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lunedì 24 agosto 2015

Ecco perché una semplice zanzariera può salvare molte vite






Fratelli Dimenticati insegna ai bambini come utilizzare le zanzariere per la prevenzione della malaria in India.



Cosa succede se ti punge una zanzara? Per noi, in Italia, è solo un gran fastidio! Ma in alcuni paesi, tra cui l'India, può essere un grave problema. È con questo concetto che Fratelli Dimenticati ha scelto di far riflettere su un tema che ci tocca, soprattutto durante il periodo estivo.


I rimedi contro le punture degli insetti in Italia sono davvero molti: dagli spray anti-zanzare alle pomate, le soluzioni per evitare le punture sono pressoché infinite. Ma in India? Secondo i dati forniti da
Fratelli Dimenticati, l’India è uno dei 106 paesi al mondo in cui la malaria rappresenta un grave problema, si stima che circa il 70% della popolazione sia a rischio di contrarre la malattia. La principale causa di diffusione è la puntura della zanzara anofele, le altre sono legate alla sua riproduzione: le piogge copiose creano delle pozze d'acqua che diventa stagnante, l’igiene è scarsa, in molti luoghi non esistono i bagni e tantomeno un adeguato sistema fognario. Per fare un paragone, si pensi che in Italia, le punture di zanzara non sono più pericolose dagli anni '70, mentre in India, ancora oggi, basta una puntura per mettere in serio pericolo la vita di una persona e in taluni casi a portarla alla morte.


La zanzara anofele morde principalmente nel cuore della notte e all'alba, momento in cui si è già in un sonno profondo e non ci si può difendere. Ammalarsi di malaria in India significa avere delle conseguenze fisiche e psicologiche, spesso i bambini devono stare a casa da scuola per 2 settimane e prima di poter affrontare l'apprendimento scolastico con mente lucida hanno bisogno di circa un mese. Ma il problema si fa ancora più grave se la malaria colpisce un adulto, o peggio il capofamiglia, in questo caso può accadere di restare senza salario, c'è il pericolo di contrarre debiti, sia per le medicine che semplicemente per comprare del cibo. Inoltre le persone che si ammalano spesso non hanno la possibilità di curarsi, non solo per la mancanza di ospedali o ricoveri nelle vicinanze, ma anche perché non esistono mezzi adeguati per spostarsi su lunghe distanze e non ci sono strade di comunicazione adeguate per il soccorso.                  



La soluzione proposta da Fratelli Dimenticati è la zanzariera: un semplice oggetto, per noi molto conosciuto, ma poco utilizzato in India per questioni economiche o di ignoranza. La fondazione ha scelto di parlare ai bambini, trasmettendo loro un forte segnale che potesse contribuire a salvare le loro vite e quelle delle loro famiglie. Ha distribuito quante più zanzariere da letto possibile ai bambini nelle scuole, anche nelle zone rurali e più povere, insegnando loro come utilizzarle affinché al loro ritorno a casa potessero illustrarne l'utilità anche in famiglia. I bambini sono stati invitati a riflettere sulle conseguenze che la malattia potrebbe avere e si sono mostrati entusiasti di portare il nuovo messaggio alle loro famiglie. Sono così divenuti veicolo di informazioni essenziali al fine della prevenzione della malaria.


Fratelli Dimenticati si batte da diversi anni per l'aiuto alle popolazioni povere e dal 2012, con il progetto
“Malaria, No Grazie!”, è riuscita consegnare 5585 zanzariere da letto ad altrettanti bambini e alle loro famiglie, in 58 missioni negli Stati del Jharkhand, Chattisgarh, Punjab, Assam e Meghalaya. Le zanzariere sono state acquistate da produttori locali, in questo modo si è contribuito allo sviluppo economico dell'area.






