di Mayra Landaverde
In questi giorni di
cortei, presidi e riunioni ho notato che tanti compagni si chiedono
se davanti a tutte queste tragedie sia davvero utile continuare nella
lotta. La lotta contro il razzismo, la corruzione, l'indifferenza
ecc.
I risultati sono spesso
scarsi o nulli. La stanchezza si fa molto presente fra noi.
Ieri, durante un corso,
una partecipante ha chiesto al relatore cosa fare.
Sì, cosa fare? Andare in
manifestazione? Realizzare uno striscione? Fare uno sciopero della
fame? Incatenarsi davanti a qualche palazzo istituzionale?
Io non credo che nessun
attivista o nessun docente abbia una risposta concreta.
E anche a me viene una
stanchezza terribile quando vedo al nostro presidio per i nuovi
desaparecidos - ogni giovedì - la gente che passa e non si ferma,
non ci guarda e tante volte non accetta nemmeno il nostro volantino.
Sono tutti impegnati a
faregli acquisti di Natale.
Come potrebbero essere
interessati a dei ragazzi che ormai sono morti e sepolti in fondo al
Mediterraneo? A chi potrebbe mai interessare la sorte di migliaia di
centroamericani dispersi da qualche parte in Messico? Chi vorrebbe
mai sapere di tutti i messicani che muoiono abbandonati nel deserto o
annegati nel Río Bravo per attraversare la frontiera con gli Stati
Uniti?
Non interessa a nessuno.
Perché non li vedono. Perché sono numeri, cifre da telegiornale.
Statistiche.
Allora, chiedono i
compagni. Che cosa fare?
Facciamoglieli vedere.
Proprio davanti ai loro occhi. Portiamoli qui nel centro città.
Il 25 aprile scorso ,
come Rete per i Nuovi Desaparecidos, abbiamo deciso di creare
cartelli con le foto dei ragazzi algerini e tunisini dispersi nel
Mediterraneo. Poche volte nella mia vita mi sono commossa in questo
modo. La gente ha cominciato ad applaudire mentre noi camminavano in
silenzio con i cartelli e quei volti appesi al collo , volti di
persone di cui non si sa più nulla da anni.
Sono spariti, sono
desaparecidos.
Noi li stiamo cercando!
Vogliamo sapere dove sono. Non li portiamo per fare qualsiasi cosa.
Li portiamo perché le
loro famiglie li cercano ma non possono essere qui. Perché ci hanno
affidato questo grandissimo impegno e noi lo abbiamo accettato. Io
l'ho accettato perché sono madre e non riesco nemmeno a immaginare
la disperazione del non sapere dove sia finito mio figlio.
Che cosa fare chiedono i
compagni.
Bene, prendete una di
queste foto e cercateli con noi.
Ieri, 14 dicembre 2015,
giornata importante a Milano, mentre si ricordava la strage di Piazza
Fontana, abbiamo deciso di continuare ancora col nostro presidio, ma
non da soli. Ora ci sono anche Torino, Palermo e Roma. E la
stanchezza si sente già meno.
Facciamoci contagiare dai
movimenti dell'America Latina. Noi siamo stanchi, ormai è da giugno
che organizziamo questo presidio.
La carovana di madri
centroamericane in cerca dei loro figli e figlie dispersi in Messico
lo fanno da 11 anni. Saranno stanche anche loro, certo.
Ma stanno cercando i loro
cari e vanno avanti, nessuno le ferma, neanche il governo messicano
che ci ha provato in tutti i modi, negando il loro ingresso nel
paese. Nessuno le ha fermate. Nemmeno quando trovano i propri figli.
Emeteria Martínez cercò per 21 anni sua figlia. E continuò ad
accompagnare le altre mamme anche dopo aver trovato la figlia.
Questo movimento ha
trovato finora 200 persone e soltanto quest'anno ne sono già stati
ritrovati altri quattro.
Ecco cosa fare.