martedì 5 agosto 2014

"Kosovo vs Kosovo": un pezzo d'Europa dimenticato







Kosovo 13 anni dopo. Dopo la guerra e a quattro anni dalla dichiarazione di indipendenza del Kosovo, le enclave serbe, situate all'interno del territorio kosovaro, rappresentano una parte di Stato dentro un altro Stato, ma il governo centrale, al loro interno, non ha alcuna autorità. Qui, infatti, i serbi continuano a vivere come se fossero in Serbia grazie ad un sistema che segue le direttive di Belgrado.

Kosovo vs Kosovo è un documentario, rilasciato sotto licenza Creative Commons, che racconta tutto questo. Scritto e diretto da Valerio Bassan e Andrea Legni, con il supporto di Domenico Palazzi e Jovan Zlaticanin, il film - autoprodotto, girato in tre settimane e preceduto da una lunga fase di ricerca - mostra, in particolare, la quotidianità e le condizioni di vita della minoranza serba in Kosovo.



Per capire meglio la situazione, abbiamo intervistato Andrea Legni



Qual è, attualmente, la situazione geopolitica di quell'area?


La situazione geopolitica è di difficile lettura, nel senso che il Kosovo si è proclamato indipendente nel febbraio 2008, ma il suo status internazionale rimane non condiviso in quanto oltre la metà degli Stati membri dell'ONU non lo riconosce. Per l'ONU è ancora valida la risoluzione del 1999 secondo la quale in Kosovo è una provincia autonoma all'interno della Repubblica di Serbia.

La maggior parte degli Stati dell'Unione Europea ha, invece, riconosciuto il Kosovo (l'Italia è stato il primo) tranne alcuni e tra questi, ad esempio, la Spagna per la paura che il riconoscere un'autoproclamazione di indipendenza possa fomentare altri gruppi nazionalisti, come i Baschi o i Catalani.

A livello di relazione tra Serbia e Kosovo si sono fatti alcuni passi avanti: da una fase piuttosto lunga di “muro contro muro” si è arrivati ad una serie di incontri bilaterali, cominciati nel 2009-2010, tra i Primi Ministri che hanno portato alla sigla di un accordo in cui si cerca di normalizzare la relazione tra i due Stati. Tra le decisioni più importanti, è emersa la volontà di garantire, alle zone serbe all'interno del Kosovo (la zona nord di Mitrovica, dove vive la maggioranza serba) un'autonomia piuttosto spiccata, all'interno della quale la polizia sarà rappresentata da poliziotti e dirigenti serbi oppure i tribunali avranno pubblici ufficiali serbi, seppure con l'avvallo dello Stato del Kosovo.



Questo a livello diplomatico. Ma com'è la quotidianità delle persone?


Con il nostro documentario abbiamo voluto raccontare la quotidianità dei serbi che vivono in Kosovo. Qui i serbi vivono due condizioni differenti: la maggioranza di loro - di circa 50.000 persone, che vive a nord di Mitrovica e che, quindi, si trova praticamente in Serbia - non ha grossi problemi; noi, invece, abbiamo parlato dei serbi che vivono nel resto del Kosovo, nella parte meridionale. Qui vivono in enclave monoetniche, in villaggi di poche centinaia di abitanti, posti alla periferia delle principali città del Kosovo in cui sono rimasti, principalmente, gli albanesi.

Nei villaggi i serbi eleggono i propri sindaci; le scuole e gli ospedali vengono gestiti secondo il sistema serbo; viene utilizzato, come moneta, il dinaro, mentre in Kosovo si usa l'euro.

La vita delle persone è abbastanza dura in quanto contrassegnata da una quasi totale mancanza di libertà di movimento: mentre giravamo il film, abbiamo abitato in un piccolo villaggio in cui vivono circa 800 persone che non escono mai per paura di aggressioni. Non vanno mai nella città vicina - Peja, che dista a cinque minuti - ma, per risolvere i problemi di vita quotidiana come, ad esempio, andare dal medico - vanno a Mitrovica, affrontando un viaggio in pullman di 70 Km andata e ritorno, piuttosto che andare nella città più vicina.

Abbiamo parlato, inoltre, con i giovani e questi vivono in campagna dove, per loro, non c'è niente: non ci sono scuole né luoghi ricreativi. Niente. Questa è la ragione principale - unita alla mancanza di prospettive di lavoro - per cui i ragazzi cercano di andarsene. Anche quelli che abbiamo intervistato: appena prendevano un po' di confidenza, ci chiedevano se potevamo procurare loro un visto per partire.



Ti ricordi una testimonianza in particolare?


Sì, però non è nel documentario...Una delle difficoltà che abbiamo avuto, soprattutto con le persone più giovani, è che - dopo giorni che ci si incontrava e si parlava - non era facile convincerli a rilasciare la propria testimonianza davanti alla cinepresa, per cui molti ragazzi alla fine non se la sono sentita.

In particolare, c'è un ragazzo, Vlado, che avevamo incontrato più volte, che ha 25 anni: in un pomeriggio di chiacchiere a casa sua, ci ha raccontato la sua visione della vita in Kosovo. Una visione totalmente pessimistica: sosteneva, infatti, che in Kosovo può continuare a vivere solo chi sta aspettando di morire, cioè solamente gli anziani, che sono nati e che hanno vissuto la loro intera esistenza lì. Dopo una settimana da quel pomeriggio, siamo tornati per registrare la sua intervista, ma sua madre ci ha detto che se n'era andato a Belgrado, da un suo cugino.


Perchè si sono spenti i riflettori su quell'area di Europa?


Il Kosovo ha riempito le pagine dei media fino a quando è stato il momento di preparare gli animi alla guerra, tra la fine del 1998 e l'inizio del '99, poi se ne è parlato per qualche anno quando il conflitto è finito, ma poi è sparito dall'agenda dei media. Questo ha portato non solo a dimenticare la questione, ma - ancora più grave - a pensare che, se non se ne parla più, è perchè ormai è tutto a posto.