAP-Casa Rossa(Me),…





Alessio Di Florio, Fulvio Vassallo Paleologo, Anna Puglisi, Umberto Santino, Giovanni Impastato, Alessandra Ballerini, Daniela Padoan, Francesca Costantini, Roberta Radich, Elisa Marini, Benigno Moi, Ottavio Terranova, Barbara Spinelli, Moreno Biagioni, Annamaria Rivera, Anna Di Salvo, Domenico Stimolo, padre Carlo Dantoni, Giuseppe Restifo, Pietro Saitta, Gino Sturniolo,…




Per informazioni e
adesioni.alfteresa@libero.it

domenica 7 giugno 2015

Buttarli a mare. Lo facciamo da secoli



di Santiago Alba Rico       (da comune@info.net)


Almeno ventimila morti in quindici anni. Forse molti di più, a giudicare dalla crescita esponenziale documentata negli ultimi mesi, ma i numeri ingannano la percezione: non raccontano le storie, le speranze e le sofferenze di chi affoga nel Mediterraneo. Forse, a comprendere la portata e le ragioni della tragedia che viviamo, può aiutare meglio la storia: l’Europa è abituata a buttare la gente in mare. Lo ha fatto per secoli durante il commercio di vite che riempiva i forzieri delle grandi nazioni che oggi danno lezioni di umanità e democrazia al resto del mondo. Si buttavano a mare gli schiavi per sfuggire ai pattugliamenti o quando venivano considerati “merce difettosa”. Cinismo e ipocrisia si sono sempre alimentati a vicenda. L’ipocrisia, con le sue leggi sulle migrazioni, nutre i cinici e finirà per mettere nelle loro mani i governi europei. Ma noi europei come facciamo a piacerci così tanto?



Davanti all’ipocrisia e all’indifferenza, ci piace ed è perfino doveroso essere un po’ demagogici. Diciamoci la verità: l’Europa è abituata a buttare la gente a mare. Lo ha fatto per secoli, durante il più che redditizio commercio di schiavi al quale prendevano parte tutte le grandi nazioni che oggi danno lezioni di umanità e democrazia al resto del mondo. L’antropologo Fernando Ortiz, in un suo libro, ne ricordava il numero: nel 1825 si calcolava che i negrieri clandestini, vuoi per sfuggire ai pattugliamenti, vuoi per liberarsi di “mercanzia difettosa”, avessero buttato nell’oceano 3.000 schiavi vivi ogni anno. Molti di più erano morti durante il trasporto forzato lungo il continente africano o durante le attese dentro i barconi nei porti. Nel 1818, quando venne proibito il traffico, ma mantenuta la schiavitù(proprio come oggi!) il cattolicissimo re spagnolo Ferdinando VII giustificava quella proibizione dicendo che non c’era bisogno di trasportare in America gli africani allo scopo di civilizzarli, perché l’impresa coloniale si sarebbe incaricata di civilizzarli nei loro paesi di origine. Continuiamo ancora oggi a civilizzarli nei loro paesi di origine, continuiamo a selezionare mano d’opera a buon mercato, continuiamo a proibire il traffico e continuiamo a buttarli a mare.

La grande scrittrice nera Toni Morrison, anni fa, espresse un giudizio con amarezza e dolore: “Non puoi fare questo per centinaia di anni e non pagare dazio. (Gli europei) non dovevano disumanizzare solo gli schiavi, ma anche se stessi.Dovevano ricostruire tutto per fare sì che il sistema sembrasse vero. Così tutto fu possibile nella seconda guerra mondiale. Così la prima guerra mondiale si dimostrò necessaria. Razzismo è la parola che usiamo per comprendere tutto questo”. Quello che il teologo tedesco Franz Hinkellammert chiama, a ragione, “genocidio strutturale”, si inscrive in quella lunga malattia europea che ci ha fatto marcire l’anima fino al punto di poterli buttare a mare e poi andarcene allegramente in crociera a Malta.

