Confessioni di un trafficante di uomini è il titolo di un libro-inchiesta (edito da Chiarelettere) in cui gli autori, Andrea Di Nicola e Giampaolo Musumeci, hanno percorso le principali vie dell’immigrazione clandestina, dall’Europa dell’Est fino ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo per scoprire cosa e chi dirige i viaggi della “speranza” di tutti quei migranti che sono costretti ad abbandonare i propri luoghi d'origine: si racconta di soldi, di un network di trafficanti, di una vera e propria organizzazione criminale. La testimonianza dei protagonisti conduce il lettore in un mondo parallelo che nessuno conosce, nemmeno le istituzioni. O forse sì.
Abbiamo intervistato per voi Giampaolo Musimeci che ringraziamo molto.
Come siete riusciti a reperire il materiale per questo libro-inchiesta?
E' stato
un lavoro di due anni e mezzo che ha fatto tesoro anche degli anni
precedenti. Gli anni precedenti miei, perchè dal 2006 ho lavorato
sulle rotte dei migranti come fotografo; Andrea Di Nicola, che è
criminologo, studia il traffico di persone.
Ci
occupiamo di snubbing che
- a
differenza del trafficking
che rieccheggia il termine “tratta” - sarebbe il “contrabbando”
di persone: lo scafista, dietro pagamento, mi consente di passare le
frontiere irregolarmente. Abbiamo lavorato su due binari: quello
giudiziario (studio di atti processuali e interviste in carcere ad
alcuni scafisti) e poi il viaggio (in Italia, Francia, Egitto,
Tunisia, Libia) per incontrare trafficanti a piede libero. Ci siamo
presentati come giornalisti e non è stato facile perchè non è
facile far parlare un criminale; il criminale ti racconta la SUA
storia, la SUA verità, ma resta valida come testimonianza. E'
comunque la prima volta che si indaga in questo mondo nascosto.
Come
avviene il “contatto” tra migranti e trafficanti?
E'
molto semplice: noi, nel libro, utilizziamo la metafora dell'agenzia
di viaggi. Un trafficante che abbiamo incontrato in Egitto ha una
rete commerciale, una serie di agenti, di ragazzi “svegli, ma non
troppo”, come dice lui. Devono, cioè, essere efficienti, ma non
devono fare domande. Questi ragazzi intercettano la domanda di
emigrazione, poi mettono in contatto le persone con il trafficante il
quale le fa passare tra Egitto e Libia e li mette nelle mani dei
libici che li fanno salire sui barconi. Lui è un collettore, ha la
sua forza vendita sul territorio: in ogni villaggio ha un suo uomo e,
quando uno di loro chiama perchè ci sono persone pronte a partire,
inizia ad organizzare la macchina o il furgone. Quando ne ha 5, 10,
20 si mette d'accordo con i colleghi che stanno sulla frontiera tra
Egitto e Libia, corrompe eventualmente le polizie e fa arrivare i
migranti ai porti.
I
trafficanti sono imprenditori senza scrupoli e con grandissime
abilità. Il Mediterraneo vale centinaia di migliaia di euro per
queste organizzazioni e noi dobbiamo capire questo per comprendere
l'entità del problema e prendere le decisioni corrette: arrestare
cento scafisti non serve a niente perchè la rete non viene
smantellata. Anche il pattugliamento e la chiusura delle frontiere
non serve a nulla perchè i trafficanti fatturano anche di più in
quanto la rotta diventa più lunga e i migranti pagano di più.
Come
fanno i trafficanti a sfuggire ai controlli? Si può parlare di una
vera e propria mafia?
Il
termine “mafia” è molto usato dai migranti stessi: due anni fa
ero al confine tra Grecia e Turchia per fare un servizio su Frontex e
i migranti mi dicevano: “Do you know mafia?, Do you know agent?”,
gli agenti, la mafia per loro sono i trafficanti. In realtà non ha
niente a che vedere con la mafia nostrana, nel senso che non c'è una
cupola, una regia unica, ma sono tante organizzazioni transnazionali,
sono tante reti.
Un
grosso trafficante, a Il Cairo, ci ha detto che non c'è un leader,
uno più bravo degli altri, ma che sono in tanti e che si aiutano tra
di loro. Uno scafista, invece, ci ha detto che loro sono i “facebook”
dei trafficanti, tanti nodi di una rete e, a volte, i rapporti sono
di natura tribale, a volta di natura amicale...Il nostro tentativo è
stato quello di rifare la “filiera” a ritroso, per andare alla
fonte.
I
trafficanti riescono sempre a sfuggire ai controlli. Quando un
trafficante è di base a Karthoum, come fa un poliziotto italiano ad
intercettare il suo telefono? Con quale banda armata parliamo in
Libia, se vogliamo arrestare qualcuno? Sono tante reti, sono troppi e
non c'è collaborazione a livello internazionale, alcuni Paesi non
collaborano. Lo scafista è il pesce piccolo ed è
rimpiazzabilissimo. Molti scafisti non sanno nemmeno per chi lavorano
e alcuni grossi trafficanti subappaltano il viaggio dei migranti.
Cosa
occorerrebbe, a livello di politica italiana e internazionale, per
bloccare il traffico di persone?
Parlo
anche a nome di Andrea perchè la pensiamo allo stesso modo. E'
impensabile che dei richiedenti asilo si mettano nelle mani dei
trafficanti. Si potrebbe pensare, per esempio, a un cordone
umanitario, oppure si potrebbero usare i traghetti di linea o le navi
da crociera perchè il viaggio costerebbe anche meno (questa è una
proposta fatta da un vescovo...).
Abbiamo
capito che la chiusura delle frontiere europee serve solo ad
alimentare il traffico: potrebbe, invece, funzionare il dialogo tra
Paesi per cui, se io so che c'è un grosso trafficante turco, devo
poter parlare con le autorità turche...So che qualcosa in questo
senso si sta muovendo perchè un magistrato con cui abbiamo parlato,
era a Istanbul un paio di mesi fa e stava cercando di rafforzare la
cooperazione internazionale con quel Paese.
Ricordiamoci
anche che l'immigrazione è la più formidabile leva politica che ci
possa essere, uno dei temi più strumentalizzati: forse l'Europa non
fa abbastanza nella prima accoglienza, però la Germania, la
Norvegia, l'Inghilterra accettano la maggior parte delle richieste di
asilo. I migranti non rimangono da noi, quindi non si deve gridare
all'emergenza perchè questa è la barzelletta italiana. Oltretutto,
non esiste solo Lampedusa in Italia: la maggior parte dei migranti
arriva a Fiumicino con un passaporto falso oppure passano da Trieste,
dalla rotta balcanica.
Il
nostro libro serve proprio a cambiare la prospettiva: quello del
traffico di persone non è un affare improvvisato, ma è
un'organizzazione enorme che ricicla denaro e l'Euroa sta mettendo in
atto risorse che non sono adeguate.