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domenica 29 novembre 2015

Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista, condannato a morte da un tribunale dell’Arabia Saudita




Ashraf Fayadh, poeta, curatore e artista, è stato condannato a morte da un tribunale dell’Arabia Saudita, paese dove è nato da genitori palestinesi. 
È accusato di aver promosso l’ateismo con i suoi testi inclusi nell’antologia poetica "Instructions within" (2008), di aver avuto relazioni illecite, di aver mancato di rispetto al profeta Maometto e di aver minacciato la moralità saudita. La sentenza è stata emessa il 17 novembre ed è previsto che Fayadh possa presentare una richiesta d’appello entro trenta giorni.
Fayadh, 35 anni, è rappresentante dell’organizzazione di artisti britannico-saudita Edge of Arabia. Nel 2013 è stato tra i curatori della mostra Rhizoma alla Biennale di Venezia. È stato arrestato nel gennaio del 2014 e nel maggio dello stesso anno è stato condannato a quattro anni di prigione e 800 frustate da un tribunale di Abha, nel sudovest dell’Arabia Saudita.
Dopo che il suo primo ricorso è stato respinto, una nuova corte lo ha condannato a morte.

Mona Kareem, poeta e attivista per i diritti dei migranti che ha lanciato una campagna per la liberazione di Fayadh, ha detto al Guardian che il poeta non può chiedere a un avvocato di difenderlo perché dal giorno del suo arresto non ha più i documenti d’identità. Secondo Kareem, Fayadh sarebbe vittima di discriminazione perché di origine palestinese.
Durante le udienze il poeta ha dichiarato di essere musulmano e ha respinto le accuse.
Libertà per il poeta #AshrafFayadh condannato a morte in Arabia Saudita.
 
 
PER FIRMARE la PETIZIONE SU CHANGE.ORG:

domenica 14 giugno 2015

Reading per Darwish


Domenica, 14 giugno, alle ore 10.30, per la rassegna letteraria “Area P, Milano incontra la poesia”, promossa dal Comune, Palazzo Marino si apre alla città per l’omaggio al poeta palestinese Mahmud Darwish.




L'Associazione per i Diritti Umani vi ripropone l'articolo di Monica Macchi sulla sua opera.




di Monica Macchi






على هذه الأرض

كَانَتْ تُسَمَّى فِلِسْطِين. صَارَتْ تُسَمَّى

فلسْطِين. سَيِّدَتي: أَستحِقُّ، لأنَّكِ سيِّدَتِي، أَسْتَحِقُّ الحَيَاةْ





Su questa terra

si chiamava Palestina,

si chiama ancora Palestina,

su questa terra mia Signora, ho diritto alla vita





L’Italia ha festeggiato il compleanno di Mahmud Darwish con un reading collettivo organizzato in dodici città dall’associazione Arabismo: un omaggio al cantore della Palestina ed insieme un atto contro il rischio di oblio e di progressiva scomparsa. Infatti, da quando ha chiuso la casa editrice Epochè, i suoi testi sono reperibili con sempre maggior difficoltà. Ma si è trasformato anche in una denuncia contro la censura visto che alla Fiera del Libro di Riyadh le opere di Darwish sono state tolte dagli stand perchè, come dichiarato da Abdulaziz Khoja, Ministro della Cultura e dell’Informazione, “destabilizzano l’unità e la sicurezza del regno”.

 


A Milano la serata è stata organizzata in collaborazione con l’Associazione Barzakh ed è stata presentata da Jolanda Guardi e Giacomo Longhi che hanno scelto le poesie seguendo il filo conduttore della molteplicità delle voci del poeta: non solo la memoria della terra e la vicinanza agli oppressi, ma anche la sottile vena ironica, come in
أنا يوسف يا أبي dove Darwish scrive:



وَالذِّئْبُ أَرْحَمُ مِنْ إِخْوَتِي يَمْدَحُونِي يُرِيدُونَنِي أَنْ أَمُوتَ لِكَيْ إِخْوَتِي


i miei fratelli sperano che io muoia per poi elogiarmi…il lupo è stato più compassionevole dei miei fratelli”) e anche poesie d’amore come “Lezioni dal Kamasutra”



