mercoledì 18 giugno 2014

Giraffada



Pubblichiamo questo saggio di Monica Macchi, ringraziandola molto.

(già su www.formacinema.it)


Regia: Rani Massalha

Sceneggiatura: Xavier Nemo, Rani Massalha

Fotografia: Manuel Teran

Montaggio: Carlotta Cristiani

Scenografia: Yoël Herzberg

Musiche: Benjamin Grospiron

Produzione: Heimatfilm, Lumière & Co. in associazione con Al-RANI PRODUCTION -
 
CINE+/WDR distribuzione italiana VISIONARIA



Con la partecipazione di: FONDS SUD CINEMA; MINISTERE DE LA CULTURE ET DE
 
LA COMMUNICATION-CNC; MINISTERE DES AFFAIRES ETRANGERES ET
 
EUROPEENNES-INSTITUTE FRANçAISE

Con il sostegno di: EURIMAGES; FILM UND MEDENSIFTUNG NRW FFA




Film riconosciuto di Interesse Culturale con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo Direzione Generale per il Cinema

L’idea per questo film nasce da un trafiletto su un giornale durante la Seconda Intifada “ Il conflitto israelo-palestinese ha fatto una vittima in più: una giraffa è stata uccisa nello zoo di Qalqylia”, ispirando il libro “The zoo on the road to Naplouse” di Amelia Thomas, il documentario “The zoo” di Hayden Campbell e l’installazione di Peter Friedle a una mostra d’arte contemporanea in Germania. Questa notizia ha colpito anche il regista che più volte ha cercato di far arrivare un’altra giraffa allo zoo, ma senza mai riuscirci; ha continuato però a pensarci e l’idea è diventata un film quando ha incontrato Xavier Nemo che ha subito sostenuto il progetto perché da “ebreo-armeno non posso accettare cosa sta succedendo in Palestina”.


Questa favola a misura di bambino vista dagli occhi di un bambino racconta di Yassin, veterinario dello zoo di Qalqylia e di suo figlio Zyad che ha la passione delle giraffe, di cui si prende cura preferendole alla compagnia degli altri bambini. Durante un raid aereo una delle giraffe, Brownie si spaventa, cade, batte la testa e muore, nonostante Yassin avesse promesso al figlio di fare un miracolo. Lo zoo non ha soldi per comprare un’altra giraffa, per non parlare di tutti gli impedimenti burocratici e Yassin si trova a fronteggiare la rabbia del figlio che lancia pietre e smette di mangiare. Una delle particolarità del film sta nell’innestare sentimenti universali il cui fulcro ruota attorno al rapporto padre-figlio, nello specifico palestinese: l’amore verso il figlio assume la forma di amore tout court, amore per la libertà, la vita e la dignità mentre Zyad rappresenta la tenacia ed il desiderio che hanno la meglio sul caso e sul caos e lo zoo diventa così una metafora, un universo sferico di gabbie concentriche.
Gabbie rese anche dall’uso in questa parte dei primi piani che fanno penetrare nell’intimità di cosa succede sullo schermo e attestano la centralità dei personaggi con “volti intensivi per citare Deleuze che sentono, tendono verso un limite e oltrepassano una soglia”. Yassin pensa così di rapire una giraffa maschio dal parco Ramat Gan vicino a Tel Aviv per portarla a Qalqylia, coinvolgendo anche un collega israeliano e una giornalista francese: e qui il film prende una dimensione on the road al tempo stesso estremamente visuale e reale ma tuttavia immaginifica nel senso che permane la struttura lineare ma in continuo bilico tra realtà e immaginazione fino alle scene finali surreali in campo lungo con la giraffa che attraversa il muro e hanno una duplice funzione sia estetica che semantica mostrando in tutta la sua estensione e potenza, la gabbia che imprigiona i palestinesi, quel muro di separazione alto nove metri, ben più della giraffa, l’animale più alto di tutti.



