“ Rom
e Sinti si trovano ai margini della società” ha affermato Papa
Francesco, lo scorso 5 giugno in occasione di un incontro con i
propomotori episcopali e i direttori nazionali della pastorale per i
Rom. Ed è la prima volta che che un pontefice individua nella
mancanza di alloggio una delle cause principali dello stato di
discriminazione e di segregazione in cui vivono le comunità Rom e
Sinte in Italia: il Papa ha anche sollecitato le istituzioni locali e
nazionali ad impegnarsi nel processo di inclusione di ali comuità
nel tessuto sociale. Ma, alla luce dell'ultimo rapporto silato
dall'Associazione 21 luglio,
la strada è ancora lunga.
Il
rapporto si intitola “Campi nomadi s.p.a.” (www.21luglio.org)
e in esso si individua un vero e proprio sistema, quello dei “campi”
nel quale operano 35 enti, pubblici e privati, con l'impego di oltre
400 persone. Enti e personale che usufruiscono dei finanziamenti
comunali per gestire, soltanto a Roma, otto “villaggi della
solidarietà” che di solidale hanno ben poco.
Le
comunità rom e sinte sono vittime di sgomberi continui (con le
relative conseguenze di cui abbiamo parlato in un precedente
articolo) oppure fruitori di un sistema abitativo disagiato e
parallelo, riservato loro solo su una base etnica; l'Amminsitrazione
di Roma Capitale che eroga finanziamenti pari a 16 milioni di euro; e
poi il terzo settore riceve i contributi per erogare alcuni servizi
di base all'interno degli insediamenti.
Questo
vero e proprio “sistema s.p.a.” comporta una continua violazione
dei diritti umani, ma anche un notevole dispendio economico per lo
Stato che, come si legge nelle conclusioni del rapporto scritte dal
Presidente dell'Associazione 21 luglio, Carlo Stasolla, finisce per
alimentare tre tipi di miseria:
- la
misera assistenza dei “campi nomadi”, alla quale ci si abitua e
per la qale negli anni, che la subisce ne risulta assuefatto
- la
miseria di forme contrattuali e compensi attribuiti agli operatori
sociali che lavorano nei “campi nomadi” ai quali, in tempi di
crisi, è difficile se non impossibile rinunciare
- la
miseria morale di quei rappresentanti istituzionali che negli ultimi
anni hanno costruito la propria fortuna politica giustificando, in
nome dell”emergenza nomadi”, un così alto dispendio economico a
discapito della promozione di reali percorsi di inclusione sociale.
Nel rapporto viene proposta un'alternativa possibile ai “campi”: un progetto di autorecupero che darebbe alloggio a 22 famiglie tra cui: una rom, una di rifugiati, una di immigrati e altre di italiani poveri. Un progetto, codificato dalla Legge Regionale n. 55 del 1998, che partirebbe dall'individuazione di un edificio dismesso tra i numerosi sparsi sul territorio. Non solo nell'area di Roma, ma questa potrebbe essere un'iniziativa valida per tutta l'Italia con la speranza di iniziare a superare l'ostilità o il disprezzo nei confronti delle popolazioni rom e sinte.