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martedì 1 dicembre 2015

America latina: i diritti negati



Chi cerca, trova.


di Mayra Landaverde



Da alcuni mesi la Rete Milano Senza Frontiere organizza un presidio in piazza Scala, in centro. Da maggio e fino al 18 dicembre, Giornata Internazionale del Migrante. Arriviamo, allestiamo la piazza con delle foto e delle maschere, con dei cartelli. Poi ognuno di noi prende una foto di uno dei tantissimi ragazzi dispersi nel Mediterraneo e giriamo in circolo. Vi ricorda qualcosa? 



Negli anni della dittatura in Argentina un gruppo di mamme ha deciso di fare la stessa cosa.



Allora era vietato qualsiasi tipo di manifestazione e le persone non potevano sostare davanti alla Plaza de Mayo, per cui la polizia ha chiesto loro di “girare”. Dal 30 aprile 1977 lo fanno, con le foto dei loro figli e nipoti desaparecidos. Vogliono sapere dove sono.



Cosi come le madres, esiste anche un’associazione di nonne: Asociacion Civil Abuelas de Plaza de Mayo e s’incaricano di cercare i bambini che sono stati sequestrati durante la dittatura e restituirli alle loro vere famiglie.



Dal 1977 al 2015 hanno recuperato 118 nipoti.



Sono state candidate al Nobel per la pace in diverse occasioni. Nel 2011 hanno ricevuto il premio Felix Houphouet-Boigny dall’UNESCO per il loro grande lavoro.



Anche noi vogliamo sapere dove sono le migliaia di desaparecidos del Mediterraneo. Lo vogliono sapere le madri tunisine e algerine che ci hanno affidato le foto dei loro cari.
 
 
 




E continueremo a cercarli insieme ai loro parenti.



Dall’altra parte del mondo in Latinoamerica ci sono altre madri che cercano i loro figli dispersi nel loro transito per il Messico. Tutti col sogno di arrivare negli Stati Uniti per avere una vita migliore e un futuro da offrire alle proprie famiglie. Purtroppo sono pochissimi quelli che arrivano alla frontiera nord. Prima devono attraversare tutto il Messico.  



A piedi o sopra il tetto dei treni. Scappando dalla polizia migratoria, dai militari e dai narcotrafficanti. E’ una delle rotte più pericolose che esistano.



Per le donne particolarmente.



Più del 70% delle donne migranti vengono violentate una o più volte durante il viaggio.



Ogni anno entrano clandestinamente in Messico 45,000 donne centroamericane.



La violenza sessuale è considerata “normale” , parte del viaggio, moneta di scambio. Lo si sa, i trafficanti chiedono soldi ma anche sesso in cambio di far passare le frontiere.

Per questo motivo tante donne prima di iniziare il viaggio prendono l’iniezione anti-Messico che non è altro che un anticoncezionale di lunga durata. Il Depo Provera è un contraccettivo ormonale in forma liquida che si somministra tramite iniezione ogni 12 settimane. Ma l’iniezione non le salva sicuramente dalla violenza e dai traumi che può subire una donna vittima dei trafficanti o degli stessi funzionari pubblici come gli agenti della polizia o i militari. Tante altre sono sequestrate e vendute per meno di 300 dollari per finire nella prostituzione. La CNDH ( Comision Nacional de Derechos Humanos) registrò, fra il 2009 e il 2011,più di 20 mila sequestri.Il Movimento Migrante Mesoamericano organizza da 11 anni la Caravana de Madres Centroamericanas de migrantes desaparecidos en su tránsito por México.
Lunedì 30 Novembre parte l’undicesima Carovana Migrante da Tenosique cittadina del sud messicano. Percorreranno più di 4 mila km cercando città per città i loro, i nostri desaparecidos.Dal 2004 la Carovana ha trovato 200 di questi figli. E’ questa la forza che spinge tutte queste madri: la speranza di ritrovare le figlie, i figli. Vivi. Siano madri argentine, tunisine o centroamericane. Tutte li cercano e noi dovremmo cercarli insieme a loro. Smettiamo di essere spettatori silenti.
 
 
Sono loro le madri è vero, ma siamo tutti figli di questo mondo.


martedì 17 novembre 2015

Bollino rosso



di Mayra Landaverde



Finchè non sono arrivata in Italia non ero pienamente consapevole di tutti i diritti che venivano negati sistematicamente alle donne in Messico. Non che in Italia non ci siano problemi di violenza sulle donne ma obiettivamente si sta meglio da queste parti.

Nel mio primo ritorno al mio Paese ho capito che non sarei stata capace di rimanere per lunghi periodi.

Una sera mentre aspettavo per strada un taxi , mi sono accesa una sigaretta. Due signore mi hanno insultato perché era ignobile guardare una donna fumare in pubblico, che svergognata!

Un vecchio mi ha chiesto se ero prostituta ed io ho deciso di spegnere la sigaretta. Avrei fumato comunque nel locale con le mie amiche.

Trovato il taxi, ovviamente guidato da un maschio che non ha smesso di farmi dei “complimenti” e di provarci insistentemente, sono arrivata al locale, pieno di ragazze in minigonna, tacchi alti, truccate. Si fumava si beveva e si ballava. Tutti, maschi e femmine.

Finalmente, eravamo tutti dei giovani con la voglia di divertirci, ero sicura di passare una bella serata con gli amici. Lì nessuno mi ha detto niente. Fumavo tranquilla, ho bevuto la birra e ho ballato. Pensavo che dopo tutto il Messico non era male, che a volte qualcuno ti diceva qualcosa in merito al tuo corpo ma non per offenderti. O sì?

 

Da tutte le conversazioni che ho sostenuto con le donne in questo mio viaggio, nove su dieci avevano subìto in qualche modo degli abusi fisici o psicologici da parte di un maschio.



Insomma se voglio andare avanti al lavoro devo lasciarmi palpeggiare dal capo ogni volta che ci passo vicina. Ma non c’è la faccio più, dovrò per forza trovarmi un altro impiego”: questo lo raccontava A mentre eravamo in bagno al locale. Io sono rimasta stupita che la cosa che più preoccupava la ragazza non fosse il fatto dell’abuso di potere del capo nei suoi confronti nè l’umiliazione subìta in quanto donna. No, la cosa che la preoccupava di più era che cambiare lavoro sarebbe stato difficile. Certo che pensava a quello, ha un bambino, ha un mutuo, deve mangiare, deve pagare le bollette, quindi la violenza di genere in questo caso passa in secondo piano. Ed è sempre così. Ormai noi donne pensiamo che il nostro corpo sia un oggetto. Ce l’hanno sempre detto, allora sarà vero. Vediamo donne- oggetto in tv, nelle pubblicità, ovunque. E se il capo ti molesta o stai zitta e glielo fai fare oppure cambi lavoro. Ma di lavoro ce n'è pochissimo.



La vicina di casa di mia sorella era convinta (e forse lo è ancora adesso) che il marito potesse forzarla ad avere rapporti sessuali solo in quanto è suo marito: le ho spiegato che quello si chiama stupro ma lei quasi offesa mi ha chiesto ma come fa a violentarmi? Lui è mio marito! .

In Messico ogni 4 minuti e mezzo viene stuprata una donna e, nella maggior parte dei casi avviene in casa, da parte del coniuge. Le denunce di questi casi sono in pratica inesistenti.