Per informazioni:

Marta Perin


cell. 348.240.66.56



Elisa Sisto

elisa.sisto@mocainteractive.com

tel. 0422.174.35.74

martedì 10 giugno 2014

Donne, vittime sacrificali



Di Meriam abbiamo già parlato in un precedente articolo, ma vogliamo continuare a tenere accesi i riflettori su di lei perchè, come molte altre, è un simbolo: simbolo dell'ottusità culturale e politica, di una mentalità opportunista e retrogada. Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, ha 28 anni ed è già madre di due figli, l'ultimo partorito in carcere e senza assistenza perchè lei, figlia di una donna etiope ortodossa e di padre musulmano, si è sposata con un uomo di religione cristiana. Questa storia si svolge in Sudan e il giudice di Khartoum ha deciso di applicare contro la giovane donna la sharia con l'accusa di apostasia, nonostante la costituzione del Paese africano sancisca, dal 2005, la garanzia dei diritti umani tra cui quello della libertà di culto. E così Meriam è stata condannata a morte anche se pare che il governo sudanese stia facendo un passo indietro dopo la mobilitazione della diplomazia internazionale. Anche il Presidente Giorgio Napolitano ha auspicato una revisione della sentenza sul caso di Meriam.  


Rimane, invece, il rammarico per non aver potuto salvare le ragazze indiane, stuprate e poi impiccate ad un albero: avevano tra i 14 e i 16 anni. Nei giorni scorsi sono stati arrestati cinque uomini, ma in prima battuta la Polizia non aveva seguito il caso con attenzione perchè le adolescenti appartenevano alla casta dei “dalit”, dei paria, e quindi non erano degne di considerazione. A distanza di pochi giorni, e sempre nello Stato dell'Uttar Pradesh, un'altra vittima di uno stupro di gruppo, poi appesa ai rami di un albero: sembra che il motivo sia da cercare in un mancato matrimonio tra la vittima e il figlio di un suo vicino di casa. Nel Nord del continente, una donna di 35 anni ha tentato di ribellarsi ad una violenza carnale ed è stata uccisa dai suoi assalitori. Era spostata e madre di cinque figli.

Non dimentichiamoci delle nostre sorelle nigeriane, ancora in mano al gruppo estremista di Boko Haram (anche di loro abbiamo parlato in un altro articolo): a fine maggio, precisamente il giorno 27, il capo di Stato maggiore della Difesa, Alex Badeh, aveva annunciato di sapere dove siano tenute sequestrate e non aveva aggiunto altro per non inficiare l'operazione che, secondo il militare, le riporterà a casa. 


Continua, infine, la strage di donne italiane: con un brutto neologismo, si parla ogni giorno di “femminicidio”. E, che si tratti di Paesi ricchi o di quelli poveri, la violenza contro le donne si annida nella crisi esistenziale dell'uomo (che ha perso la propria identità e la propria umanità) e nella crisi dei valori fondamentali (il rispetto per la vita prima di tutto); affonda le radici in una cultura e in una mentalità maschiliste e prevaricatrici. Ma non riguarda solo le donne colpite e uccise – e spesso i loro figli – ma tutta la società civile perchè in ogni donna c'è un potenziale di vita. E perchè le donne sono nutrimento e cura.

giovedì 9 gennaio 2014

Violentata e bruciata a dodici anni






Ancora violenza sulle donne, in India. E ancora violenza anche sulle più giovani.

Qualche giorno fa, a 25 chilometri a Nord di Calcutta, a Madhyangram, una bambina di dodici anni è stata aggredita da un branco. La ragazzina era stata già attaccata, una prima volta, il 26 ottobre scorso da sei uomini vicino alla sua abitazione. Dopo un paio di mesi, il 23 dicembre, è stata aggredita di nuovo, in casa: l’hanno stuprata e poi, come se non bastasse, le hanno dato fuoco.

La bambina - perché a dodici anni si tratta di una bambina - era incinta nonostante la giovane età ed è deceduta il giorno di Capodanno.

Al momento dell’accaduto i genitori hanno pensato che si fosse tolta la vita a causa dell’umiliazione di essere in stato di gravidanza così piccola e le autorità, in un primo momento, hanno cercato di negare che la ragazza fosse una minore.

