Per le
donne che lo indossano, portare il velo è una scelta o
un'imposizione? Nel primo caso si tratta di una scelta politica,
religiosa o culturale?
Per
quella che è la mia esperienza di ricerca in Italia, ma anche nei
Paesi a maggioranza musulmana della sponda sud del Mediterraneo, in
molti casi il velo è una scelta.
Una
scelta che può in alcuni casi anche essere condizionata da fattori
sociali come, per fare un esempio, dall'idea che sia più semplice
trovare marito perchè velate, in quanto il velo mostra un'immagine
di donna più morigerata, pia e casta. Ma la scelta è dettata,
soprattutto, da un riposizionamento delle donne, all'interno di un
discorso religioso, che non avviene più solamente nella sfera
privata, ma anche nella sfera pubblica.
Nel
corso del '900 abbiamo visto le donne svelarsi soprattutto nelle
grandi città, ma non solo; a partire dalla fine del '900, invece,
abbiamo un “ritorno” sempre più significativo delle donne che
decidono di indossare il velo che copre la testa e, in alcuni casi,
assistiamo anche a forme di velo che coprono il volto, come il niqab.
Ci sono casi di imposizione o di violenze familiari che impongono
alle donne di velarsi, ma nella maggioranza dei casi si tratta di una
scelta.
Sicuramente
alla base c'è una scelta di carattere religioso: l'idea che l'Islam
e il Corano richiedano alle donne un atto di modestia che è quello
di non mostrare troppo il proprio corpo. In realtà il velo dovrebbe
essere la punta dell'iceberg di una più ampia idea di modestia dei
comportamenti femminili per cui l'hijab, che copre la testa, non
significa altro che un modo più generale di comportarsi.
Cosa può
dirci della condizione femminile nei Paesi delle rivoluzioni?
Sono da
poco tornata dal Marocco dove ho fatto ricerca sulla condizione e
sull'attivismo femminile dopo le rivolte del 2011-12 e, in
particolare, dopo l'approvazione della Costituzione del 2011.
Il Paese
è estremamente diviso, con grandi differenze tra le città e le zone
rurali; basti pensare che è un Paese con un altissimo tasso di
analfabetismo femminile che arriva fino al 60%. E poi abbiamo,
invece, eccellenze femminili in diversi campi: nell'istruzione,
nell'educazione, nell'imprenditoria, nell'attivismo sui diritti
umani.
Sicuramente,
negli ultimi dieci anni, il Marocco ha fatto dei grandi passi nel
migliorare la legislazione del Paese in materia dei diritti delle
donne, a partire dalla Mudawana, che è il nuovo codice della
famiglia approvato nel 2004, poi la legge che permette alle donne di
passare la nazionalità ai figli fino alla nuova Costituzione che,
nell'articolo 19, sostiene una forte apertura verso l'uguaglianza tra
uomo e donna. Quindi,
da un punto di vista legislativo, dei passi in avanti, almeno in
Marocco, sono stati fatti, però tante nuove leggi fanno fatica ad
essere recepite dalla popolazione e ci troviamo ancora con una realtà
in cui gli uomini e le donne non godono degli stessi diritti e in cui
si registrano molti casi di violenza contro le donne. Un altro
significativo passo avanti è ad esempio l’abolizione - avvenuta il
il
23 gennaio di quest’anno - della norma in base alla quale il
responsabile dello stupro di una minorenne poteva evitare il carcere
sposandola. Ma, come ricorda anche Amnesty International, restano
ancora molti ostacoli da superare. Nel codice penale marocchino la
definizione di stupro
è molto restrittiva, non si riconosce lo stupro coniugale come
reato, e si fa una differenza tra le vittime di stupro sulla base
della loro verginità. Va anche ricordato che il codice penale
punisce i rapporti sessuali consensuali tra adulti non sposati.
Il
Marocco è un Paese dalle fortissime contraddizioni: con grandi
spinte al cambiamento sociale e culturale ma anche con spinte che
vanno nella direzione opposta.
Ci può
accennare al lavoro a fumetti di Takwa Ben Mohamed?
Takwa
Ben Mohamed è una ragazza i cui genitori sono dei tunisini, esiliati
in Italia vent’anni fa. Il padre era, ed è a tutt’oggi ,un
rappresentante del Partito Islamista an-Nahda. Takwa e la sua
famiglia lo hanno poi raggiunto qui in Italia quando lei era molto
piccola.
E' cresciuta qui, si è formata qui, vivendo in un mondo fatto anche di
stereotipi e razzismi. Quindi Takwa, nei suoi fumetti, parla spesso
del problema del razzismo verso ragazzi che non sono figli di
genitori italiani, come pure parla del velo che lei stessa indossa.
Quali
sono le differenze, ma anche i punti in comune, tra le donne
arabo-musulmane e le donne occidentali?
Fare
qualunque generalizzazione è fuorviante: non siamo delle categorie
uniche.
Sia da
una parte sia dall'altra incidono moltissimo l'educazione,
l'istruzione, il posizionamento religioso, la professione, gli
orientamenti e i gusti personali...
Ad
esempio ho fatto interviste a molte ragazze ventenni che hanno fatto
parte del Movimento del 20 febbraio - quel movimento marocchino che
ha cercato di seguire le orme dei giovani rivoluzionari egiziani e
tunisini – e le storie che ho raccolto raccontano che molte di loro
hanno lasciato i villaggi dei propri genitori per andare a studiare
all'università, vivendo da sole in grandi città. Molte di loro sono
attiviste per i diritti umani e/o si definiscono di sinistra,
marginalizzano la religione alla sfera privata e non indossano il
velo. Quindi, sono ragazze molto simili a quelle che studiano nelle
nostre università. Ma poi troviamo ragazze che scelgono percorsi di
vita diversi, per ragioni economiche, per mancanza di strumenti
culturali o perchè fanno della religione una dimensione centrale
della propria esistenza.
Trovare
affinità o non affinità tra le donne arabo-musulmane e occidentali
ci richiede sempre di posizionarle in base alle categorie che ho
esposto e in base a queste categorie le donne possono essere molto
simili o molto distanti.