Quest’anno il Ministero degli Interni ha annunciato alerta de género in 11 località del paese.

La “alerta de género” è una specie di bollino rosso che nomina le città in cui più donne muoiono in modo violento, per stupri, torture, sequestri ecc. Violenza sulle donne. Soltanto quest’anno se ne parla apertamente.



Il governo messicano forse si sta dimenticando dei femminicidi di Cd. Juarez.

Dal 1993 si contano più di 700 donne violentate, torturate, uccise e abbandonate nel deserto.

Le primissime vittime erano tutte bambine.

Nel 2006 hanno trovato il corpo irriconoscibile di una bambina di tre anni.

Nello stesso anno la polizia messicana arrestò e incarcerò un cittadino egiziano di nome Omar Sherif Latifh con l'accusa di guidare una banda di delinquenti e stupratori. Secondo le indagini avrebbero fatto tutto; stranamente le donne hanno continuato a sparire da vive e ritrovate da morte. Anche adesso nel 2015.

Davanti a così tanta corruzione e indifferenza mi sembra inutile scrivere su tutte le altre false indagini e arresti che la Polizia ha fatto. Nessuna ha portato a niente. Le donne vengono lasciate morire dallo Stato. Vengono lasciate anche le famiglie che, al contrario delle istituzioni governative, si sono ben organizzate per protestare, chiedendo una reazione forte da parte dello Stato.

Stiamo ancora aspettando risposte. Anzi stiamo ancora aspettando azioni concrete che fermino la violenza smisurata sulle donne messicane. Metterci su un bollino rosso come allarme non serve a nulla. Servono delle azioni reali. Ora.






martedì 3 novembre 2015

America latina: i diritti negati



LA 72”



di Mayra Landaverde


Situato nel comune di Tenosique, Tabasco, "Il rifugio 72 casa per gli immigrati" dà loro uno spazio che ospita temporaneamente le difficoltà della strada. Qui ci si aspetta il treno “La Bestia” si riposa, si mangia. Si tengono anche delle visite mediche per chi ne abbia bisogno. Qui è un rifugio anche per nascondersi dalla criminalità organizzata.


Ma questo luogo, che dovrebbe essere di passaggio, per molti alla fine diventa una sorta di limbo dove si aspetta: si aspetta il denaro inviato dalle famiglie, si aspetta di trovare un lavoro, si aspetta di guadagnare forze. La vita in "La 72" prende per questa parte di migranti un'atmosfera di una calma domesticità in cui è difficile andarsene, dinamiche in cui questi uomini (la maggior parte degli ospiti sono maschi) ormai si erano abituati. Un vero rifugio dove fanno amicizia, dove mangiano insieme agli altri, dove ognuno si racconta. Ma alla fine tutti partono sempre con la speranza di riuscire ad arrivare dall’altra parte della frontiera e compiere il sogno americano.

* Questa serie di scatti fotografici di OLIVIA VIVANCO ha vinto il terzo posto nel XXXII Concorso di fotografia antropologica “Migrazioni” della Scuola Nazionale di Antropologia e Storia, l’INAH e il Ministero per la cultura e le arti.




 
 
 
 
 




Olivia Vivanco è nata a Città del Messico. Ha un diplomato alla Scuola Nazionale di Arti Plastiche e fotografia dell’UNAM e un Seminario di fotografia contemporanea 2007 svolto nel Centro de la imagen.


Ha esposto il suo lavoro in luoghi come il Museo dell'Università del Chopo, CNDH, ENAH, Centro de la imagen, Festival internazionale della della fotografia latina nel 2006 e nel 2007 a Parigi e nella Sala della fotografia documentaria per i diritti umani, l'infanzia e la gioventù in Colombia. Ha pubblicato in riviste Mexicanisimo, Picnic Bizco Magazine, Spleen Journal, Registro e Voces de Altaïr. Insegna presso l'Università del Claustro di Sor Juana. Ha ottenuto una borsa di studio nel 2010 per promuovere progetti culturali.


martedì 20 ottobre 2015

Il Plan Frontera Sur : caccia ai migranti



di Mayra Landaverde
 
 
 


Il 7 luglio 2014 il Governo dello Stato Messicano ha annunciato l’inizio di una campagna in materia di migrazione. Il Plan Frontera Sur.

Secondo le parole del Presidente della Repubblica del Messico, Enrique Pena Nieto, il “ Programma Frontiera sud” ha due obiettivi: il primo e il più importante è di proteggere i migranti centroamericani che transitano per il nostro paese con l’intenzione di arrivare negli Stati Uniti. Il secondo obiettivo è mantenere in ordine la frontiera.


Mantenere in ordine la frontiera? Proteggere i migranti?

Tutt’altro.

Dopo soltanto un anno il PFS ha prodotto circa 107,199 deportazioni verso il Centroamerica.

Nel 2013 i deportati sono stati 77,395.

Il 54% dei migranti ha fra i 18 e i 30 anni. Il 25% restante va dai 30 ai 40 anni. Provengono maggiormente da Guatemala, Honduras e da Il Salvador.

Sono aumentati i crimini commessi contro gli immigrati da parte di criminali comuni, della criminalità organizzata e delle autorità.


La Casa dei migranti (che si chiama “ La 72”) ha documentato e accompagnato decine e decine di persone che denunciano le violenze davanti alla Fiscalía especializada en delitos contra migrantes, organo la cui principale missione è difendere i diritti umani degli immigrati.

Le denunce non sono solo verso la criminalità organizzata ma anche contro istituzioni come l’INM (Istituto Nazionale per la Migrazione).

Finora le denunce non hanno avuto nessuna risposta.


Il PFS ha significato la persecuzione, la repressione e la morte per i migranti. Sempre la Casa per migranti “La 72” ha documentato la scandalosa morte di più di 10 migranti nella regione di Tabasco durante il 2015. Morti in cui sarebbero coinvolte le stesse autorità.

Il Segretario degli Interni afferma che le azioni del governo federale saranno indirizzate a "evitare che gli immigrati mettano a rischio la loro vita utilizzando il treno merci noto come La Bestia; sviluppare strategie specifiche per garantire la sicurezza e la protezione dei migranti; combattere e sradicare i gruppi criminali che violano i loro diritti ".

Tuttavia, si è dimostrato che le azioni del governo messicano violano i diritti umani di chi usa ancora il treno per attraversare il Paese.

E’ importante vedere come nel 2014 le detenzioni sono aumentate del 47% .

27 regioni del Paese hanno avuto un incremento nel numero di detenzioni di migranti, per esempio: Chiapas 46%, nel Tabasco 102%, a Veracruz 40% e in Puebla perfino del 130%.

Il rafforzamento delle frontiere e il controllo della migrazione condotto dall'Istituto Nazionale di Migrazioni [INM] per tutto il Messico (non solo ai valichi di frontiera, ma a bordo di autobus, sulle autostrade, sui treni merci, nelle stazioni, ecc.) hanno aumentato l’insicurezza e la vulnerabilità per i migranti che, nella ricerca di nuove strade (molte a piedi), devono affrontare anche altri tipi di avversità: estorsioni da parte della polizia, detenzione illegale da parte dell'INM, il sequestro, lo stupro e, come detto, gli attacchi della criminalità organizzata che ha trovato un terreno fertile in seguito all'attuazione di tale piano.