اُنتظرها


بسبعِ وسائدَ مَحْشُوَّةٍ بالسحابِ الخفيفِ

اُنتظرها


تحدَّثْ إليها كما يتحدَّثُ نايٌ

إلى وَتَرٍ خائفٍ



Aspettala con sette cuscini riempiti di nuvole leggere, aspettala, parlale come parla il flauto alla corda spaventata del violino”



Darwish poeta, ma non solo: a luglio è infatti prevista la pubblicazione per la casa editrice Feltrinelli di una trilogia in prosa che conterrà “Diario di ordinaria tristezza”; “Una memoria per l’oblio” e “In presenza dell’assenza”, tradotte in italiano da Elisabetta Bartuli e Ramona Ciucani.




Ed ora la parola a Darwish:

 


(Lettura in arabo di Khaled Al Nassiry, lettura in italiano di Silvia Rigon, al pianoforte Riccardo Rijoff)




Il testo sarà letto integralmente in forma di concerto da Anna Delfina Arcostanzo e Marco Gobetti, con musica dal vivo di Beppe Turletti.
Il poeta irakeno Fawzi-al-Delmi, esperto di poesia araba, traduttore di Adonis e
dello stesso Darwish, presenterà l’autore e leggerà alcuni brani in lingua originale.

Mahmoud Darwish (1941-2008) è stato il più grande poeta e scrittore palestinese.
Autore di oltre venti raccolte di poesie, è stato giornalista e direttore della
rivista letteraria “al-Karmel” (il Carmelo). Impegnato anche politicamente per
la difesa del suo popolo, è scomparso prematuramente in seguito a un intervento
cardiaco.

giovedì 16 aprile 2015

STATO D’ASSEDIO: da Ramallah una metafora della condizione esistenziale universale

di Monica Macchi

Ho scritto 20 righe di poesia

E mi è sembrato che l’assedio

sia arretrato di 20 metri

Mahmoud Darwish







Ogni prodotto artistico è influenzato dall’ambiente culturale cioè da una serie di condizioni economiche, politiche, sociali e sovrastrutturali in cui viene creato e si sviluppa. Pensato e scritto durante l’occupazione e l’assedio di Ramallah del 2002, questo testo crea un nuovo canone estetico della scrittura in un ambiente di mobilitazione sociale e politica. La condizione generale della Palestina diventa condizione personale intima che si sviluppa lungo la linea dell’assedio in un continuo rimando collettivo/personale, oggettivo/soggettivo: l’intera comunità crea l’atto artistico che diventa contemporaneamente anche atto di resistenza.
In particolare in arabo il termine “ حالة” “Stato” è ripreso dal sufismo (dove indica lo stato di estasi in cui il mistico cerca di arrivare alla comunione con Allah) ma viene utilizzato da Darwish come necessità di esprimersi attraverso la parola per entrare in comunione con la collettività di cui fa parte. Le condizioni collettive sociali, oggettive e reali sono allo stesso tempo soggettive: così l’esterno si riversa all’interno del poeta anche nello stile. Infatti attraverso particolari di oggetti quotidiani con parole esili, nude e secche si esprime il legame con la terra e con ciò che il luogo richiama mentre l’orizzonte culturale amplissimo ha un’intertestualità che rimanda a una memoria mitica plurale e stratificata che va dalla poesia araba classica, al dialetto locale, alla musicalità andalusa con una complessità di ritmo che in italiano viene reso con l’allitterazione.
Quindi la soggettività rappresenta l’unico mezzo per esprimersi nella collettività e l’esperienza individuale palestinese diventa così metafora di una condizione esistenziale universale.



