mercoledì 4 settembre 2013

Focus Siria al Festival di Locarno



Zabad

Non è facile parlare della situazione siriana in questo ultimo periodo ed è ancora meno facile cercare la speranza in una situazione drammatica e complessa, a ridosso di una guerra che vede coinvolte fazioni interne diverse e ambigui interessi internazionali. Ma alla 66ma edizione del Festival di Locarno, che si è conclusa il 16 agosto scorso, il direttore artistico, Carlo Chatrian, ha voluto dedicare un focus alla Siria e alla creatività dei suoi registi.
Cinque film documentari mostrano aspetti e sfumature, anche della quotidianità, di un popolo che non si arrende, che soffre, che lotta; aspetti e sfumature che non vengono raccontati dai mass-media, soprattutto occidentali, ma che vengono colti dagli sguardi attenti e sensibili di chi vuole capire davvero l'attualità.
Durante la guerra ho visto tre fratelli morire, uno dopo l'altro sotto i colpi di mortaio, portando una bandiera (non importa quale). La madre li applaudiva: questa è follia”; “ una celletta di legno che custodisce il Corano e una bambola con evidenti segni di violenza, a rappresentare i bambini imprigionati e torturati dalla polizia perchè prendevano parte, anche loro, alla rivoluzione, scandendo slogan di protesta: queste alcune parole e immagini di Hekayat an elhob walhayat walmawt del regista siriano Nidal Hassan e della sua collega danese Lilibeth Rasmussen che focalizzano la loro attenzione sulle donne siriane di oggi, quelle donne che desiderano vivere, amare ed essere libere.
Ancora una donna è protagonista dell'interessante lavoro di Randa Maddah (qui alla sua opera prima), film dal titolo Light Horizon - che affascina gli spettatori con un audace, lungo piano sequenza: per sette minuti osserviamo - di nascosto e in silenzio da dietro gli infissi di una finestra - una figura femminile compiere gesti semplici nel rassettare la propria casa distrutta, una piccola sala da pranzo fatiscente e crivellata di colpi come a volersi attaccare, caparbiamente, a una normalità perduta, ma mai dimenticata. Poi le tende copriranno quella figura (una madre? Una moglie? Una figlia?) e gli spettatori sperano, con lei, che un giorno quei gesti possano essere accompagnati da un sorriso.
Black Stone
Donne e bambini: la guerra non risparmia nessuno. Nidal Al Dibs, nel suo Black stone, muovela cinepresa in un quartiere povero di damasco e segue l'esistenza di quattro bambini, costretti, per sopravvivere, a raccogliere rottami metallici da rivendere: ma, anche in questo caso la speranza si mantiene viva: le strade che i bimbi percorrono possono rappresentare la possibilità di realizzare un sogno.
La repressione, senza pietà: in Zabad (Foam),Reem Ali si spinge oltre nel raccontare le difficoltà di un popolo in guerra e racconta di una famiglia mentre si prepara ad emigrare dalla Siria in Canada, ma che deve, al contempo, prendersi cura di un parente che soffre di una disabilità mentale: il lavoro e la fatica si intrecciano ai ricordi della prigionia politica e alla necessità di un cambiamento, lontano dall'orrore.
E, infine, ancora storie di lotta in Untold stories di Hisham al-Zouki: quelle storie “non dette” di chi ha tentato di attuare una resistenza pacifica, ma si è poi trovato costretto a cedere alle armi.
Untold stories
Alcuni registi non hanno potuto accompagnare la proiezione in sala dei film a causa di problemi di censura o di passaporto, ma gli autori presenti hanno rivolto un appello al pubblico: informarsi con attenzione, confrontando le fonti delle informazioni; continuare a capire e a chiedere; approfondire, quando è possibile, gli argomenti con le persone che vivono direttamente la situazione sulla propria pelle.

Light Horizon