I morti, in questa settimana, sono stati più di 1.000, negli ultimi quindici anni sono stati oltre 20.000. Numeri parziali, ingannevoli e che non fanno la conta dei cadaveri in fondo al mare. Non voglio sminuire la responsabilità dei trafficanti che sfruttano la disperazione degli esseri umani: in fondo è la stessa responsabilitá dei negrieri del XIX secolo e mantengono con il sistema neocoloniale europeo lo stesso rapporto di dipendenza e funzionalità. Non ho nemmeno intenzione di negare le responsabilità di quelli che, ad un prezzo equivalente a 15 biglietti aerei, affittano un centimetro di rischio su queste barche di Caronte. Anche l’ultimo degli esseri umani può decidere del proprio destino; ma anche l’ultimo degli esseri umani ha diritto a scegliere un destino migliore senza per questo giocarsi la vita. Di cosa sono colpevoli? Il loro crimine, come dice Juan Goytisolo, è “il loro istinto per la vita e l’ansia di libertà”, quell’atomo di libertà che usano scappando dalla guerra o dalla miseria e rivendicando il diritto di spostarsi, di lavorare, di esistere, senza chiedere elemosina né scusarsi.

Abbiamo sentito le risposte dei nostri governi e dei nostri politici. Ce ne sono due.Una è ipocrita: si lamentano i morti e si esibisce contrizione mentre vengono rafforzate Frontex e l’operazione Triton, ovvero, mentre si moltiplicano i mezzi – come fece Ferdinando VII – per “civilizzare” gli africani all’origine e distruggere i barconi dei trafficanti. Sappiamo già cosa questo significa e quali ne saranno le conseguenze: appoggiare delle dittature e giustificare degli interventi che provocheranno altre frustrazioni, altra miseria, altre guerre, altro jihadismo, in un circuito che si autoalimenta e dal quale traggono beneficio solo i più potenti, i più ricchi e i più ingiusti.


L’altra risposta è il cinismo dei partiti e degli intellettuali dell’estrema destra che alimentano la patologia europea, tramite l’esplicito disprezzo verso quelle migliaia di persone che -nell’opinione della Lega Nord- cercherebbero delle “vacanze pagate” in Europa e verso le quali non dovremmo sentire alcuna pietà nè considerazione.

I cinici, almeno, non mentono. Perché, bisogna dirlo, cinismo e ipocrisia fanno parte dello stesso sistema e si alimentano a vicenda.

L’ipocrisia, con le sue leggi sulle migrazioni, nutre i cinici e finirà per mettere nelle loro mani i governi europei. Storicamente è stato sempre così: gli ipocriti, non facendo quello che dicono, finiscono per cedere il potere ai cinici e ai loro aperti crimini. I “civilizzati europei” sono stati sempre l’anticamera dei nostri stessi barbari.

Non c’è nessuna alternativa all’ipocrisia e al cinismo? E’ molto facile: o Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo o Dichiarazione di Guerra. Che ci piaccia o no, continueranno ad arrivare.

E noi, come facciamo a continuare a piacerci così tanto?





Traduzione dallo spagnolo a cura di Giovanna Barile



venerdì 5 giugno 2015

Sono morti qui. La mappa dei defunti nel Mediterraneo




di Martino Pillitteri (da Vita.it)



Borderofdeath, il primo database on line con le informazioni individuali su 3.188 corpi di persone morte nel tentativo di raggiungere l'Europa




È on line borderofdeath, la prima banca dati ufficiale dei migranti deceduti nel Mediterraneo tra il 1990 e il 2013 nel tentativo di raggiungere i paesi meridionali dell'UE dai Balcani, il Medio Oriente e Nord e Africa occidentale, e i cui corpi sono stati trovati o portati per l'Europa. Il progetto, ideato e sviluppato dalla Vrije Universiteit di Amsterdamdam, e on line dal 12 maggio, contiene informazioni individuali su 3.188 defunti.
Due sono gli obiettivi dell’iniziativa: ripensare le politiche immigratorie in modo tale da salvare più vite possibili e identificare i corpi. Meno della metà dei migranti morti infatti, risulta identificata. Impresa, quella dell’identificazione dei migranti deceduti, tutt’altro che facile; dipende dal caso, dagli sforzi che fanno e dalle capacità e competenze che possiedono gli addetti ai lavori.
Il lavoro di ricerca è stato svolto tra aprile 2014 e Febbraio 2015 da 12 ricercatori e Tamara Last. Durante il loro lavoro, i ricercatori hanno ispezionato 563 uffici di stato civile in Spagna, Italia, Grecia, Malta e Gibil terra, raccogliendo le informazioni fornite dai certificati di morte.
La banca dati è una risorsa unica perché fornisce informazioni quali il luogo e la causa del decesso, il sesso, l’età, il paese d’origine e l’indicazione se la persona è stata identificata oppure no. Secondo i dati, la percentuale di identificazione cambia notevolmente in tempi e in luoghi diversi.



Qui il video dei ricercatori al lavoro negli uffici di stato civile.