Questo nuovo caso, però, ha scatenato, finalmente, la reazione della società civile: migliaia di persone si sono riversate nelle strade della città per chiedere “tolleranza zero” contro chi si macchia di reati così gravi e vigliacchi. Il governo indiano ha annunciato che, sui mezzi di trasporto pubblico, verranno installate delle telecamere a tutela di tutti e, in particolare, delle donne che sono ancora vittime della violenza cieca e ottusa degli uomini. Ricordiamo anche il caso avvenuto sempre a dicembre, ma nel 2012, a New Dheli, della ragazza di ventitrè anni picchiata, violentata e torturata su un bus e che morì pochi giorni dopo. Era una studentessa (cosa abbastanza rara ancora in un continente dove il tasso di alfabetizzazione è bassissimo) e avrebbe dovuto sposarsi a febbraio. La sua bara è stata accolta dal primo Ministro Manmohan Singh e dalla Presidente del partito del Congresso, Sonia Gandhi e, in seguito, il suo corpo è stato cremato.

La 23enne è stata soprannominata la “Figlia dell’India”: lei, come tutte quelle donne, ragazze e bambine che nel mondo subiscono violenze fisiche e psicologiche sono le nostre figlie e tutti siamo chiamati a proteggerle.
 

lunedì 7 ottobre 2013

Vado a scuola: il diritto allo studio ai quattro angoli del mondo



Jackson, 10 anni, keniota; Samuel, 11 anni, indiano; Carlos, anche lui undicenne, argentino; Zahira, 12 anni, unica femmina, marocchina. Questi sono i protagonisti del documentario, da pochissimo nelle sale italiane, intitolato Vado a scuola, del regista (e viaggiatore) francese Pascal Plisson che segue i quattro bambini nel loro viaggio lungo, difficile e pericoloso, verso la mèta agognata: la scuola, appunto.
Tutte le mattine, Jackson e la sorella attraversano la savana, camminando per 15 km e con il rischio di incontrare elefanti o altri animali feroci; Carlos deve, invece, attraversare l'altopiano della Patagonia in sella al suo cavallo per un'ora e mezza; Zahira scende dai monti dell'Atlante del Marocco, a piedi. Il suo percorso è talmente faticoso che, insieme a due amiche, è costretta a fermarsi in collegio per qualche giorno per poi riprendere il cammino tra valli e sentieri. E poi c'è Samuel, costretto su una sedia a rotelle a causa della poliomelite, che viene trasportato dai due fratelli su strade accidentate.
Sono veri e propri pellegrinaggi, questi viaggi affrontati, con tenacia e coraggio, dai ragazzini che hanno ben chiaro il significato e l'importanza dello studio. Questi bambini sono supportati dalle loro famiglie che, nonostante la povertà e la difficoltà del vivere quotidiano, condividono il loro desiderio di apprendimento e di conoscenza.
Dal punto di vista tecnico il film suscita qualche perplessità: le inquadrature eccessivamente curate nella fotografia e una regia impeccabile tolgono naturalezza al girato; i bambini, qualche volta, sembrano recitare una parte già scritta; la colonna sonora che accompagna le immagini rende il lavoro espressamente didascalico.
Ma resta, comunque, un documentario utile per ricordare, a tutti noi, quanto la possibilità di studiare sia un regalo e un'opportunità, come viene ricordato nell'incipit del racconto filmico: “ Dimentichiamo troppo spesso che andare a scuola è una fortuna. In alcune parti del mondo arrivare a scuola è un'impresa e accedere all'istruzione una conquista. Ogni mattina, a volte a rischio della loro stessa vita, eroici bambini si incamminano verso la conoscenza...”.
Per Jackson, Carlos, Samuel e Zahira andare a scuola è un'avventura, una difficoltà, ma anche una grande gioia: e tutto questo vuol dire vivere e costruire il proprio futuro.



