lunedì 2 settembre 2013

Dalla letteratura al teatro: il conflitto israelo-palestinese


L'edizione 2013 del Festival di Todi (23 agosto -1 settembre) ha aperto con uno spettacolo importante e di attualità: Ritorno ad Haifa, tratto dall'omonimo romanzo breve di Ghassan Kanafani.
Siamo nel 1948, quando la città di Haifa viene occupata dall'esercito israeliano. La maggior parte della popolazione palestinese è costretta ad abbandonare le proprie case che saranno abitate da famiglie ebree. Vent'anni dopo le frontiere verranno aperte, per un breve periodo, e questo permetterà ad una coppia palestinese di tornare ad Haifa in quella che, una volta, era la propria quotidianità, la propria vita.
Shalom” ha tanti significati, ma quello principale è “pace”: è “shalom” è la parola con cui inizia lo spettacolo, per la regia di Patrick Rossi Gastaldi, che mantiene sul palco una narrazione semplice e diretta che si fa poetica nello scivolare delle parole quando il confronto tra uomini e donne - che appartengono a due mondi diversi, ma provano gli stessi sentimenti - si fa intenso. Sentimenti di rabbia e di amarezza, di rassegnazione e di tristezza.
La coppia di ebrei non esita ad accogliere in casa la coppia di palestinesi, ma presto gli uomini cominciano a discutere sulla possibilità di scelta: resistere di fronte all'imposizione di lasciare la propria terra oppure andarsene? Miriam, la donna ebrea, ha cresciuto Khaldun, il figlio degli altri coniugi, come se fosse suo. Khaldun non prova alcun affetto per Said e Safiya, i suoi genitori naturali: è arruolato nell'esercito sionista e li accusa di essere solo dei codardi. Inoltre, ha un fratello, Khaled, che milita invece tra i Fedayyn e, un giorno, potrebbe ritrovarsi a combattere contro di lui.
E' un gioco di specchi, quello che si viene a creare nell'intreccio dei personaggi e delle loro vicende in questa pièce di Kanafani, uno dei più grandi esponenti della letteratura araba contemporanea, assassinato dai servizi segreti israeliani, insieme a una nipote, nel 1972.
L'autore ha sempre avvicinato l'attività artistica a quella politica e fu il primo a parlare di “letteratura della resistenza”. Con questo suo lavoro lo scrittore palestinese parla di due diaspore: quella palestinese e quella ebraica. Sì, perchè Miriam, la donna ebrea, e suo marito sono scampati ad Auschwitz e, durante la fuga, sono stati costretti ad abbandonare il loro unico figlio. Madri e padri, uomini e donne che hanno perso tutto, a causa della violenza e dell'ottusità di altri: hanno perso la propria terra, la propria casa, i propri cari e anche, in fondo, la propria identità. Ma è possibile il perdono? E' possibile riconoscersi gli uni negli altri?
E i figli della guerra, nati e cresciuti in un clima di sopraffazione e di odio, perpetuano gli errori...La quarta parete della scenografia scompare mentre la voce narrante recita: “ Che cos'è la patria? Sono queste due sedie rimaste per vent'anni in questa stanza, il tavolo, le rose di stoffa? Khaldun, le nostre illusioni sul suo conto, essere padre, essere figlio. Che cos'è la patria, me lo domando ancora...”.