Ed ecco la LETTURA INTEGRALE DEL POEMA https://www.youtube.com/watch?v=ccF7ZphXO10




giovedì 27 marzo 2014

Reading per Darwish, di Monica Macchi

 


على هذه الأرض
كَانَتْ تُسَمَّى فِلِسْطِين. صَارَتْ تُسَمَّى
فلسْطِين. سَيِّدَتي: أَستحِقُّ، لأنَّكِ سيِّدَتِي، أَسْتَحِقُّ الحَيَاةْ

 

Su questa terra
si chiamava Palestina,
si chiama ancora Palestina,
su questa terra mia Signora, ho diritto alla vita
 
 
 
L’Italia ha festeggiato il compleanno di Mahmud Darwish con un reading collettivo organizzato in dodici città dall’associazione Arabismo: un omaggio al cantore della Palestina ed insieme un atto contro il rischio di oblio e di progressiva scomparsa. Infatti, da quando ha chiuso la casa editrice Epochè, i suoi testi sono reperibili con sempre maggior difficoltà. Ma si è trasformato anche in una denuncia contro la censura visto che alla Fiera del Libro di Riyadh le opere di Darwish sono state tolte dagli stand perchè, come dichiarato da Abdulaziz Khoja, Ministro della Cultura e dell’Informazione, “destabilizzano l’unità e la sicurezza del regno”.




A Milano la serata è stata organizzata in collaborazione con l’Associazione Barzakh ed è stata presentata da Jolanda Guardi e Giacomo Longhi che hanno scelto le poesie seguendo il filo conduttore della molteplicità delle voci del poeta: non solo la memoria della terra e la vicinanza agli oppressi, ma anche la sottile vena ironica, come in
أنا يوسف يا أبي dove Darwish scrive:
 
 

وَالذِّئْبُ أَرْحَمُ مِنْ إِخْوَتِي يَمْدَحُونِي يُرِيدُونَنِي أَنْ أَمُوتَ لِكَيْ إِخْوَتِي

i miei fratelli sperano che io muoia per poi elogiarmi…il lupo è stato più compassionevole dei miei fratelli”) e anche poesie d’amore come “Lezioni dal Kamasutra”
 
 

اُنتظرها

بسبعِ وسائدَ مَحْشُوَّةٍ بالسحابِ الخفيفِ

اُنتظرها

تحدَّثْ إليها كما يتحدَّثُ نايٌ

 

إلى وَتَرٍ خائفٍ


 “Aspettala con sette cuscini riempiti di nuvole leggere, aspettala, parlale come parla il flauto alla corda spaventata del violino”



Darwish poeta, ma non solo: a luglio è infatti prevista la pubblicazione per la casa editrice Feltrinelli di una trilogia in prosa che conterrà “Diario di ordinaria tristezza”; “Una memoria per l’oblio” e “In presenza dell’assenza”, tradotte in italiano da Elisabetta Bartuli e Ramona Ciucani.




Ed ora la parola a Darwish:

 




(Lettura in arabo di Khaled Al Nassiry, lettura in italiano di Silvia Rigon, al pianoforte Riccardo Rijoff)

venerdì 7 febbraio 2014

La guerra e l'amore, l'orrore e la bellezza: le poesie di Golan Haji






Golan Haji è un giovane poeta curdo siriano, patologo di professione, ma poeta di fama riconosciuta, vincitore di molti premi letterari e collaboratore per diversi organi di stampa libanesi anche se ora vive in esilio in Francia a causa della guerra civile nel suo Paese d'origine.

In questi giorni è uscita la raccolta dal titolo “L'autunno, qui, è magico e immenso”, ed. Il Sirente, in cui l'autore propone le sue liriche, scritte negli ultimi due anni e pubblicate per la prima volta in italiano e con testo arabo originale a fronte. 

La guerra è fatta di lance che trasfigurano il corpo della terra; l'orrore comporta paura, solitudine e abbandono; l'esilio può essere ironia e la bellezza, cosa può essere la bellezza se non lo sguardo di un bambino e un desiderio nascosto dietro la spalla e sotto le ciglia?