mercoledì 25 settembre 2013

La storia di Rawan: una storia emblematica



Si chiamava Rawan e aveva solo otto anni. Viveva nella'rea tribale di Hardh, nello Yemen, ed è stata venduta dai suoi genitori ad un uomo di quarant'anni, come sua sposa. E' deceduta dopo la prima notte di nozze a causa di una emorragia interna.
La notiazia è stata ripresa dal Gulf News - il sito in inglese della regione del Golfo - e poi dal Daily Mail, ma le autorità locali l'hanno smentita. Gli attivisti di molte associazioni che tutelano e monitorano i diritti umani, invece, chiedono il processo e la condanna dei genitori e dell'uomo.
Nel 2009 il parlamento yemenita ha votato una legge per evitare i matrimoni sotto i 17 anni, ma i conservatori e gli estremisti - rifacendosi ad una interpretazione letteraria del Corano - si sono opposti e hanno ribadito che la legge islamica non pone limiti di età per le unioni. E il caso di Rawan pone di nuovo l'accento su un fenomeno purtroppo ancora molto diffuso non solo nello Yemen, ma in tanti Paesi dove le bambine diventano merce di scambio per genitori poveri, ignoranti o senza scrupoli. “Le conseguenze dei matrimoni infantili sono devastanti. Le bambine vengono tolte dalla scuola, la loro istruzione interrotta in modo permanente e molte soffrono di problemi di salute cronici per avere troppi figli e troppo presto”, sostiene Liesl Gerntholdz, direttore della Divisione per i diritti delle donne di Human Rights Watch e aggiunge: “ E' fondamentale che lo Yemen prenda misure immediate per proteggere le ragazze da questi abusi”. Il fenomeno, nel paese della Penisola araba, secondo gli ultimi dati Unicef, riguarda il 14% delle bambine che si sposa prima dei 15 anni e il 52% prima dei 18.
Troppo esigui i segnali di un cambiamento sia della mentalità sia delle politiche sociali: una piccola speranza, però, è arrivata, nei giorni scorsi, dall'India. Jyoti Singh Pandey era una studentessa ventitreenne. Venne stuprata su un autobus a New Delhi il 16 dicembre scorso e morì due settimane dopo l'accaduto in un ospedale di Singapore per le feite riportate. I quattro accusati della violenza sono stati tutti giudicati colpevoli.



Un incontro interessante a Milano




Giovedì 26 settembre – ore 18 – Sala Buzzati, Via Balzan 3 – Fondazione Corriere della sera
L’altro Pakistan – Storie e scuole che cambiano la vita delle donne

Conversazione con Mushtaq Chhapra, Chairman e fondatore di The Citizens Foundation – TCF sull’istruzione in Pakistan e l’accesso scolastico femminile.
Intervengono Viviana Mazza e Antonio Ferrari del Corriere della Sera.

Ingresso gratuito con prenotazione, scrivendo a italianfiends.tcf@gmail.com

The Citizens Foundation - TCF costruisce e mantiene scuole nelle aree più svantaggiate del Pakistan, garantendo istruzione e formazione di qualità ai figli delle famiglie più povere, focalizzando il proprio impegno anche sull'accesso scolastico femminile.
Mushtaq Chhapra è un imprenditore del settore manifatturiero, filantropo convinto, attivo con diversi enti di beneficienza nelle aree della salute, sicurezza alimentare e dell'arte.
L’iniziativa è realizzata grazie al sostegno di:

Blog 27esima Ora - Corriere della Sera - Fondazione Corriere della Sera - Provincia di Milano - Atelier Anaïs - BECO Textiles - Borgo Paglianetto - Brambilla & Associati - Clayworks - Femminile al Plurale - Grand Hotel ed de Milan - Media Arts - Tramezzino.it - Villa Angarano

mercoledì 28 agosto 2013

Il lato amaro del the

Il lato amaro del the


Questa storia ci è stata segnalata da Giulia Doriguzzi, che ringraziamo


L'India è il paese multiculturale per eccellenza: con i suoi 1 miliardo e 270 milioni di abitanti racchiude all'interno del suo vasto territorio un vero e proprio crogiolo di popoli con lingue, culture, religioni e tradizioni completamente diverse l'una dall'altra. L'8% della variegata popolazione indiana è costituita dai cosiddetti adivasi, i discendenti delle antiche popolazioni tribali che abitavano l'India più di 3.000 anni fa. Sebbene racchiusi sotto un'unica etichetta linguistica, gli adivasi non costituiscono affatto una realtà culturalmente ed etnicamente omogenea: sono suddivisi in circa 450 gruppi, sparsi su tutto il territorio indiano, ognuno dei quali possiede una sua specifica identità ed è caratterizzato da particolari usi e costumi. Sono popoli che hanno sempre vissuto in stretta simbiosi con la natura, per la quale nutrono un profondo rispetto e da cui ricavano tutto il necessario per sopravvivere.
L'Assam è uno stato situato nell'estremo Nord-Est dell'India che, assieme al vicino Arunachal Pradesh, ospita il 7,5% di tutta la popolazione adivasi indiana. Dal momento che i due stati si trovano in una posizione geograficamente isolata rispetto al resto del paese, gli adivasi originari dell'Assam sono riusciti a mantenere abbastanza intatta la propria cultura. Tuttavia, una parte degli adivasi che vive in questo territorio è costituita da tribù provenienti da diverse zone dell'India, che si sono stabilite in Assam a partire dalla seconda metà dell'800. La storia di questi popoli è strettamente connessa a quella dell'industria indiana del té.

