mercoledì 27 agosto 2014

Una radio all'interno di un carcere minorile




Non ci sto dentro” è una frase che i nostri ragazzi ripetono spesso, per esprimere l loro disagio, la la noia, la pigrizia: ma adesso è anche il titolo del documentario di Antonio Bocola (già pluripremiato per il lungoemtraggio Fame chimica) con cui ritorna a parlare di giovani, di adolescenti. O meglio, fanno sentire la loro voce grazie al mezzo cinematografico e alla radio.

Il film, infatti, racconta dell'idea di far nascere proprio una radio all'interno del “Beccaria”, l'istituto di pena minorile di Milano, attraverso la quale ragazzi e adulti si mettono in gioco. E così nel film: i detenuti parlano della loro quotidianità, ma anche dei loro sogni; gli adulti - gli operatori all'interno della struttura - raccontano il rapporto reciproco, le difficoltà, le conquiste.

Intelligente la scelta di regia di non riprendere mai i ragazzi in primo piano, ma di fare riprese di spalle, oppure a parti del corpo, in penombra per tutelare la privacy e garantire l'anonimato di chi ha sbagliato e sta affrontando un percorso di recupero. Attraverso la cinepresa, lo spettatore può entrare nel carcere, negli spazi esterni (come nelle comunità Kayros, Comunità Nuova, Arimo) e capire quali siano le opportunità proposte dal sistema di Giustizia minorile italiano.

Devo pagare per quello che ho fatto”, dice un ragazzo. E un altro: “ Adesso che ci sono tutti questi operatori intorno a me, bisogna sfruttarli”. Le ragazze sono più sfrontate dei maschi. Hanno tutti, italiani e stranieri, la possibilità di cambiare strada, di riscattarsi e il tempo è dalla loro parte.

Vogliamo riportare le parole di un operatore intervistato, il magistrato Fabio Tucci, già giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale dei Minori di Milano: “ Quando il minore compie un gesto antisociale ha superato un muro altissimo, quindi è in una situazione di disagio profondo al punto che il minore trova conveniente compiere un gesto antisociale che lo pone fuori da una situazione di consenso, ma è così spinto dalla paura dell'altro che deve necessariamente agire in modo antisociale. Quindi compiere un delitto viene vissuto dagli addetti ai lavori come un grido di aiuto del minore...Tendenzialmente il minore che realizza un comportamento antisociale è un minore tendenzialmente confuso, è un minore che ha avuto una suggestione da parte dell'ambiente, da parte della famiglia a comportarsi in un certo modo, a rubare qualcosa, e per la prima volta rischia di pagare le conseguenze per un gesto magari fatto altre volte ma non scoperto, per il quale non ha pagato nulla. Quindi è un minore che sta assaporando per la prima volta che i suoi punti di riferimento sono messi in crisi perchè c'è un altro punto di riferimento, quello del Tribunale per i minorenni, che sta provando a sostituirsi ad esso. Se il minore è confuso ha bisogno di chiarezza, allora vuo, dire che l'équipe educativa deve essere chiara e monolitica ai suoi occhi.

Quindi il vertice di questa struttura non può essere che il giudice perchè il minore ha chiaro che è il giudice che eventualmente può irrogare la sanzione penale, la privazione della libertà. Quindi è chiaro che lui deve trasferire il messaggio educativo in alternativa a quello detentivo.”

Ma ancora più incisive, e meno tecniche, sono le parole di Don Gino Rigoldi: “ Uno dei comportamenti meno insegnati oggi è la fiducia, la relazione, i legami, gli amori”: e questo si commenta da sé.


Il film è stato riconosciuto di interesse educativo dal Ministero della Giustizia – Dipartimento di Giustizia Minorile





Abbiamo intervistato per voi Antonio Bocola che ringraziamo molto

Quando nasce l'idea di una radio all'interno di un istituto minorile e cosa rappresenta (Se ci puoi dire dove possiamo ascoltarla) ?