 
 

Molto interessante l’utilizzo del rumore: razzi, spari, urla tutti effetti sonori essenziali alla definizione del contesto in una terra occupata e ai check point, ma c’è in più un elemento dialetticamente attivo cioè la scelta di non tradurre né sottotitolare l’ebraico parlato dai coloni e dai soldati che contribuisce alla tensione drammatica ed esprime l’incomprensione e la lontananza ben esemplificati nella scena dell’arresto finale.
In Palestina non esiste una industria cinematografica né politiche culturali adeguate o infrastrutture: (ad esempio per Giraffada non sono riusciti ad ottenere i permessi per girare a Qalqylia e hanno così scelto Nablus); nonostante ciò la scena culturale è estremamente vivace si produce molto: basta pensare alle recenti candidature all’Oscar di “Five broken cameras” di Emad Burnat e Davidi Guy, e di “Omar” di Hany Abu-Hassad, ma ci sono moltissimi altri film che hanno avuto riconoscimenti internazionali ad esempio When I saw you” di Annemarie Jecir, vincitore del “Best Asian Film” al Festival di Berlino, del “Best Arab Film” al Festival di Abu Dhabi, del “Premio Speciale della Giuria” al Festival arabo di Oran in Algeria e del “Premio della Giuria” al Festival Internazionale del Cairo, e anche A world not ours di Mahdi Fleifel, che ha vinto ben 3 premi al Festival di Abu Dhabi, il Premio per la Pace al Festival di Berlino, il Premio del Pubblico al Millenium International Documentary Film Festival di Bruxelles, il Dokfest a Monaco di Baviera e il Miglior Film Internazionale al Festival Internazionale di Ismailia in Egitto. Sono tutti documentari e fiction che riprendono il dolore e le inquietudini del popolo palestinese in modo da cristallizzarli e renderli veicolabili sulla scia della lezione di Tawfiq Salih regista di “Al-makhdu’un”, opera basilare della cinematografia palestinese (tratto dal romanzo di Ghassan Khanafani “Rijal fi-al-shams”) secondo cui non si può cambiare la mentalità e la psicologa di un popolo giocando coi suoi sentimenti al punto da provocarne le lacrime..l’arte impegnata deve provocare nello spettatore la collera di fronte a ciò che vede per sviluppare una coscienza critica” .
Nella filmografia palestinese sono così pochissimi i film per bambini dove la realtà viene messa momentaneamente tra parentesi e dove le uniche risorse restano l'immaginazione e la conoscenza dell’Altro: emblematiche sono le figure della giornalista francese (un’estranea idealista che ben presto resta affascinata e coinvolta al punto da trasportare clandestinamente Yassin e Zyad in Israele) e soprattutto il veterinario israeliano che arriva addirittura a prendersi gioco del soldato di guardia allo zoo pur di aiutare Yassin: in particolare il regista ha scelto per questo ruolo Roschdy Zem, un attore di origini marocchine (cha vinto il premio come Miglior Attore a Cannes nel 2006 per “Days of Glory” e la Palma d'oro nel 2010 per il film “Outside the Law”) perché “spesso nei film gli israeliani sono biondi e con la pelle chiara, ma la verità è a volte io stesso non riesco a distinguere tra ebrei e arabi, così ho voluto rompere il cliché”.
Ma tutto il cast è di altissimo livello a partire da Saleh Bakri attore de “La banda” di Eran Kolirin (per cui ha vinto l’Oscar israeliano) e “Salt of this Sea” di Annemarie Jecir, “Il tempo che ci rimane” di Elias Suleiman, “La sorgente dell’amore” di Radu Mihaileanu e il recentissimo “Salvo” di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza; Ahmad Bayatra che ha recitato nel cortoElvis of Nazareth” vincitore dell’ Unifrance Premio Speciale a Cannes e Mohammed Bakri attore e regista icona del cinema e del teatro palestinese che ha lavorato con registi di fama mondiale (“Hanna K” di Costa Gavras, “Mas des alouettes” dei fratelli Taviani, “Private” di Saverio Costanzo) che appare in un cameo come venditore di noccioline che parla per metafore.







TRAILER https://www.youtube.com/watch?v=OuH947wtPxQ