L'Assam, grazie alle caratteristiche del suo territorio e alle sue condizioni climatiche, costituisce una zona ideale per la coltivazione del té, che viene prodotto principalmente nella grande pianura alluvionale del fiume Brahmaputra. Con le sue numerosissime piantagioni, l'Assam produce oggi il 65% di tutto il té prodotto in India.
La Camelia Assamica è la pianta di té tipica dell'Assam. Anche prima che venissero create le grandi piantagioni, questa pianta cresceva già spontaneamente in diverse zone della stato. In natura la pianta può raggiungere i 20 metri di altezza ma, quando viene coltivata, si fa in modo che non cresca più di un metro e mezzo, in modo da rendere più agevole la raccolta. Quando la pianta inizia a germogliare, le sue foglie sono pronte per essere raccolte. A seconda della frequenza con cui una pianta germoglia, la raccolta può venire effettuata diverse volte in un anno. L'operazione dura circa 15 giorni e viene svolta interamente a mano, quasi esclusivamente dalle donne. Vengono raccolte in media da 2.000 a 3.000 foglie di té, che vengono subito portate nelle fabbriche accanto alle piantagioni per essere lavorate. A seconda della qualità di té che si desidera ottenere, le fasi che compongono il processo di lavorazione risultano differenti. Il famoso Té Assam è una qualità di té nero dal gusto forte e deciso, la cui lavorazione richiede diverse fasi. Le foglie vengono fatte essiccare e, mentre sono ancora morbide, vengono arrotolate su loro stesse. In seguito vengono essiccate per una seconda volta e poi macerate. Infine vengono sottoposte ad un processo di fermentazione, che verrà poi fermato attraverso un'ultima essiccazione, mediante la somministrazione di calore. Seppur in minor quantità, in Assam vengono anche prodotti té verdi e té bianchi, ottenuti senza sottoporre le foglie ad alcun processo di fermentazione.

La massiccia coltivazione del té nei territori dell'Assam fu avviata dalla Compagnia Britannica delle Indie Orientali, una delle più potenti compagnie commerciali europee, nel tentativo di sottrarre alla Cina il monopolio mondiale sulla produzione del té. La Compagnia arrivò in Assam nel 1826 e, nel 1837, rese operativa la prima piantagione di té. Dal 1850 l'industria del té vide una rapidissima espansione, con un enorme aumento della produzione. Vaste aree furono disboscate per creare nuove piantagioni e, ai primi del '900, l'Assam divenne la principale regione produttrice di té al mondo.
Per poter coltivare tutte queste piantagioni era necessario l'impiego di un grandissimo numero di persone. Poiché in Assam non c'era sufficiente forza lavoro da poter sfruttare, gli inglesi cominciarono a reclutare adivasi provenienti da diverse regioni dell'India. Questi erano tutte persone i cui territori erano stati utilizzati dai colonizzatori per la costruzione di fabbriche, la creazione di piantagioni, lo sfruttamento di risorse naturali. Per portare avanti il processo di industrializzazione del paese gli inglesi si appropriarono indebitamente delle terre degli adivasi, privandoli della loro unica fonte di sostentamento e condannandoli ad una vita di povertà. Per gli inglesi non fu difficile reclutare forza lavoro fra i membri di queste tribù, incapaci di adattarsi ad una società a cui non appartenevano e di trovare nuovi mezzi di sussistenza. In molti casi, tuttavia, i reclutamenti avvennero con l'uso dell'inganno e della violenza. Gli adivasi erano analfabeti e gli inglesi riuscirono facilmente a far loro firmare contratti di lavoro che prevedevano terribili condizioni di sfruttamento. Oltre alle frodi e ai reclutamenti forzati, vi furono anche diversi casi di rapimenti e di costrizione tramite tortura. Gli adivasi furono privati di ogni diritto e costretti a lavorare nei campi in condizioni di semi-schiavitù, senza nessuna possibilità di opporsi. All'inizio del '900, il numero di adivasi strappati con la forza alle loro terre raggiunse le 110.000 persone.
Solo nel 1951, dopo che l'India ottenne l'indipendenza, il governo emise il Plantation Labour Act, una raccolta di leggi che tutelavano gli interessi degli adivasi impiegati nelle piantagioni di té. Nonostante questo, la scarsità dei controlli favorisce ancora oggi il proliferare di violazioni legislative di ogni genere da parte dei proprietari terrieri e, di conseguenza, le condizioni dei lavoratori sono lungi dall'essere regolamentate in maniera equa. Gli adivasi lavorano tutto il giorno nelle piantagioni, ricevendo paghe irrisorie, appena sufficienti a consentir loro di sopravvivere. Perciò, lontani dalle loro terre originarie, senza possibilità di farvi ritorno e senza l'istruzione necessaria per trovare un lavoro migliore, il più delle volte gli adivasi sono costretti ad accettare una vita di povertà estrema, senza intravedere alcuna possibilità di cambiamento.

