Zabad |
Non è
facile parlare della situazione siriana in questo ultimo periodo ed è
ancora meno facile cercare la speranza in una situazione drammatica e
complessa, a ridosso di una guerra che vede coinvolte fazioni interne
diverse e ambigui interessi internazionali. Ma alla 66ma edizione del
Festival di Locarno, che si è conclusa il 16 agosto scorso, il
direttore artistico, Carlo Chatrian, ha voluto dedicare un focus alla
Siria e alla creatività dei suoi registi.
Cinque
film documentari mostrano aspetti e sfumature, anche della
quotidianità, di un popolo che non si arrende, che soffre, che
lotta; aspetti e sfumature che non vengono raccontati dai mass-media,
soprattutto occidentali, ma che vengono colti dagli sguardi attenti e
sensibili di chi vuole capire davvero l'attualità.
“Durante
la guerra ho visto tre fratelli morire, uno dopo l'altro sotto i
colpi di mortaio, portando una bandiera (non importa quale). La madre
li applaudiva: questa è follia”; “ una celletta di legno che
custodisce il Corano e una bambola con evidenti segni di violenza, a
rappresentare i bambini imprigionati e torturati dalla polizia perchè
prendevano parte, anche loro, alla rivoluzione, scandendo slogan di
protesta: queste alcune parole e immagini di Hekayat
an elhob walhayat walmawt
del
regista siriano Nidal Hassan e della sua collega danese Lilibeth
Rasmussen che focalizzano la loro attenzione sulle donne siriane di
oggi, quelle donne che desiderano vivere, amare ed essere libere.
Ancora
una donna è protagonista dell'interessante lavoro di Randa Maddah
(qui alla sua opera prima), film dal titolo Light
Horizon
- che affascina gli spettatori con un audace, lungo piano sequenza:
per sette minuti osserviamo - di nascosto e in silenzio da dietro gli
infissi di una finestra - una figura femminile compiere gesti
semplici nel rassettare la propria casa distrutta, una piccola sala
da pranzo fatiscente e crivellata di colpi come a volersi attaccare,
caparbiamente, a una normalità perduta, ma mai dimenticata. Poi le
tende copriranno quella figura (una madre? Una moglie? Una figlia?) e
gli spettatori sperano, con lei, che un giorno quei gesti possano
essere accompagnati da un sorriso.
Black Stone |
Donne
e bambini: la guerra non risparmia nessuno. Nidal Al Dibs, nel suo
Black stone,
muovela cinepresa in un quartiere povero di damasco e segue
l'esistenza di quattro bambini, costretti, per sopravvivere, a
raccogliere rottami metallici da rivendere: ma, anche in questo caso
la speranza si mantiene viva: le strade che i bimbi percorrono
possono rappresentare la possibilità di realizzare un sogno.
La
repressione, senza pietà: in Zabad
(Foam),Reem
Ali si spinge oltre nel raccontare le difficoltà di un popolo in
guerra e racconta di una famiglia mentre si prepara ad emigrare dalla
Siria in Canada, ma che deve, al contempo, prendersi cura di un
parente che soffre di una disabilità mentale: il lavoro e la fatica
si intrecciano ai ricordi della prigionia politica e alla necessità
di un cambiamento, lontano dall'orrore.
E,
infine, ancora storie di lotta in Untold
stories
di Hisham al-Zouki: quelle storie “non dette” di chi ha tentato
di attuare una resistenza pacifica, ma si è poi trovato costretto a
cedere alle armi.
Untold stories |
Alcuni
registi non hanno potuto accompagnare la proiezione in sala dei film
a causa di problemi di censura o di passaporto, ma gli autori
presenti hanno rivolto un appello al pubblico: informarsi con
attenzione, confrontando le fonti delle informazioni; continuare a
capire e a chiedere; approfondire, quando è possibile, gli argomenti
con le persone che vivono direttamente la situazione sulla propria
pelle.
Light Horizon |