Alcuni anni prima della realizzazione del film, con l’ Avv. Giuseppe Vaciago e alla Onlus Suonisonori, un’agenzia esterna che opera all’interno di tutte le carceri del milanese con progetti relativi alla musica, ho ideato e coordinato la nascita di un Laboratorio Cine TV.
In quel laboratorio ha preso corpo l’idea di realizzare un film al “Becca”.
La realizzazione del film è stata costellata di mille problematiche da risolvere, considerati i molti limiti del caso. Uno dei problemi da risolvere era quello di avere, con una certa regolarità, la possibilità di intervistare i ragazzi detenuti. L’idea che ho messo in campo è stata quella di realizzare con l’aiuto, ancora una volta, di Suonisonori, un laboratorio Radio dove i ragazzi tra un pezzo e una dedica, moderati da una coppia di giovani conduttori radio, avevano modo di parlare in libertà.
Ovviamente lo studio Radio era un set del mio film e tutto avveniva sotto l’occhio di un paio di telecamere.
L’ esperienza del laboratorio radio quindi, è l’idea portante della messa in scena del film.
Il prodotto degli incontri erano dei file audio in “podcast” che venivano caricati su dei lettori mp3 personali che sono stati distribuiti a tutti detenuti.
Le vigenti leggi impediscono qualsiasi trasmissione in diretta dal carcere.

Come avete raccontato il progetto ai ragazzi e come hanno reagito alla proposta?


In carcere, i ragazzi per la maggior parte reagiscono positivamente o addirittura entusiasticamente a molti degli stimoli esterni qualificati e riconoscibili, che hanno a che fare con l’immaginario collettivo mainstream. La figura del DJ è senz’altro uno di quei casi. Tanto più sapendo che c’era un film di mezzo e che loro avrebbero potuto dire qualsiasi cosa protetti dall’anonimato.
Quindi in un “casting” di di ragazzi e ragazze tra gli aderenti, insieme agli operatori del carcere, abbiamo scelto un gruppo di ragazzi e un gruppo di ragazze. Sebbene pochi erano quelli coinvolti direttamente nel laboratorio radio, nel racconto del Beccaria, anche tutti gli altri ragazzi e operatori sono stati in qualche modo coinvolti, con una buona risposta generale.

Com'è la quotidianità che emerge dai racconti dei giovani reclusi? E gli adulti come si relazionano con loro?
La vita in carcere, a partire dall’assenza della libertà è certamente una grossa novità nella vita del ragazzo. Regole, ritmi scanditi, le attività educative, la scuola (molti ragazzi, soprattutto stranieri non ci sono mai andati prima), entrano nella loro vita. Ma la cosa principale che accade è l’incontro, forse per la prima volta, con un mondo adulto molto distante da quello che hanno conosciuto fino a quel momento. Un mondo adulto variegato, che esprime la sua “paternità” nel giudice, cioè colui che commina non una pena, ma un tempo necessario al recupero del ragazzo. Migliore sarà la risposta del ragazzo, più breve sarà quel tempo necessario. La scuola e le attività educative esprimono l’aspetto “materno” di questa inedita occasione di confronto, messa in discussione del ragazzo e della sua crescita.
Per alcuni dei ragazzi ci sono delle alternative al carcere? Possono, ad esempio, entrare in comunità? E ci puoi raccontare qualche esperienza?

L’ingresso in carcere, per esempio, per un minorenne italiano, con l’esclusione dei delitti più gravi, non è scontato.
Dopo l’arresto il minore viene condotto al CPA Centro di Prima Accoglienza, che è una struttura para-carceraria, dove il minore viene custodito per un tempo minimo, fino all’istituzione del processo. Il giudice, per un primo reato, se è presente un nucleo familiare, per la maggior parte dei casi commina delle prescrizioni o delle limitazioni parziali della libertà. Nei casi più gravi oppure nel caso dei minori stranieri senza la tutela dei genitori, i ragazzi vengono accompagnati a passare del tempo deciso dal giudice, presso le comunità.
Solo nel caso il percorso presso la comunità fallisca o per la recidiva o l’aggravamento su reati specifici come l’evasione, apre le porte del carcere. In buona sostanza gli italiani reclusi, per la maggior parte provengono da un contesto familare problematico e con una lunga carriera “criminale” mentre gli stranieri, spesso vengono privati della libertà al primo reato.


Le persone che hai incontrato che cosa si aspettano dal futuro?
Senza pretesa di scientificità e spero con una forchetta meno pessimista di quella che vedo, molti ragazzi italiani difficilmente riusciranno a dare una traiettoria differente al loro tracciato di vita. In molti casi saranno ospiti del carcere per gli adulti, a cui aspirano come segno di “evoluzione” nella gerarchia di riferimento. In altri casi per fortuna sempre di più, si hanno dei pieni recuperi e delle nuove prospettive di vita. Forse questi sarebbero sempre di più, se ci fosse un apertura delle occasioni di formazione e lavoro dei ragazzi e un accompagnamento all’autonomia, in un percorso post carcerario. Molti casi sono commoventi ed eclatanti, come il ragazzo che è diventato un fotografo di successo u un’altro che ora fa il poliziotto privato. Ricordiamo che il processo penale minoraile, se di successo, prevede l’annullamento del reato.