Gli avvocati dell'immigrazione, inoltre, hanno osservato numerose violazioni in un giusto processo per i richiedenti asilo in Messico, e pochi immigrati hanno la possibilità di raccontare le loro storie alle autorità così il traffico, i rapimenti e gli stupri restano impuniti.

Miguel Angel Osorio Chong, Segretario degli interni dichiara:

"Quello che stiamo pensando, sono politiche di pubblico interesse. L'identificazione e il controllo che ci permettno di sapere esattamente cosa sta succedendo sul confine meridionale, cosicchè tutti i messicani abbiano la certezza di cosa sta accadendo all'interno del nostro territorio e di ciò che passa e questo lo dobbiamo fare tutti in modo coordinato. "

Certo, in questo ha ragione. Tutte le istituzioni per la prima volta si sono coordinate benissimo per rapire, stuprare rubare e far sparire una quantità di migranti che ogni giorno aumenta.


Congratulazioni al Governo messicano, avete copiato alla perfezione certe politiche migratorie di oltre oceano.


martedì 6 ottobre 2015

Te lo ricordi il TTIP?




di Mayra Landaverde



Me lo ricordo il TTIP messicano. Si chiamava TLC “Tratado de Libre Comercio” .
Lo avevano scritto sui libri che usavamo alle elementari. Libri che lo Stato distribuiva gratuitamente a tutti i bambini e bambine del Paese. Il Messico ha una popolazione attuale di 119.715.000 persone.
Nel 1994, quando è entrato in vigore il TLCAN (Tratado de Libre Comercio con America del Norte) eravamo in 93.059.000, di cui un buon 28% era costituito da bambini. Io avevo 9 anni e frequentavo la scuola pubblica dove si sono incaricati di lavarci per bene i nostri piccoli cervelli. Ci dicevano che il TLC avrebbe portato tantissimi vantaggi al nostro Paese, avrebbe creato posti di lavoro, si sarebbero abbassati i prezzi della merce, avremmo avuto un’ ampia scelta dei prodotti più svariati che non immaginavamo neanche. Insomma questo TLC era proprio una figata!
E così andavamo in giro tutti quanti a parlare bene del TLC perché avrebbe portato un sacco di cose belle in Messico, saremmo diventati moderni come i nostri carissimi vicini statunitensi.
Si! Meno male che il Presidente della Repubblica, Ernesto Zedillo, firmò questo trattato con gli Stati Uniti e il Canada: ci voleva proprio, visto che ci leccavamo ancora le ferite del cambio di moneta del 1992 grazie al Presidente Carlos Salinas de Gortari. Ci voleva proprio una bella notizia. Col cambio della moneta i miei genitori hanno perso la casa e non sono più riusciti a pagare la macchina. Era una macchina bellissima, moderna perché eravamo benestanti. Eravamo.
Il clima del Paese era di una depressione collettiva, tutti gli adulti erano tristi, avevano perso le case, il lavoro, le macchine. Tutto. Così lo Stato pensò bene di dire a tutti i bimbi che questo TLC avrebbe fatto ritornare il sorriso sulla faccia dei nostri genitori. Tornavamo a casa entusiasti a parlare di questo trattato che il nostro lungimirante Presidente stava proprio per firmare.
Non vedevamo l’ora di poter comprare tutte le cose che qua non c’erano. Beh, la verità è che qua le cose c’erano, eccome. Ma non è lo stesso: sapete il fascino dei prodotti che vengono dagli Stati Uniti, sì sì proprio loro...Gli Stati Uniti di America, quelli dei Mc Donald’s, dei Burger King dei Kentucky Fried Chicken. Stavano arrivando! Loro, quelli di Monsanto e il loro maiz transgenico.
Mi ricordo benissimo la prima volta che sono entrata a Wal Mart. Mi sono trovata con una scelta ampissima di prodotti che guardavamo solo nei film: pizze surgelate, hamburger surgelati, involtini primavera surgelati. Un mondo del surgelato in questi corridoi lunghissimi illuminati in un modo strano, un po’ come i casinò con delle luci che ti fanno perdere la percezione del tempo. Quando stai lì, vuoi solo comprare cibo. Mi ricordo ancora quanto ero rimasta stupita di queste angurie luccicanti e perfette, tutte ma proprio tutte erano della stessa uguale misura e stavano benissimo sugli scaffali. I pomodori erano rossi rossi e luccicanti, le carote le uve, le mele. Era tutto luccicante e perfetto. C’erano anche gli avocadi, sì, avocadi israeliani. Ma, aspetta la parola avocado viene dal nahuatl ahuacatl lingua degli aztechi. Perché l’avocado è messicano,è nostro. Invece gli avocadi di Wal mart venivano da Israele. Niente di sorprendente per una città come la mia dove c’è un grande parco di nome Ben Gurion.
Dal 1994 in poi il Messico si è riempito di questi grandi supermercati e si è anche riempito di obesità e diabete.
Tutto è cominciato negli anni '90 quando Wal Mart acquisì il 50% dei supermercati diciamo messicani Bodegas Aurrera che comunque sono stati fondati da uno spagnolo. Con l’entrata in vigore del TLC, Wal Mart è riuscito a comprare tutto: Aurrera, Superama, Sam’s, Suburbia e Vip’s e ha gradualmente aperto i Wal mart Supercenter e i Sam’s Club. Tutti supermercati all’ingrosso di cibo spazzatura.
Nel mondo ci sono 670 millioni di obesi. Messico al primo posto. Anche in obesità infantile.
Prendiamo un esempio. Una delle bibite più famose in Messico, escludendo ovviamente la Coca Cola è questa: Manzana Lift. Fra gli ingredienti ci sono in ordine: acqua, zucchero e succo di mela, lo dice il nome stesso della bibita manzana che vuol dire mela. Peccato che il succo di mela sia solo l’1%. La bibita ha 144 kcal. Considerando che a pranzo ne bevi al meno 2 se non 3 bicchieri… ecco che arriva il diabete. Il 99% della popolazione messicana (sì avete letto bene!) consuma Coca cola quotidianamente. Cioè, ogni messicano ne beve almeno 775 bottiglie all’anno, ½ litro al dì. Quando abitavo ancora in Messico bevevo almeno 2 lt di Coca cola al giorno. Mi costava di meno dell’acqua. Perché noi compravamo a Wal mart i pacchi giganteschi di Coca cola. Mio nonno è diabetico ed io ho avuto dei seri problemi gastrointestinali da giovanissima.
La principale causa di morte nel mio Paese è il diabete, segue l’obesità.
Il Messico è maiz. Noi siamo il popolo del maiz. Io non riesco proprio a concepire la mia vita senza. E’ sempre stato il sostento e la base dell’alimentazione dei popoli azteca, maya, zoque, zapoteca, purhèpecha, totonaca ecc.
E voi penserete che mai e poi mai potremmo importare il maiz.
Il TLCAN ha permesso, per fare soltanto un esempio, a Monsanto di venderci il loro maiz transgenico. A partire dal 1994 l’importo di maiz statunitense è aumentato fino ad arrivare a 6 milioni di tonnellate.
Nel 1995 il bilancio destinato all’agricoltura era del 6.4%. Nel 2000 del 2.9%. Lo Stato ha lasciato morire di fame ai 25 milioni di contadini che vivevano grazie alla coltivazione di maiz. Ora tutte queste persone sono diventate consumatrici di maiz contaminato e più del 75% vive sotto la soglia di povertà.
Si, me lo ricordo bene il TTIP.


martedì 22 settembre 2015

Una nuova rubrica. America latina: i diritti negati


Care amiche, cari amici



oggi inauguriamo, con molto piacere, una nuova rubrica. Si intitola “America latina: i diritti negati” ed è tenuta da Mayra Landaverde, giornalista, attivista, esperta di America latina. I suoi testi andranno ad approfondire tematiche sui diritti umani relativi a quell'area del mondo, in particolare la relazione tra Messico e Stati Uniti. Gli articoli verranno pubblicati il MARTEDI, ogni due settimane.

