Il nuovo
libro di Monica Lanfranco dà la parola agli uomini per indagare,
ancora più a fondo, quali sono le radici e i motivi di tanta
violenza nei confronti delle donne.
L'Associazione
per i Diritti Umani ha rivolto alcune domande all'autrice e
giornalista e vi ricorda che sarà possibile dialogare con lei in
occasione dell'incontro che si svolgerà: lunedì
9 MARZO, alle ore 18.30, presso il Centro Asteria, in Piazza Carrara
17.1 Milano
Ringraziamo
molto Monica Lanfranco.
L'idea
del libro nasce da sei domande che ha posto ad alcuni uomini: come
hanno reagito alle sue sollecitazioni?
Avevo
chiesto espressamente che chi desiderava rispondere scrivesse alla
mia e-mail. Online ci sono state più di mille risposte e molte
negative: si passava dal dileggio all'insulto diretto, dato che nella
mia presentazione dicevo di essere giornalista, formatrice e
femminista. La parola “femminista” in Italia, in Europa è una
parolaccia e ha scatenato reazioni che mi hanno molto turbata.
Alcuni,
invece, hanno risposto alle domande, forse per attirare l'attenzione,
mentre per altri era un bisogno e queste reazioni sono state il
motore che ha messo in moto il desiderio di renderle pubbliche
perchè, dalle frasi più piccole fino ai flussi di coscienza, mi
hanno molto emozionata. Le domande più cogenti rispetto ai problemi
che ci sono nella realzione uomo-donna, cioè la violenza manifesta e
occulta, venivano indagate e questo ha dato origine al libro.
Quali
risposte sono state date alle domande sul rapporto tra violenza e
sessualità?
Non sono
state risposte inaspettate: entrando da molti anni nelle scuole e
facendo iniziative pubbliche, emerge una verità di fondo rispetto
alla percezione della violenza: il grande problema è la difficoltà,
se non il rifiuto, di riconoscerla, per cui alcuni comportamenti non
vengono proprio rubricati come violenza ma, da parte degli uomini in
particolare, c'è una presa di distanza che va sotto la denominazione
“Io non ne faccio, la fanno gli altri” e sono quasi sempre gli
stranieri. Pochissimi annoverano la possibilità della violenza
dentro di sé.
A
differenza delle donne che hanno fatto un percorso nel femminismo,
gli uomini non hanno fatto questo percorso di presa di coscienza; per
questo c'è ancora una cultura patriarcale e gli uomini non si
assumono la responsabilità di appartenenza al genere maschile.
Gli
uomini hanno bisogno di una rieducazione affettiva? Uomini e donne
possono intraprendere insieme un percorso che li riavvicini?
Credo
che ci sia bisogno di una educazione ai sentimenti e all'affettività
così come un'educazione antisessista che riconosca le matrici
profonde sociali, culturali e umane che portano il sessismo ad essere
la prima forma di violenza.
La
violenza contro le donne è un problema globale, ma si può
contrastare fin dall'inizio: segnalo l'ultima parte del bel
documentario “Giulia ha picchiato Filippo” che racconta la storia
narrata dalle donne ospiti di un centro contro la violenza e, negli
ultimi dieci minuti, si racconta come nasce la stereotipizzazione
delle femmine e dei maschi: un bimbo picchia una bambina e la bambina
viene colta nel momento in cui si sta difendendo e diventa lei la
carnefice...Il racconto è il racconto della matrice di questa
situazione: la famiglia, quella madre e quel padre, quel non voler
vedere, quel cominciare a dire subito “Tu sei una femmina e quelle
cose non le fai, tu sei un maschio e alcune cose le puoi fare”.
C'è,
inoltre, molto bisogno di una cultura di base che coinvolga uomini e
donne in un riavvicinamento legato all'abbassamento della febbre che
percorre il pianeta, la febbre della guerra fatta alle donne; è
necessario, quindi, reimpostare il dialogo tra i generi perchè un
mondo violento per la metà di chi lo abita, è un mondo violento per
tutti.