Il film
è stato presentato in prima mondiale al Festival del cinema
africano, d'Asia e America latina di Milano.
Abbiamo
rivolto alcune domande al regista e lo ringraziamo per questa
intervista che è stata realizzata pochi giorni prima delle elezioni
in Algeria.
Come
nasce questo nuovo progetto?
Nel
luglio 2012 sono stato in Algeria per il 50° anniversario
dell'Indipedenza. Ho preparato il documentario con Luca Cusani e
siamo partiti dalla domanda: “ Perchè in Algeria non c'è stata
una primavera araba?”. Per rispondere a questa domanda bisogna
attraversare una serie di passaggi fondamentali della storia algerina
e l'ho fatto attraverso la mia famiglia.
In
realtà avevo in mente il progetto già nel 2011: con Luca abbiamo
scritto il trattamento e la struttura. Per la sceneggiatura volevo
coinvolgere anche alcuni miei fratelli: uno che vive in Nicaragua e
faceva parte dei sandinisti e un altro che vive in Francia, la cui
moglie è stata la prima donna araba a diventare assessore al Comune
di Lione, nel 2001.Dato che volevo realizzare un trailer da presentare ai produttori e alle televisioni, sono partito per l'Algeria con la mia cinepresa, ma era troppo grande ed è stata sequestrata all'aeroporto. Per fortuna sono riuscito a utilizzarne un'altra più piccola che mi hanno dato in prestito. Quando, poi, sono tornato in Algeria l'anno successivo mi sono portato dietro una cinepresa compatta e più discreta, ma ho avuto difficoltà per l'audio in post-produzione. Ma la cosa più difficile è stata tagliare alcune parti perchè ero troppo coinvolto da quello che raccontavano i miei familiari e mi dispiaceva togliere alcuni interventi dei miei fratelli. Ma, in questo, mi ha aiutato molto Luca.
E,quindi,
quali sono le tappe della tua famiglia che si collegano alla Storia
del Paese?
Prima di
tutto la guerra di liberazione contro il colonialismo francese. Tre
dei miei fratelli sono morti durante la guerra di indipendenza. Mio
padre ha perso due dei suoi fratelli che hanno combattuto nella
rivoluzione algerina e si è trovato a dover mantenere la famiglia.
Dopo il
1988, durante quella che è stata definita “la rivoluzione del
pane”, l'Algeria si è aperta al multipartitismo che ha portato gli
integralisti del Partito Islamico di Salvezza al potere con la
conseguenza dello scontro con lo Stato e la minaccia di perdere la
Repubblica. Sono stati, infatti, dieci anni di terrorismo e di guerra
civile. I miei fratelli sono una copia fedele della società algerina: uno di loro è un professore ecomomista e consulente del governo e del sindacato con formazione di sinistra; un altro è un islamista che ha votato il Partito Islamico ma, con il tempo, ha capito che il vero Islam non ha niente a che fare con la politica e, quindi, fa autocritica pur rimanendo convinto che il progetto islamista sia la soluzione non solo per l'Algeria, ma per tutta l'umanità; e poi c'è un altro ancora che è un po' un “figlio del potere” perchè ha goduto dei privilegi di un politico in quanto è stato senatore per un mandato.
In tutto questo, mio padre rappresenta la memoria storica: conserva il ricordo del colonialismo e quello del prezzo pagato per l'indipendenza.
C'è
armonia all'interno di questa numerosa famiglia, con persone che
hanno opinione tanto diverse?
I
fratelli che hai intervistato vivono in Algeria. Tu, al contrario,
perchè hai deciso di partire?
Sono
andato via nel '94. Erano anni difficili, erano gli anni del
terrorismo e dovevo fare il servizio militare, ma non volevo
prendere una posizione netta, non volevo mettermi da una parte contro
l'altra. All'epoca c'era uno scontro tra gruppi armati e lo Stato e
io non ho voluto mettermi né con gli uni né con gli altri. Inoltre
volevo studiare e fare Cinema.
E'
rimasta traccia del colonialismo in Algeria?
Dal punto di vista urbanistico tutti i centri delle grandi città algerine sono di stampo europeo. E questa è la traccia più evidente.
Nell'immaginario comune algerino si continua a pensare che tutto ciò che viene dall'Europa o dalla Francia sia migliore; manca la fiducia nelle nostre capacità.
Cosa vi
aspettate dalle prossime elezioni?
Sia le
persone che vivono in Algeria sia le persone che, come me, vivono
fuori vogliono semplicemente costruire un Paese che sia degno di
rappresentarci. Purtroppo, però, credo che vincerà sempre il
candidato che è al potere perchè, come ogni volta, chi sta al
potere ha messo tutto il suo peso in queste elezioni attraverso la
propaganda e, anche se non posso confermarlo, anche con i brogli.
Ritorniamo
alla domanda iniziale: perchè non è scoppiata la rivoluzione?
Per due motivi. Primo: gli algerini hanno passato dieci anni di scontri armati con tantissimi morti e questa è una lezione che il popolo ha ben chiara. Secondo: vedendo ciò che sta accadendo nei Paesi in cui ci sono state le “primavere”, osservando l'anarchia in cui sono caduti, la guerra civile in Siria etc. gli algerini hanno detto: “ Non ci conviene”. Ciò non toglie che ci sia il desiderio di un cambiamento, anche graduale.
Sarà
possibile dialogare con Lamhanouer Ahmine martedì 3 giugno, alle ore
20.30, presso il Centro Asteria di Milano (Piazza Carrara 7, ang. Via
G. da Cermenate, 2) in occasione di un altro suo documentario
intitolato La curt de
l'America. I temi
affrontati saranno: immigrazione, convivenza tra italiani e migranti,
cittadinanza per i nuovi italiani, appartenenza a due culture e molto
altro ancora.