Riprendendo la lezione di Italo Calvino nelle sue “Lezioni americane”, la poesia, nel testo di Haji, si pone, nei confronti della guerra, come Perseo di fronte alla testa della Gorgone: il poeta non rimane pietrificato perchè non guarda la testa, ma i suoi riflessi nello scudo. Un poeta, Haji, fortemente ancorato alla contemporaneità, ma che non permette all'orrore di pietrificare anche la libertà insita nel fare poesia. Nei suoi versi orizzonti, corpi e anime sono composti dalla stessa materia e quelle pietre o quelle lance possono farsi nuvole.

L'autore, infatti, dice: “Per uno scrittore in una situazione come quella della Siria, usando l'uscita di sicurezza dell'incubo per superare le lacrime e il dolore, è importante riuscire a vedere noi stessi in modo diverso, la nostra memoria e il nostro passato. Dobbiamo meditare e contemplare il passaggio di tempo degli ultimi due anni e interrogarci”.


Dal corpo della terra evaporare

le piogge gli avevano insegnato,

all'ombra delle rose addormentarsi

i gatti gli avevano insegnato;

e il pozzo lo guidava ad occultarsi.

Gialle le foglie in giro volano e urlano;

e l'affanno dell'albero lui ascolta.

Il mondo è lacerante come le punte delle lance,

brandelli sventolano come stendardi nell'arena

dove i folli nuotavano nelle nostre ferite

pregandole di rimanere aperte;

e nulla questo sangue fermerà

escluso il sole e il vento.




Da: L'autunno, qui, è magico e immenso

sabato 2 novembre 2013

La carovana dei diritti...continua ! Con un altro invito per voi

Cari amici, 
la carovana dei diritti, organizzata dall'Associazione per i Diritti Umani, continua grazie a voi e con voi.

Vi invitiamo al prossimo incontro con gli scrittori romeni: Viorel Boldis e Ingrid Beatrice Coman per la presentazione della raccolta di poesie "150 grammi di poesia d'amore" e del romanzo "Per chi crescono le rose", alla presenza dei due autori e di Raffaele Taddeo, presidente dell'associazione interculturale La Tenda. E, alla fine, ci sarà un'altra bella sorpresa...! 

Vi aspettiamo DOMENICA 10 NOVEMBRE, alle ore 19.00 

presso la LIGERA, in Via Padova, 133 Milano







giovedì 21 marzo 2013

Giornata contro il razzismo e le discriminazioni: una poesia di Viorel Boldis


 
 
A MEZZ'ARIA TRA DUE PATRIE


Non abbiamo più neanche il coraggio di sognare,
neanche il coraggio di volare,
perché qualcuno ci ha preso tutto, il corpo e l’anima,
le braccia e la mente e pure le impronte.

Ma quale vita, quali sacrifici meritano di essere vissuti
sempre sui bordi di uno scoglio,
sempre a mezz’aria tra i nostri sogni e questa realtà?

Guardate, guardate le nostre scarpe
come sono sporche della polvere di tanti paesi.
Guardate, guardate le nostre facce
come sono diverse e colorate!

Non abbiamo più neanche il coraggio
di ridere o piangere insieme.
Tristi e smarriti su strade che non sono le nostre,
dentro i destini che non vogliamo, ma subiamo.

Io essere bravo signore
...io avere documenti in regola signore
...io non rubare signore
...io lavorare e basta signore
...sì signore ...sì signore ...”
...oh Signore!

Ma quale io, non c’è più, non esiste più il nostro io,
è rimasto inchiodato nel passato, nei ricordi
che piano piano svaniscono
inghiottiti da tutta questa nebbia.

Guardate, guardate come sono sottili le nostre vite,
quasi ve le potete infilare nelle tasche
e tirarle fuori soltanto nel momento del bisogno,
per pulirvi le mani o soffiarvi il naso,
o chissà, se per caso vi manca la carta igienica...

Che noia il ticchettare monotono del tempo
quando sconfitti dalla vita e con la testa china
girovaghiamo sulle vostre strade, nelle vostre città,
e vi vogliamo bene, magari non per amore
ma per non odiarvi.

Che noia questo ticchettare monotono del tempo,
e peggio ancora quando non si ha un senso di marcia,
quando non si conosce il punto d’arrivo,
ma soltanto la strada, tortuosa e sempre, sempre in salita.

