di
Monica Macchi
Dahab
Abdel Hamid, una ragazza di 19 anni è stata
arrestata a Shubra, quartiere tra i più poveri del Cairo (dove
Yousef Chahine ha ambientato il suo ultimo film Hyya Fauda, denuncia
della corruzione della polizia all’epoca di Mubarak) lo scorso 14
gennaio nei tafferugli seguiti ad alcune manifestazioni a sostegno
dell’ex presidente Mohammed Morsi. Dahab è stata arrestata
nonostante fosse incinta all’ottavo mese: da allora è stata
incarcerata nella stazione di polizia di El Amirya, con continui
rinnovi di detenzione per esigenze d’indagine (quindi senza né
processo né condanna): l’accusa è “appartenenza a un gruppo
terroristico”, cioè i Fratelli Musulmani che sono da mesi
ufficialmente fuorilegge, e “partecipazione a protesta non
autorizzata”, nonostante suo marito Ashraf Sayed abbia dichiarato
che Dahab aveva appuntamento dal ginecologo per una visita di
controllo e si sia così trovata per caso coinvolta per caso nelle
retate.
Il Consiglio nazionale per i diritti umani e ben sedici organizzazioni che a vario titolo sostengono e tutelano i diritti umani hanno chiesto indagini non solo sul caso di Dahab e sulle persone in stato di detenzione ma anche sull’aumento delle accuse di torture e molestie sessuali tra cui il “ritorno” dell’obbligo dei test di verginità per le ragazze arrestate. Del resto, Abdel-Fattah al-Sisi, accreditato come prossimo presidente, nell’aprile del 2012, quando era ancora un militare semisconosciuto, ha difeso e sostenuto i test di verginità come strumento “per proteggere le ragazze dallo stupro, e i soldati e gli ufficiali dalle accuse di stupro”. Secondo Mohammed Emessiry, ricercatore di Amnesty International, le varie forme di torture non sono più riservate solo ai prigionieri politici, ma sono utilizzate per far passare il messaggio di cosa potrebbe accadere a tutti coloro che si oppongono al governo. Il Ministero dell'Interno ha rifiutato di rispondere alle domande di vari giornali e siti che hanno rilanciato le accuse sul trattamento dei detenuti in custodia egiziana, ma ha rilasciato una dichiarazione negando qualsiasi abuso e dicendo che era aperto e disponibile a ricevere denunce da presunte vittime.
Due
giorni fa Dahab ha partorito all’ospedale Zaitoun con un taglio
cesareo ammanettata alla barella: l’attivista per i diritti umani
Nermeen Yosri è andata a trovarla e ha postato in rete alcune foto
che hanno scatenato un’indignazione collettiva tanto più che Dahab
è stata riportata subito in cella e il marito ha denunciato al
canale televisivo Al-Nahar che le viene impedito persino di allattare
o tenere in braccio la figlia perché le manette le vengono tolte
solo per andare in bagno. Per tutta risposta un funzionario
del ministero degli interni ha dichiarato che Dahab sta ricevendo “la
migliore assistenza possibile” aggiungendo che la foto di lei
ammanettata “potrebbe essere stata scattata mentre veniva
trasportata in ospedale”….alquanto improbabile come si può
arguire dalla presenza della neonata per di più già vestita!
Il Consiglio nazionale per i diritti umani e ben sedici organizzazioni che a vario titolo sostengono e tutelano i diritti umani hanno chiesto indagini non solo sul caso di Dahab e sulle persone in stato di detenzione ma anche sull’aumento delle accuse di torture e molestie sessuali tra cui il “ritorno” dell’obbligo dei test di verginità per le ragazze arrestate. Del resto, Abdel-Fattah al-Sisi, accreditato come prossimo presidente, nell’aprile del 2012, quando era ancora un militare semisconosciuto, ha difeso e sostenuto i test di verginità come strumento “per proteggere le ragazze dallo stupro, e i soldati e gli ufficiali dalle accuse di stupro”. Secondo Mohammed Emessiry, ricercatore di Amnesty International, le varie forme di torture non sono più riservate solo ai prigionieri politici, ma sono utilizzate per far passare il messaggio di cosa potrebbe accadere a tutti coloro che si oppongono al governo. Il Ministero dell'Interno ha rifiutato di rispondere alle domande di vari giornali e siti che hanno rilanciato le accuse sul trattamento dei detenuti in custodia egiziana, ma ha rilasciato una dichiarazione negando qualsiasi abuso e dicendo che era aperto e disponibile a ricevere denunce da presunte vittime.
Oggi,
sotto l’onda delle proteste, soprattutto ma non solo in rete, il
quotidiano egiziano Al-Ahram on line ha dato la notizia che il
Procuratore generale ha ordinato la liberazione di Dahab per “motivi
di salute”.
PS
Dahab ha deciso di chiamare sua figlia Hurrya, “Libertà”.