L'Associazione per i Diritti Umani ringrazia tantissimo Mayra Landaverde.





America latina: i diritti negati


Di giornalismo si muore

di Mayra Landaverde


Avevo pensato di invitarlo come relatore a un corso che organizza la mia associazione. Mi sembrava uno molto in gamba e particolarmente informato su una delle regioni più complicate e violente del Messico: Veracruz. Da lì ci passa il treno che trasporta i migranti centroamericani nel loro intento di arrivare negli Stati Uniti. In Veracruz si trovano anche Las Patronas, le donne che tutti i giorni preparano del cibo da lanciare sul treno carico di persone affamate che viaggiano da giorni, da mesi. Ruben era fotoreporter. Aveva scattato ultimamente delle foto scomode per il Presidente della Regione Javier Duarte de Ochoa. Non ho fatto in tempo a contattarlo. Lo hanno ucciso a Città del Messico il 2 agosto di quest’anno. Certo, ufficialmente non si sa il motivo, ma lo sappiamo tutti. Lui stesso si era traferito a Città del Messico per paura di essere ammazzato per i suoi scatti che rivelavano lo spreco di soldi del Governo dello Stato di Veracruz. Aveva detto a tutti di essere stato ripetutamente minacciato ed è andato via. Ma loro l’hanno trovato lo stesso. Delle persone sconosciute sono entrati nel suo appartamento e hanno ucciso Ruben insieme a quattro donne che erano in quel momento con lui.

Ma prima di ammazzarlo l’hanno assediato, minacciato, picchiato. Perché non c’era manifestazione sociale cui lui non partecipasse, anche se l’entourage del Gobernador gli aveva detto molto chiaramente che lui non poteva più scattare foto. Gli negavano l’accesso agli eventi oppure lo intimavano di andarsene anche dalle manifestazioni pubbliche.


A giugno del 2014 il Presidente della Regione Veracruz Javier Duarte ha dichiarato pubblicamente : “ Fate i bravi, verranno tempi difficili, faremo un po’ di pulizia e tanti cadranno”. Qualche mese dopo Ruben è stato trovato morto a casa sua.
A partire dal 2000 ,Veracruz registra al meno 36 giornalisti uccisi.

Reporters Without Borders riporta 3 giornalisti uccisi in Messico nel 2014. In quanto a libertà di espressione il paese si trova al 148 posto in una lista di 180 paesi.

L’anno scorso durante una manifestazione per i 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa, 14 giornalisti sono stati brutalmente pestati dalla polizia e tolti da macchine fotografiche.


Il 4 settembre 2015 in pieno centro di Città del Messico in una via pubblica 3 giornalisti dell’Agenzia SubVersiones sono stati minacciati di morte a causa dei loro reportage troppo scomodi per il Governo del Presidente Pena Nieto.

Il Messico vive una gravissima situazione di censura da anni per questo 500 scrittori, artisti e giornalisti di tutto il mondo (alcuni di loro: Christiane Amanpour, Francisco Goldman, Paul Auster, Noam Chomsky, Salman Rushdie, Gael García Bernal, Diego Luna, Guillermo del Toro, Denise Dresser, Juan Villoro y Sergio Aguayo) hanno scritto al Presidente della Repubblica chiedendo di garantire la libertà di espressione nel paese e la piena sicurezza fisica e psicologica dei giornalisti.


Il paese è in guerra, e non ho paura a scriverlo, perché è così. Stanno ammazzando la gente che non fa altro che il proprio lavoro denunciando la grande ingiustizia e miseria che sta vivendo il mio paese.

E il Governo messicano non fa e non farà nulla, anzi continuerà con la repressione.

Tan solo pochi giorni fa è stata pubblicata la notizia della morte di una giornalista, si, mentre io scrivevo queste righe lei è stata sequestrata torturata e assassinata nel suo domicilio, beh, era una giornalista.

E in Messico di giornalismo si muore.


venerdì 31 luglio 2015

Family reunification not deportation!

di Mayra Landaverde  (Mayralandaverde.it)



Ogni volta che lui era in ritardo anche di soli cinque minuti io pensavo subito che l’avessero fermato. Pensavo gli avessero chiesto i documenti e sapevo bene che andava in giro senza nemmeno una fotocopia del passaporto, perché fra gli stranieri senza permesso di soggiorno si dice così, non portare il passaporto se no ti mandano indietro al tuo paese, invece senza documenti loro non possono sapere da dove vieni.

Io sono stata fermata solo una volta quando non avevo ancora il mio permesso ma non mi hanno fatto niente, mi hanno lasciata andare subito. I poliziotti erano impegnati con due ragazzi che non parlavano l’italiano.

Così quando lui era in ritardo cominciavo ad agitarmi tanto, tantissimo. Perché avevamo già un bambino...Se l’avessero fermato, io cosa avrei fatto? Nel migliore dei casi l’avrebbero espulso, nel peggiore dei casi l’avrebbero rinchiuso in un CIE, e lì sì che sarei andata fuori di testa. Decisi, nel caso l’avessero espulso, di andare subito a vivere nel suo Paese perché volevo vivere con lui e il nostro bimbo, non importa dove.

Non è mai successo, siamo ancora qui a Milano insieme e tutti quanti ora abbiamo il permesso di soggiorno. Anche se ogni due anni ci viene l’ansia del rinnovo, che comunque è legato al lavoro, e si sa, noi siamo solo mano d’opera, mica abbiamo una vita vera.

Il 20 luglio 2015 Emma Sanchez (messicana) e Michael Paulsen (statunitense) si sono sposati con rito cattolico davanti al muro che separa Tijuana in Messico da San Diego negli Stati Uniti.

Non hanno scelto loro il posto. Emma è stata espulsa dagli USA 10 anni fa. Ha vissuto negli Stati Uniti per 5 anni senza permesso di soggiorno, ha conosciuto suo marito, si sono sposati in Comune e hanno avuto dei figli. Così Emma ha deciso di tornare a Ciudad Juarez in Messico per rientrare negli Stati Uniti in modo legale. L’hanno fermata e le hanno dato il divieto di ingresso negli USA per 10 anni, anche se lei era già sposata con un cittadino americano e aveva tre figli.

I suoi figli la vanno a trovare a Tijuana una volta a settimana. Questo è l’ultimo anno dal mandato. L’anno prossimo proverà ancora ad entrare legalmente negli Stati Uniti.