Ma le persone che più di ogni altra pagano le conseguenze di questa situazione sono i bambini. I loro genitori sono impegnati tutto il giorno nelle piantagioni e, pertanto, anche i bambini più piccoli sono, per la maggior parte del tempo, abbandonati a loro stessi. Molti si ammalano di malattie comuni e facilmente curabili, che vengono però trascurate a causa della difficoltà di accesso ai servizi sanitari e, aggravandosi, possono portare anche alla morte. I genitori, inoltre, spesso non possiedono un'adeguata educazione sanitaria e non conoscono le principali norme di igiene e di prevenzione delle malattie.
I bambini non hanno la possibilità di frequentare la scuola: senza un'istruzione, non potranno far altro che rimanere a lavorare nelle piantagioni come i loro genitori.
E' difficile immaginare che una bevanda dolce come il té possa avere un lato tanto amaro...!

La Fondazione Fratelli Dimenticati Onlus, nel 1999, ha aiutato i Salesiani a costruire una scuola nel villaggio di Rangajan, nell'Assam orientale, in modo da dare ai bambini la possibilità di ricevere quell'istruzione che i loro genitori non hanno mai potuto avere. La scuola accoglie 631 studenti provenienti dai 31 villaggi circostanti, e il loro numero è in continuo aumento. La scuola di Rangajan costituisce per tutti i bambini adivasi della zona l'unica opportunità per imparare a leggere e a scrivere, l'unica speranza di cambiare la propria vita.
Recentemente è stato inoltre avviato un progetto di sostegno alimentare per poter garantire ai bambini dei pasti giornalieri, in modo da scongiurare il pericolo della malnutrizione. I periodi più critici sono i mesi di agosto, settembre e ottobre, in cui la disponibilità di cibo è più scarsa. In questo periodo, i piccoli adivasi arrivano a scuola fisicamente spossati, pieni di mal di testa e con una fame costante.


Per informazioni sul sostegno a distanza: http://www.fratellidimenticati.it/sostegno-a-distanza

domenica 10 marzo 2013

Professione fotografo: testimoniare la realtà



Qualche giorno fa abbiamo segnalato una mostra fotografica sui bambini di strada indiani, organizzata dalla Fondazione Fratelli dimenticati ONLUS, e allestita presso la sala Livio Paladin di Palazzo Moroni, a Padova .Grazie al supporto di molte persone, la fondazione aiuta oltre 10.000 bambini in India e 2.000 tra Nepal, Nicaragua, Guatemala e Nord Messico attraverso il Sostegno a Distanza.
Il fotografo, Marc De Tollenaere - nato a Tripoli in Libia, nel 1969, da padre Belga e madre esule giuliana - ha studiato fotografia con Gianni Berengo Gardin, David Alan Harvey (Magnum), Kent Kobersteen (ex direttore della fotografia di National Geographic, Antonin Kratochvil (VII) e Bob Sacha (Life, Fortune e National Geographic).