Guardate, guardate signori, nei nostri occhi
luccicano le vostre lacrime...
 
 
di Viorel Boldis, poeta e scrittore 

lunedì 7 gennaio 2013

La paura dell'Altro - scritto da Viorel Boldis, poeta e scrittore rumeno


Forse la parola che più delle volte viene abbinata allo straniero è la PAURA! Nell’abbordare il tema della paura, bisogna prescindere dal seguente quesito: i confini culturali coincidono con i confini geografici? Lo spostamento, lo sradicamento migratorio, non essendo soltanto geografico, ma anche identitario e socioculturale, come facciamo a capire dove finisce una cultura e dove comincia un’altra?

Oggi il mondo, oltre a essere diviso e insicuro, è anche abitato sempre più da culture diverse che entrano in contatto molto più velocemente rispetto al passato. Queste altre culture generano ombre, paura, intolleranza, inquietudine, proprio perché sono sconosciute, perché portano mondi e modi diversi di vivere la quotidianità.

La diversità culturale è diventato uno dei problemi maggiori con il quale il mondo globalizzato si confronta. La diversità culturale non produce necessariamente incompatibilità di convivere e di comunicare. È l’immagine sbagliata che si crea attraverso percezioni e stereotipi veicolati ripetutamente che ci fa credere che l’altro, il nuovo arrivato, non è compatibile con il nostro modo di vivere, e così, ogni tentativo di comunicazione viene frainteso, e più delle volte il dibattito si trasforma in conflitto.

È naturale chiedersi quali sono le cause della paura del diverso in generale, e della diversità culturale che il diverso, l’altro, porta con se. Si potrebbe attingere agli archetipi primordiali e non saremo in errore, poiché la maggior parte delle paure che l’essere umano sperimenta, hanno radici proprio negli archetipi primordiali. Ma, se vogliamo una spiegazione più semplice e vicina ai giorni nostri, possiamo rispondere cercando di capire come viene percepito e giudicato oggi lo straniero: lo straniero, l’altro, viene giudicato non per quello che è, ma per come viene definito dai mass media e dalla politica. Di conseguenza, le comunità straniere appaiono agli occhi della popolazione ospitante, non così come sono, ma come sono definite.

In realtà, la paura della diversità culturale in un mondo che attraverso la globalizzazione si sta sempre più uniformizzando, è, in un certo senso, un paradosso.

Un’altra causa che contribuisce alla paura della diversità culturale è, senza ombra di dubbio, la velocità, la rapidità delle mutazioni che avvengono a livello planetario, ma anche la velocità con la quale viaggiano le notizie. L’informatizzazione dei media, ma soprattutto l’avvento dell’internet, ha fatto si che, praticamente, qualsiasi notizia venga divulgata in tempo reale. Ma quello che influisce di più sulla percezione delle notizie che riguardano il diverso, lo straniero, è la filtrazione, l’alterazione di tali notizie da parte dei mass media. Tante volte abbiamo visto come le notizie che riguardano i stranieri vengono distorte. I giornalisti, purtroppo, si lasciano influenzare dagli stessi stereotipi che, in realtà, dovrebbero combattere. E, siccome oggi il mondo viene percepito soprattutto attraverso i mass media, possiamo affermare che i mass media hanno il ruolo principale per quello che riguarda la percezione della diversità culturale.

Possiamo dire che la cultura che ogni individuo sperimenta, è una cultura di tipo stanziale, che non va oltre la conoscenza acquisita e le esperienze vissute. Una cultura di tipo stanziale è anche una cultura statica, che rischia di coinvolgere e influenzare anche le altre sfere della società, inclusa quella economica. La crisi che l’Italia attraversa è un esempio eloquente da questo punto di vista.

Tra le cause che contribuiscono alla paura dell’altro, non possiamo non aggiungere le differenze religiose che separano i popoli. In questo caso, il più delle volte, ci accorgiamo come la paura della diversità culturale si trasforma in odio. Il diverso viene percepito sempre più come l’ostile, l’avversario da combattere, il nemico per eccellenza, perché non credendo nel nostro Dio, il diverso viene percepito come amico del nostro Diavolo. Purtroppo questo è uno degli stereotipi più diffusi e pericolosi, che da sempre genera guerre e divisioni.