Il governo statunitense deporta in media ogni anno 400.000 migranti, il 75% dei quali sono messicani. Di questi, 152.000 sono genitori di bambini nati su suolo americano, quindi con la cittadinanza americana. I bambini rimangono negli USA con i parenti più vicini oppure nelle strutture fatte apposta per accogliere i figli di migranti deportati.

Nel 2011 erano 5.100 minori. Non ci sono dati attuali precisi, visto che l’ICE (Immigration and Customs Enforcement) non li considera nemmeno.

Nel 2013 un gruppo di parlamentari repubblicani e democratici ha proposto una riforma alla legge per l’immigrazione con dei punti specifici sulla “Reunification family”. Queste riforme permetterebbero ad esempio di richiedere un visto temporaneo ai genitori deportati affinché regolarizzino la propria situazione rimanendo nel Paese, cioè senza essere obbligati a lasciare i propri figli.

Mentre il parlamento discute questa legge le persone si sposano davanti ai muri di confine, i bambini crescono senza madri o padri e le mogli piangono per i loro mariti. Chi può rispondere ad Alexis Molina, figlio di Sandra Payes deportata da anni in Guatemala, che si chiede come mai sua madre non c’è più?


giovedì 18 giugno 2015

Comunicato congiunto per chiedere attenzione per il problema delle morti in mare





L'Associazione per i Diritti Umani pubblica il seguente comunicato molto importante:




COMUNICATO AGLI ADERENTI




Il 15 giugno 2015 un gruppo di associazioni, tra cui il nostro Comitato, ha depositato presso il Consiglio Per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, una Dichiarazione congiunta sul problema delle morti di migranti nel Mediterraneo e nei Paesi di transito, che si trasmette qui di seguito.

Il nostro Comitato è molto grato al CELS di Buenos Aires per la possibilità che ci ha offerto e si augura che la collaborazione possa continuare in futuro.





Consejo de Derechos Humanos, 29a. Sesión

Enhanced interactive dialogue on the human rights of migrants

Ginebra, 15 de junio de 2015





Distinguidos Delegados,



Queremos llamar la atención del Consejo y poner en crisis una tendencia que se traduce en la desprotección de los derechos humanos de las personas migrantes.



En lo que va del año, más de 1500 personas murieron o desaparecieron al intentar cruzar el mar Mediterráneo para llegar a Europa. Entre 2013 y 2014, 6000 migrantes fallecieron en las mismas circunstancias. Estamos frente a una crisis humanitaria, una cuestión política urgente y parte central de la agenda de derechos humanos de nuestros días.



Los migrantes víctimas de redes de ilegalidad que organizan el cruce del mar en condiciones precarias, degradantes y extorsivas. Como respuesta, la Unión Europea fortalece el control migratorio en sus fronteras por medio de fuerzas armadas o de seguridad, implementa mecanismos de devolución al lugar de procedencia y amenaza utilizar material bélico contra barcos ubicados en puertos africanos.



A este preocupante cuadro se agrega la ampliación de las zonas de control migratorio en terceros países y la consolidación de operativos de interceptación de migrantes en el mar. Estas respuestas imprimen a las políticas migratorias un enfoque policial con consecuencias insoportables.



Prácticas similares se verifican en otras latitudes, como en la frontera entre Estados Unidos y México, donde los migrantes son forzados a cruzar por zonas desérticas, deportados por puntos distintos que los que cruzaron, detenidos largamente en la frontera, sometidos a procesos judiciales extreme line en los que el cruce de una frontera es considerado un crimen grave, o expropiados de sus pertenencias.



Es urgente una reformulación mundial de los modos en los que los actores locales e internacionales atienden la situación de los migrantes en las fronteras. En 2014, el Alto Comisionado publicó los Principios y Directrices sobre los Derechos Humanos en las Fronteras Internacionales. Estas normas señalan que los derechos humanos rigen dondequiera que los Estados ejerzan un control efectivo, aun fuera de sus territorios. Exigen también debido proceso, acceso a la Justicia para denunciar abusos y mecanismos de reparación. Sería muy relevante que estas Directrices se establezcan como reglas mínimas de actuación de los Estados, que sean a su vez traducidas en normas internas.



Urge dar prioridad al rescate de personas en peligro, pero es necesario, sobre todo, un replanteamiento de las políticas migratorias para que prevean mecanismos de entrada regulares, la única forma de prevenir otras tragedias y de desmantelar las bandas criminales a las que se ven obligados a recurrir para llegar al continente europeo.



Muchas gracias.





CAREF - Comisión de Apoyo a Refugiados y Migrantes

Centro de Estudios Legales y Sociales (CELS)

Comitato Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos

Conectas Direitos Humanos

Corporación Humanas – Centro Regional de Derechos Humanos y Justicia de Género






martedì 3 marzo 2015

Dall'atroce attualità alla riflessione artistica



Bernabè Abrham e Hilda Legideno Vargas sono due genitori dei ragazzi fatti sparire in Messico lo scorso 26 settembre; i giovani erano studenti della “Escuela Normal di Ayotzinapa” e, in base all'inchiesta in atto, sarebbero stati uccisi da un cartello di narcotrafficanti locale, i Guerreros Unidos.

I due genitori hanno dichiarato che il governo non ha dato loro alcun appoggio, per cui si sono rivolti alle Nazioni Unite, a Ginevra e a Bruxelles per chiedere che sia fatta luce sull'accaduto: “ In Messico non c'è giustizia per i poveri. Per questo chiediamo di venire ascoltati, che si faccia giustizia. Io rivoglio mio figlio vivo”, ha dichiarato la Sig.ra Legideno, dopo che il procuratore generale, Jesus Murillo Karam, aveva loro annunciato che i 43 ragazzi sarebbero stati assassinati e i loro resti dati alle fiamme.




Parte anche da notizie tragiche come questa, la ricerca artistica di Marcello Gentili. Cattolico, figlio di un libero pensatore e nipote di un rabbino, Gentili è un noto avvocato penalista: ha patrocinato i familiari di Pinelli, ha seguito l'iter giudiziario di Sofri, ma soprattutto si è dedicato ai parenti dei desaparecidos, difesi gratuitamente, riuscendo ad ottenere l'estradizione di Priebke e la condanna degli alti ufficiali argentini, resposanbili delle morti e delle sparizioni di tanti giovani dissidenti. 


Un vero e proprio Maestro, un uomo colto, un'arte raffinata e profonda, la sua: Gentili sceglie, come supporto delle sue opere, testate di quotidiani – una frase, un titolo, una fotografia – e disegna con i pastelli figure apparentemente stridenti con le parole: una magra e pallida modella sulla pagina del giornale trasfigura nel ritratto di Hannah Arendt; una nonna palestinese che vuole vendicare il nipotino ucciso dagli israleliani si accompagna al ritratto di Simone Weil; un bel giovane modello seminudo è accostato all'immagine di una bimba africana con una tanica...

