di Veronica Tedeschi
Il
20
novembre, ad una settimana esatta dopo la strage di Parigi, alcuni
uomini armati hanno fatto irruzione all’Hotel Radisson blu di
Bamako, la capitale del Mali. L’albergo è il più famoso della
città e da sempre è frequentato da diplomatici e uomini d’affari
occidentali; al momento dell’attacco l’hotel era pieno per il 90%
della sua accoglienza totale, con circa 140 clienti e 30 dipendenti.
Dopo
un assedio di otto ore, le forze di sicurezza maliane e internazionali
sono intervenute per liberare i cento ostaggi; il bilancio è di 22
persone morte, compresi gli assalitori.
La
rivendicazione dell’attacco è stata fatta dal gruppo Mourabitoun,
affiliato ad Al Quaeda e che si sarebbe recentemente unito all’Isis.
Il
presidente Boubacar
Keïta,
ha condannato “Nella maniera
più ferma possibile, questo atto barbaro che non ha niente a che
vedere con la religione”.
Il presidente francese, Francois
Hollande,
ha dichiarato: “Dobbiamo
dimostrare la nostra solidarietà al Mali, un Paese amico”
e ha invitato i francesi a Bamako a raggiungere l'ambasciata e a
mettersi al sicuro, e tutti i cittadini francesi nei Paesi a rischio
ad adottare precauzioni.
Il
Mali, purtroppo non è nuovo ad attacchi del genere, nonostante non
se ne senta parlare in Occidente; in passato gli attacchi degli
estremisti islamici erano concentrati nel nord del Paese ma a partire
dal 2015 si sono diffusi anche al centro e poi al sud, fino ad
arrivare al confine con la Costa d’Avorio e il Burkina Faso.
Nel
mese di marzo Bamako è stata ancora una volta la protagonista di un
attentato in un ristorante nel quale sono morte cinque persone.
Il
10 giugno scorso, uomini armati hanno attaccato le forze di sicurezza a
Misseni, città al confine con la Costa d’Avorio e, infine, ad
agosto è stata attaccata la città di Sévaré, nella regione di
Mopti, a nordest di Bamako.
Solo
nel 2015 gli attentati in Mali sono, quindi, stati quattro ma le
violenze nell’ex colonia francese sono cominciate già nel 2013
quando i soldati tuareg sono tornati nel nord del Paese dopo la
guerra in Libia, creando un movimento nazionale con lo scopo di
combattere il governo di Bamako e conquistare l’indipendenza della
regione settentrionale dell’Azawad. Questo conflitto ha portato ad
un colpo di Stato e, infine, alla proclamazione dell’indipendenza
dell’Azawad nell’aprile del 2012.
Il
susseguirsi di violenze ha causato l’intervento delle truppe
francesi e africane.
Ad
oggi, in Mali, sono quindi presenti truppe francesi, malesi,
internazionali e tedesche. Il 25 novembre, infatti, anche la Germania
ha annunciato l’invio di 650 soldati a sostegno della missione
francese in Mali.
Nel
mirino dell’interesse internazionale è ora presente l’ex colonia
francese, ma vedere nell’aumento degli attacchi terroristici in Mali
solo un altro pezzo del puzzle del terrorismo islamico sarebbe un
errore. L’aumento di gruppi nel Paese è soprattutto il prodotto di
condizioni storiche locali e non di un’ideologia imposta
dall’esterno. Il terreno è fertile in Mali, come nel resto
dell’Africa, per il reclutamento di chi vuole la violenza.
Gli
stati africani, già alla prese con la povertà e gli esperimenti di
democrazia, non dispongono dell’arsenale e delle competenze in
materia di sicurezza per opporre la resistenza necessaria a tentativi
di condizionamento.
Dopo
l’11 settembre americano e il 13 novembre francese nessuno è al
sicuro dal terrorismo?
Forse
sì, ma ci sono molti motivi per dubitarne. La
vulnerabilità di un Paese varia in base al livello di sviluppo dello
stesso, al suo grado di organizzazione e reattività dei servizi di
intelligence.
Per
comprende meglio questo concetto, basta pensare alla situazione della
Somalia, la quale non riesce a stare a galla di fronte alla minaccia
del gruppo jihadista Al Shabab; stiamo parlando di uno stato fallito
a causa della lunga guerra civile che l’ha invaso per anni, di uno
stato corrotto e non in grado di proteggere la sua popolazione.
La
situazione in Mali non può essere paragonata a quella somala ma
entrambi questi stati hanno alla base molta debolezza e necessità di
aiuti esterni tanto da rendere i rispettivi governi vulnerabili a
violenze e attacchi esterni.