Come fare per contrastare tali convinzioni? Quali mezzi, quali strumenti dobbiamo o possiamo usare noi stranieri, per primi, per farci conoscere per quello che siamo, per allontanare i sospetti, per far sì che la diversità culturale sia percepita come ricchezza, e non come fonte di paure, inquietudini, conflitti?

Per contrastare tali stereotipi, bisogna comprendere e dialogare, questi sono i principali pilastri dell’interculturalità: comprendere e dialogare, ragionare insieme, condividere.

Innanzitutto bisogna contrastare la stereotipizzazione mediatica della diversità culturale, rispecchiata sia nei mass media che nei discorsi populisti che ogni tanto si sentono nei periodi delle campagne elettorali.

Bisogna svestire l’interculturalità tanto sbandierata nei ultimi tempi, e renderla più visibile, più alla portata della società che la circonda.

L’intreccio di culture diverse non deve, per forza, amalgamare concetti e idee, valori e verità: nessuna cultura ha l’esclusività della verità o dei valori. L’intreccio di culture diverse può, e deve coesistere, non contrastandosi a vicenda, ma generando magari nuovi valori, e perché no, nuove società.

Volendo, possiamo liberaci dagli stereotipi, possiamo non essere sempre prigionieri della nostra cultura stanziale, o del nostro linguaggio, o delle nostre tradizioni. Questo non significa rinunciare alla nostra cultura, o ai nostri valori, o alla nostra lingua, o alle nostre tradizioni, significa semplicemente coesistere e condividere, e all’occorrenza tollerare.

La paura della diversità culturale non riguarda soltanto il ricco occidente, ma, con l’avvento della globalizzazione, agisce in modo trasversale, e trasversale è anche l’angoscia e l’ansia che essa genera. Di conseguenza, se vogliamo trovare un rimedio alla paura del diverso e della diversità culturale, questo deve essere e deve agire in modo trasversale. E non c'è niente di meglio in questo senso, de la cultura, de la letteratura, de la musica, dell'arte in tutte le sue forme.

Il ricorso alla cultura per affermare la propria identità è inevitabile, perché le comunità straniere diventano “visibili” attraverso la “matrice” culturale che le caratterizza, che mette in luce le loro abitudini e tradizioni, i loro valori.

La definizione dell’altro attraverso i principi culturali, implica la sua collocazione su una scala di valori materiali e spirituali riconosciuta dalla comunità ospitante.

La cultura favorisce la conoscenza in profondità dell’altro e, di conseguenza, evidenzia i suoi lati fondamentali, oltre alle sue abilità sociali.

Più delle volte l’immigrato lascia il suo paese senza trovarne un altro, senza capire dov’è e qual’è il suo vero posto nel mondo. È anche per questo che l'arte, la musica e la letteratura di quelli cher vivono in un paese che non è loro, non rispondono soltanto alle ambizioni letterarie o musicali, ma hanno una motivazione supplementare, sociale e politica. Così, per il pittore, per il musicista, per lo scrittore migrante, i problemi sociali, le ingiustizie, il continuo districarsi tra le varie leggi, l’insicurezza, la lotta con se stesso per capire e farsi capire, diventano parte della sua opera.

L’ingiustizia e la sofferenza in special modo, chiedono di essere espresse, e gli artisti e gli scrittori migranti si sentono obbligati a raccontare le loro storie, ma anche a raccontare l’Italia dal loro punto di vista.

Tutti vogliono raccontare tutto, vogliono rappresentare in un certo senso i loro compagni di viaggio, di sofferenze. Quasi si può dire che l'arte e la letteratura dei migranti sono un fenomeno che si spiega attraverso un processo di tramutare, di delegare a delle funzioni e speranze dentro all’opera, la quale non soltanto gli rappresenta, ma anche gli giustifica e difende.