Esempio, quindi, di Arte povera, quella dell'artista è una ricerca artistica che parte dall'attualità, che fa riflettere, usando la tecnica delle associazioni mentali, per chi ha sensibilità e pensiero critico: i suoi tratti, spesso delicati nel raccontare storie tragiche, evocano la negazione dei diritti fondamentali, la richiesta di Giustizia, l'attenzione verso gli “Altri”. Il suo lavoro fa riferimenti alti a filosofi e pensatori – Nieztsche, Wittgenstein, Giordano Bruno – a poeti e pittori – Alda Merini, Rumi, Caravaggio – che rimettono al centro la spiritualità e i valori umani positivi. Il Bene e la Bellezza che devono trionfare sul Male, ma a partire, prima di tutto, dalla coscienza di ciascuno di noi.

martedì 25 novembre 2014

Carovana per i diritti dei migranti per la dignità e la giustizia

Riceviamo questo comunicato e lo facciamo girare perché anche l'Associazione per i Diritti Umani aderirà a questa iniziativa.

Soleterre ha aderito come soggetto promotore alla Carovana Italiana per i diritti dei Migranti per la dignità e la giustizia che attraverserà l’Italia partendo da Lampedusa il 23 novembre per arrivare a Torino il 6 dicembre. Sta inoltre lavorando con altre realtà milanesi all’organizzazione di due momenti di approfondimento e confronto in occasione della tappa di Milano il prossimo 4 dicembre
La Carovana è la prima iniziativa per i diritti dei migranti realizzata in collaborazione e in simultanea alla Carovana delle Madri centroamericane in cerca dei parenti scomparsi, che per il decimo anno, percorrerà le strade che dal Centroamerica arrivano fino agli Stati Uniti attraversando il Messico, sulla rotta dei nuovi schiavi: ogni anno 400.000 migranti irregolari, senza autorizzazione o documenti, attraversano la frontiera tra Messico e Guatemala. La maggior parte di loro - uomini, donne e sempre più bambini e adolescenti - sono centroamericani che lungo le rutas verso gli Stati Uniti subiscono abusi, rapine, violenze e sequestri da parte della criminalità organizzata e dai funzionari, militari e agenti della migrazione con essa collusi. Solo il 20% riesce a raggiungere gli Stati Uniti. Ogni anno migliaia di persone scompaiono senza lasciare traccia mentre la tratta di esseri umani, dopo droga e armi, è diventata la terza fonte di guadagno della criminalità organizzata con introiti tra i 7 e i 10 miliardi di dollari l’anno. Scarica da qui il rapporto di Soleterre sulla situazione dei migranti in Messico.
In collaborazione con Amnesty International, Soleterre ha organizzato gli eventi della tappa di Milano di giovedì 4 dicembre. Siete invitati ad unirvi a noi in un doppio appuntamento:
Migrazione e criminalità organizzata in Messico 
h.15:00 presso l'Università degli studi di Milano, via Conservatorio, 7 - Milano
Realizzato con l’Osservatorio sulla Criminalità Organizzata dell'Università degli Studi di Milano, l'incontro vuole far luce sulla realtà del processo migratorio che porta centinaia di migliaia di bambini, donne e uomini centroamericani verso gli Stati Uniti attraverso il Messico - primo corridoio migratorio del mondo - e sui meccanismi che trasformano i migranti in vittime di abusi e violenze, traffico e tratta da parte della criminalità organizzata. Il tutto nell’indifferenza, che troppo spesso si trasforma in connivenza, delle istituzioni statali. Ma anche sul ruolo fondamentale della società civile per denunciare quanto accade, proteggere le vittime e sostenere i difensori dei diritti umani.
Leggi il programma
Frontiere. In Messico come nel Mediterraneo: esseri umani, non numeri 
h.19:00 presso la casa dei Diritti, via De Amicis, 10 - Milano
Una serata di approfondimento e riflessione per avvicinare la società all’esperienza che vivono le persone che lasciano il proprio Paese e vengono spesso disumanizzate nella loro condizione di migranti. Un’occasione per ascoltare le testimonianze dirette di attivisti e difensori dei diritti umani provenienti da Messico, Centroamerica e Tunisia, persone che ogni giorno rischiano la vita per denunciare quanto accade e proteggerle. Seguendo un filo che unisce il Messico al Mediterraneo, luoghi dove ogni giorno si consuma il dramma di migliaia di uomini, donne e bambini che, cercando di scappare da violenza, povertà e guerra, troppo spesso trovano solo altro dolore e morte. Il confronto sarà preceduto da una performance teatrale sul tema della migrazione "Sogno, libertà, disobbedienza"presentato da Fandema - Teatro sociale.
Leggi il programma
 

Volontà della Carovana è di richiamare l’attenzione sulla crudeltà e l’iniquità di politiche migratorie che a livello globale, in Italia come in Messico, sono caratterizzate dal disprezzo per i diritti umani di centinaia di migliaia di persone, che scappano da guerre, violenza e fame.
Politiche che invece di accogliere, sono pensate per respingere e criminalizzare e che hanno come effetto quello di lasciare campo libero alla criminalità organizzata, che del traffico e della tratta di persone ha fatto ormai una delle sue attività più lucrative.
Vogliamo, oggi più che mai, esprimere la nostra vicinanza e solidarietà a centinaia di migliaia di bambini, donne e uomini migranti che subiscono abusi, violenze e muoiono ovunque nel mondo. Morti che con leggi diverse si potrebbero evitare.
Faranno parte della Carovana italiana un gruppo di ospiti in rappresentanza delle esperienze solidali e di lotta dei migranti mesoamericani. Testimoni straordinari, che rischiano quotidianamente la vita per opporsi al potere delle bande criminali e dei settori corrotti dello stato: ci racconteranno di come agiscono i mercanti di esseri umani in Centro America e Messico, di come le autorità e gli Stati non abbiano saputo e voluto contrastarli. Clicca qui per i loro nomi e le loro biografie.
 
INVITIAMO ANCHE VOI A SOSTENERE, PROMUOVERE ED ADERIRE ALLA CAROVANA E A PARTECIPARE ALLA RACCOLTA FONDI CHE CONSENTIRÀ DI COPRIRNE LE SPESE, DAL MOMENTO CHE NON RICEVE ALCUN FINANZIAMENTO PUBBLICO.

Clicca qui per conoscere tutte le tappe della Carovana Italiana.
 
PER MAGGIORI INFORMAZIONI E PER ADERIRE ALLA CAROVANA
Web: www.carovanemigranti.org
Facebook: https://www.facebook.com/carovanemigranti
Twitter: https://twitter.com/Cmigranti

sabato 15 novembre 2014

Per i 43 studenti uccisi in Messico



L'Associazione per i Diritti Umani vi invita a leggere e poi a firmare il seguente appello, per la memoria di quei 43 studenti ammazzati in Messico e per i loro familiari. Ricordiamo cosa è accaduto: la notte del 26 settembre un gruppo di studenti si sono impossessati di tre autobus per protestare, la polizia locale ha aperto il fuoco contro i manifestanti e ha ucciso uno studente. Nelle ore successive, mentre gli studenti denunciavano l’accaduto, un gruppo armato li ha attaccati. Allo stesso tempo un altro gruppo ha aperto il fuoco contro un autobus che trasportava una squadra di calcio, uccidendo un giocatore. È stato dimostrato che le armi usate dal commando erano della polizia.