Abbiamo rivolto alcune domande a Marc De Tollenaere

Se ha avuto l'opportunità di conoscere le storie di alcuni dei bambini indiani ritratti nella sua mostra a Padova. ce ne può raccontare qualcuna?

Certo, ricordo una bambina di circa 2 o 3 anni, era rimasta orfana di madre e il padre si era risposato, la matrigna però non la accettava in quanto figlia di un’altra donna e le aveva fatto bere qualche sostanza nociva, forse dell’acido. Era stata accolta nella struttura per bambini in attesa delle decisioni del giudice. Ricordo che era dolcissima e che mi veniva sempre in braccio mentre fotografavo, (a volte la tenevo in braccio con la destra e fotografavo con la sinistra) e molto socievole con gli altri bambini. Un altro ricordo è per un ragazzo di circa 10 anni, incontrato ad Ashalayam, una delle scuole salesiane di Calcutta. Prima di essere “sponsorizzato”, cioè adottato a distanza abitava con altri bambini nella stazione di Calcutta. Quando ho chiesto di fotografare i bambini della stazione di Calcutta lui mi ha fatto da guida e per la prima volta dopo due anni è tornato nei posti dove abitava. Mi ricordo che mentre ci avvicinavamo alla stazione tra me e me mi chiedevo come sarebbe stato per lui ritrovarsi a contatto con la realtà molto difficile in cui viveva fino a qualche anno prima. E’ stato incredibile vedere la sua faccia seria e quasi stupita che si aggirava nei vari ambienti dell’immensa stazione che, ovviamente, conosceva come le sue tasche. L’incontro con gli altri bambini è stato caloroso, ma si vedeva che lui era in un’altra dimensione, quella vita non gli apparteneva più.

Le è rimasta nel cuore, in particolare, una bambina-ragazza-donna che ha fotografato? Anche di un altro continente?

Le donne di solito fanno una vita molto riservata, per cui è difficile incontrarle e parlarci, ricordo però Lucy, una donna che viveva in una bidonville di Calcutta e dedicava tutta la sua vita a prendersi cura dei poveri. La sua vita era stata raccontata da Dominique Lapierre nel best seller “La città della Gioia” sotto lo pseudonimo di “Bandona”, solo che per vendere meglio il libro Lapierre si era inventato una storia falsa di lei con un uomo (un prete, tra l’altro) e questo in India per una donna che non si è mai sposata costituisce un gravissimo insulto. Ha continuato a fare il suo lavoro nella bidonville e non ha mai più voluto incontrare Dominique Lapierre. Una scena invece che mi ha colpito riguarda una bambina appena arrivata in un orfanotrofio dove ho vissuto e fotografato per una settimana, avrà avuto 7 o 8 anni ed era a dir poco splendida, con un’aria indifesa e un po’ impaurita, ma uno sguardo fiero e deciso che lasciava trasparire una grande forza interiore. Parlava pochissimo e la sera del suo arrivo si è seduta a guardare la strada fuori dalla finestra del secondo piano. Lentamente le scendevano le lacrime ma in silenzio. Sapeva benissimo che strillare e battere i piedi non sarebbe servito a nulla.


Quali sono le aspettative dei ragazzi fotografati in India?

Quelli che hanno accesso all’istruzione e che ho avuto modo di incontrare nelle varie visite alle scuole sono perfettamente consapevoli della fortuna che hanno. L’impressione che ne ho avuto è che credano veramente in un futuro, del resto la loro economia è senza dubbio più in crescita della nostra; sanno che se daranno il meglio a scuola potranno avere accesso al mondo del lavoro. La loro aspettativa più grande è quella di potersi costruire qualcosa di proprio.

Ha ripreso altre realtà nel mondo: in che modo si avvicina alle persone? E loro come reagiscono davanti a un obiettivo fotografico?