L'iniziativa è stata lanciata da Amnesty: www.amnesty.it



Dopo la conferma che i 43 studenti dell'istituto per maestri di Ayotzinapa scomparsi il 26 settembre a Iguala sono stati uccisi e bruciati e i loro resti gettati in un fiume, Amnesty International ha accusato il procuratore generale del Messico, Jesus Murillo Karam, di non aver evidenziato le complicità del governo in questa tragedia.
Le indagini sono state limitate e incomplete e non hanno messo in luce la radicata collusione tra lo stato e la criminalità organizzata, che spiega le gravi violazioni dei diritti umani che hanno luogo in Messico.

Il sindaco di Iguala, il principale imputato per la sparizione dei 43 studenti, è stato a lungo sospettato di corruzione e gravi crimini. Nel giugno 2013 un sopravvissuto a un attacco contro otto attivisti aveva accusato il sindaco di aver preso direttamente parte all'azione, nel corso della quale tre degli attivisti furono uccisi. Il sopravvissuto fornì un resoconto dettagliato, che fu consegnato a un notaio per paura della corruzione della polizia. Il procuratore dello stato di Guerrero non indagò sulla sua denuncia e, nonostante le schiaccianti prove contro il sindaco, l'indagine è stata chiusa nel maggio 2014.

Nel corso delle ricerche sui 43 studenti scomparsi il 26 settembre a Iguala, nella zona sono state rinvenute 19 fosse comuni. Finora sono state arrestate 74 persone. Durante l'attacco agli studenti, sono state uccise sei persone.

Quarantatré studenti scomparsi risultano ancora dispersi dopo che la polizia ha aperto il fuoco contro di loro e dopo essere stati attaccati da sconosciuti a Iguala, stato di Guerrero. Ventotto corpi, non identificati, sono stati ritrovati in una fossa comune vicino a Iguala; la ricerca delle persone scomparse continua.

I 43 studenti non sono stati ritrovati dalla loro sparizione, il 26 settembre nella città di Iguala, nello stato di Guerrero, nel Messico meridionale. Circa 25 di loro erano stati arrestati dalla polizia municipale, mentre gli altri sono stati rapiti da uomini armati non identificati che hanno operato con l'acquiescenza delle autorità locali, poche ore dopo. Tutti gli studenti scomparsi sono vittime di sparizione forzata.

Il 5 ottobre funzionari dello stato di Guerrero hanno ritrovano sei fosse comuni nei pressi di Iguala, a quanto pare a seguito di informazioni fornite da alcuni dei 22 agenti della polizia municipale attualmente in stato di arresto. Almeno 28 corpi sono stati esumati, ma devono  essere effettuati esami medico-legali per identificare i cadaveri. Non è ancora chiaro se si tratta  degli studenti rapiti. Sulla base di una petizione dei rappresentanti di parenti delle vittime, esperti forensi internazionali indipendenti stanno aiutando nel processo di identificazione.

L'Ufficio del procuratore generale federale (Procuraduria General de la República, Pgr) si è assunto l'incarico di gestire l'indagine sulle fosse comuni e l'identificazione dei cadaveri. Tuttavia, l'indagine sulle sparizioni e sugli omicidi di altre sei persone, il 26 settembre - tra l'altro funzionale a determinare dove siano i 43 studenti - rimane all'Ufficio del procuratore generale dello stato di Guerrero, nonostante le accuse di possibili legami con gruppi criminali e la sua ripetuta incapacità di svolgere indagini efficaci su gravi violazioni dei diritti umani.

La gravità di queste sparizioni forzate e omicidi, associata al coinvolgimento del crimine organizzato, è sufficiente perché la Pgr rivendichi la competenza su questi casi, ma finora non è riuscita a farlo.



domenica 26 ottobre 2014

Donne di sabbia


Cari lettori, vi giriamo questa comunicazione che ci riteniamo interessante.





Da diversi anni il gruppo teatrale Donne di sabbia aderisce al Tavolo torinese per le Madri di Ciudad Juárez. Partendo dal femminicidio che si consuma in questa città messicana, il Tavolo si interessa anche del tragico fenomeno dei migranti centroamericani che attraversano il Messico per raggiungere la frontiera con gli Stati Uniti. Durante il tragitto i migranti subiscono le violenze di gruppi criminali che trovano in questa tratta di esseri umani una nuova fonte di reddito. Dal deserto messicano al Mediterraneo il problema dei migranti pone degli interrogativi ma anche la necessità di "non ripetere errori di sottovalutazione di fenomeni che ci paiono lontani ma che sono drammaticamente dietro l'uscio di casa".





E' così nata l'idea della Carovana italiana per i diritti dei migranti, per la dignità e la giustizia (che, partendo da Lampedusa risalirà la penisola italiana per arrivare a Torino, dal 23 novembre al 6 dicembre) in solidarietà con la Caravana de Madres Centroamericanas buscando a sus migrantes desaparecidos (che si svolgerà in Messico nello stesso periodo).






Per i dettagli sulla Carovana vi invito a visitare:




Web
http://www.carovanemigranti.org/



Facebook
https://www.facebook.com/carovanemigranti



Twitter
CarovaneMigranti (@CMigranti) | Twitter



 


Donne di sabbia



www.donnedisabbia.com

venerdì 8 novembre 2013

La gabbia dorata: al cinema per riflettere ancora sul tema delle migrazioni



E' uscito nelle sale italiane ieri, 7 novembre, un film utile e interessante: La gabbia dorata che, attraverso il codice linguistico dell'arte cinematografica, approfondisce e fa riflettere su uno dei temi di maggiore attualità sociale e politica, quello delle migrazioni.
Abbiamo deciso di pubblicare per voi la recensione di Luca Scarafile, in collaborazione con Cinequanon.it.



La jaula de oro (La gabbia dorata), nelle sale italiane dal 7 novembre, non è certo un film che è stato trascurato dalla critica. A testimoniarlo ci sono il Grifone d’oro al Giffoni Film Festival, il prestigioso A certain talent prize a Cannes, infine la recente consacrazione, in data 6 ottobre 2013, con il trionfo al nono Festival di Zurigo. Riconoscimento quest’ultimo che, mai come questa volta, ci colpisce come un pugno nello stomaco, portando con sé il sorriso amaro e beffardo del destino. Già, perché arriva mentre il 3 ottobre 2013 sta passando alla storia come il giorno della strage di Lampedusa, perché il primo lungometraggio del regista spagnolo Diego Quemada-Diez è e vuole essere innanzitutto proprio un film sull’emigrazione.
Così, mentre increduli nella nostra impotenza stiamo contando i corpi esanimi di chi scorgeva nel Vecchio continente la Terra promessa, di chi sperava e che, per quello stesso sperare, ha dovuto arrendersi alla morte, il cinema, pur senza saperlo, ci offre un commento della tragedia meno retorico e superficiale delle parole di tanti opinionisti che riempiono televisioni e giornali. Poco conta che siano gli Stati Uniti l’Atlantide di una felicità mai vissuta, che le terre della disperazione siano il Guatemala o il Messico e non l’Eritrea o la Siria, perché in ogni dove e in ogni quando sono la stessa voglia di riscatto, la stesso mito dell’altrove, la stessa miseria a spingere fiumi di uomini in un’impresa che per i più non troverà alcuna redenzione.
Ecco allora la storia di Juan, Sara e Samuel, tre giovanissimi guatemalchi che decidono di imbattersi in un viaggio verso gli Stati Uniti, terra dell’abbondanza e del capitalismo più scintillante. Di questo viaggio non sanno nulla, ma del resto nulla hanno da perdere. A loro ben presto si aggiungerà Chauk, un indio del Chiapas che non parla una parola di spagnolo e le cui azioni aderiscono a una logica primordiale, quella del cuore e del sentimento, che i suoi compagni dovranno faticosamente imparare a decifrare.
È un intreccio semplice e lineare quello scelto da Quemada-Diez, narrato attraverso una regia che talvolta assume intenzionalmente una piega documentaristica, ma che riesce ad indagare a fondo quel cumulo di insidie, speranze e illusioni che costituisce il fardello di ogni migrante. Sui tetti dei treni merci in cui clandestinamente si tenta di accorciare la traversata, tra la violenza dei delinquenti pronti ad approfittare di chi non è protetto da nessuno, di fronte ai cecchini statunitensi che attendono gli stranieri al confine, questo viaggio
on the road si tramuta così in un vero e proprio romanzo di formazione, un viaggio in cui non tutti possono farcela e nel quale, anche chi ce la fa, sembra non trovare il riscatto di cui era in cerca .
Ciò che si conquista attraverso lo sguardo di questi cinque adolescenti è allora soltanto il disincanto, impressione crudele quanto realistica, a cui lo spettatore è educato dall’uso sapiente della recitazione di attori non professionisti, uso nel quale Quemada-Diez dimostra di aver ben recepito la lezione di Ken Loach con il quale ha collaborato.
A mancare non è nemmeno il richiamo metaforico, mai eccessivo o criptico, delle immagini. C’è innanzitutto la neve, la neve che irrompe, quantomai inaspettata, nei momenti cruciali del film: cade lenta e senza sosta in alcune inquadrature fisse facendo da contrappunto a questo viaggio disperato, come un destino dal significato velato fa da contrappunto, spesso ironico e maligno, alle nostre aspettative, ma è anche la neve che si fa bufera nell’ultima sequenza del film, quasi che quel significato incerto si sia infine rivelato nella sua tragicità. C’è poi l’enorme macello californiano in cui Juan, l’unico superstite di questa tormentata ascesa, finisce a lavorare: quasi a chiedere allo spettatore se la storia, come voleva qualche filosofo, non sia altro per noi singoli individui che un “banco da macellaio”.
C’è infine quel treno che corre sempre su una linea retta e che è lì, nelle intenzioni dichiarate del regista, a incarnare la fede incrollabile nel progresso, in quel grande racconto
metafisico che fa dell’Occidente, per chi almeno ha provato a sperare, la meta ammaliante e sempre ambita del benessere. Ma del resto senza una fede, che sia in un etereo aldilà ultraterreno o in un aldiquà finalmente redento da una felicità per tutti allo stesso modo, forse non si può vivere. Come evoca il canto che chiosa una delle ultime sequenze del film: “Ho perso la fede, è necessario trovarla”.


giovedì 27 giugno 2013

Le vittime sono ancora i bambini



Mercoledì 26 giugno: ieri è stata la giornata internazionale contro la droga e le tossicodipendenze di cui, spesso, anche i bambini ne sono le vittime incosapevoli. E noi vogliamo raccontarvi una storia.
E' quella dei tarahumara, una popolazione indigena che risiede in Messico, chiamati così dagli Spagnoli: loro si definiscono “raràmuri” che significa “pianta adatta per la corsa”, perchè la corsa è da loro molto seguita. Si contano tra i 50.000 e i 70.000 tarahumara, alcuni di loro sono transumanti, altri stanziali: vivono nelle grotte tra le montagne o in piccole capanne di legno o pietra, coltivano mais e fagioli e si dedicano all'allevamento.
Dal punto di vista religioso, i “dottori” o le “guide spirituali” praticano la magia bianca e la magia nera e lo sciamano è il guardiano che deve sovraintendere alla comunità, facendo da tramite tra gli uomini e gli astri. Il “Male” è spesso identificato con l'uomo bianco che approfitta della persone, che non rispetta la Natura, che vuole impossessarsi delle ricchezze senza condividerle. Tutto questo è frutto della colonizzazione, irrispettosa e violenta.
Secondo la tradizione tarahumara, Dio creò i raràmuri, mentre il diavolo gli chacabochi e la leggenda vuole che i raràmuri furono sconfitti, in una sfida, dai chacabochi per cui Dio si arrabbiò e condannò i raràmuri alla povertà. I raràmuri, ancora oggi, vivono nelle foreste, tra i monti, nella miseria e, spesso, i bambini fanno uso di sostanze stupefacenti ma, cosa ancor più grave, vengono sfruttati dai narcotrafficanti.
La droga arricchisce le grandi organizzazioni criminali e alimenta un commercio illegale basato sul sangue, sulla violenza e sugli abusi proprio dei più deboli. In Messico (come in molti altri Paesi del centro e sud America) il problema del narcotraffico è aumentato in maniera esponenziale: dopo l'egemonia della Colombia negli anni '90, i “cartelli” messicani hanno preso il sopravvento, favoriti dalla coltivazione in loco e dal traffico della droga sintetizzata e destinata agli Stati Uniti e all' Europa.
Tra le numerose zone impervie, all'interno del Messico, vi è la Sierra Tarahumara, una catena montuosa situata nel nord-ovest del Paese, un'area molto isolata e difficile da raggiungere e, proprio qui, vivono i raràmuri. A peggiorare la situazione, nell'ultimo anno, una terribile siccità ha colpito la sierra, esponendo gli indigeni al rischio di malnutrizione se non addirittura, alla fame: problema ulteriore che si è andato ad aggiungere, come dicevamo, all'indigenza e all'analfebetismo. Proprio a causa di questa debolezza economica e sociale, i raràmuri (e, in particolare, i bambini e gli adolescenti) sono preda dei narcotrafficanti che - con le minacce o con la promessa di denaro - li arruolano negli eserciti del crimine.
La Fondazione Fratelli dimenticati ha, quindi, deciso di aprire, nei villaggi, numerosi centri in cui i bambini e i ragazzi possano frequentare la scuola e, quindi, essere inseriti in percorsi di prevenzione e di reinserimento, attraverso l'educazione all'amore, al rispetto dell'Altro e della vita, alla cooperazione: ai valori positivi. Per offrire questa opportunità ai giovani, la Fondazione ristruttura vecchi edifici, acquista lavabi, materassi e anche librerie; ha dovuto, nel corso del tempo, sistemare anche le cisterne per la raccolta dell'acqua, costruire le tettoie per i sebatoi del gas e garantire assistenza sanitaria: i progetti, infatti, si articolano in attività che si pongono l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita della popolazione da tutti i punti di vista: quello pratico e quello cuturale. Perchè si deve partire proprio dalla cultura, per cambiare mentalità e stile di vita. E ricominciare a credere, onestamente, nel futuro.

La Fondazione Fratelli Dimenticati Onlus, per poter continuare a realizzare tutto questo, vi chiede un contributo per il sostegno a distanza; un sostegno che serve ad abbattere i costi di gestione dei vari progetti: http://www.fratellidimenticati.it/sostegno-a-distanza/

Per effettuare le offerte:

Paypal, con versamento in conto corrente postale n. 11482353, con bonifico bancario (fiscalmente deducibili), oppure direttamente presso le filiali de “I fratelli dimenticati”