Tutto sta nel fare in modo che le persone dimentichino che c’è una macchina fotografica e per far questo di solito passo del tempo con loro, per vedere cosa succede, come si muovono, come reagiscono alle mie domande o ai miei movimenti. Cerco di non stressarli, prima guardo e poi eventualmente fotografo. Troppe volte vedo persone invadenti che stanno con la macchina puntata per lunghi interminabili secondi davanti ad un soggetto. Se stanno lavorando mi informo su quello che stanno facendo, in modo da essere pronto nell’attimo che interessa a me, e di solito poco dopo, quando hanno avuto tutte le informazioni e hanno saziato la loro curiosità nel sapere chi sono, da dove vengo e perché sono lì, riprendono a lavorare. A quel punto sono talmente lì che sono diventato un pezzo di arredamento e posso dedicarmi a guardare e a cogliere ciò che più mi aggrada, in modo semplice, diretto e conciso. E’ una questione di psicologia, bisogna sempre ricordarsi che chi fotografa è parte della foto, dalle sue azioni dipenderà il buono o cattivo risultato.

Secondo lei, c'è un filo conduttore che lega le persone che abitano nel sud del mondo?

Direi che il filo conduttore è la vita sociale, che mi ha colpito molto probabilmente perché da noi è quasi dimenticata. Le persone si incontrano, si conoscono tutti anche in quartieri immensi e non ho mai avuto l’impressione che qualcuno si sentisse solo. Giocano insieme: a dama, a carte, a backgammon, per strada o davanti alla porta delle abitazioni, ed è una cosa bellissima, se si pensa che il tutto si svolge in città da milioni di persone. Ogni quartiere o porzione di quartiere sembra un villaggio. L’ho visto in tantissimi posti, per esempio in Cina: ho visto i pensionati si portano dietro le gabbiette con dentro gli uccellini e vanno a chiaccherare in piazza, o che in gruppetti fanno Tai Chi nei parchi, in Vietnam i vecchi che giocano a carte con i giovani sulla riva del fiume. Durante i workshop di fotografia che tengo in giro per il mondo sono stato invitato varie volte con i miei studenti a dei matrimoni (in Nepal e in Cambogia ad esempio, straordinari per i riti, i colori e l’ospitalità della gente) o a delle feste di compleanno, come nell’antico villaggio di Ghandruk, sull’Himalaya, dove ci hanno invitati a mangiare bere e ballare semplicemente perché si passava lì davanti!





mercoledì 9 gennaio 2013

La protesta delle donne indiane contro la violenza






L'ultima notizia, data anche dalla stampa occidentale, risale al 16 dicembre scorso, ma chissà quante altre donne, ragazze e bambine sono state ancora vittime della violenza maschile, in India.
Il caso eclatante di dicembre riguarda Aisa, torturata e violentata su un autobus a New Delhi. Aisa aveva 23 anni, era una studentessa; è deceduta, dopo poco, in ospedale.
Un'inchiesta recente ha confermato al continente indiano l'amaro primato di essere il Paese in cui la condizione femminile è la peggiore: negli ultimi quattro decenni gli stupri sono aumentati del 900%. In un Paese vasto in cui, soprattutto nei villaggi, vige ancora una mentalità arcaica e patriarcale, le donne non denunciano le violenze per paura di ulteriori ritorsioni, ma anche per vergogna e senso del disonore; si moltiplicano i casi di infanticidio per malnutrizione o mancanza di cure sanitarie solo in quanto "femmine"; tante bambine vengono date in matrimonio a uomini molto più grandi di loro.
Ma in seguito al fatto grave di Aisa molte donne, nei primi giorni di questo nuovo anno, sono scese in piazza a urlare contro questo clima di violenza. Insieme a loro  si è aggunta la voce anche di tanti uomini e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha offerto al governo indiano un aiuto per tutte le organizzazioni, pubbliche e private, che in India, cercano di arginare il femminicidio. 
E' anche vero, però, che nel distretto di Pondicherry, una delle misure proposte dal governo è quella di far indossare alle studentesse un soprabito...Questa è la situazione attuale in India, ma purtroppo, il fenomeno del femminicidio (termine coniato da poco) riguarda anche altri Paesi e riguarda anche gli italiani. E noi torneremo su questo argomento.