“Non
ci sto dentro” è una frase che i nostri ragazzi ripetono spesso,
per esprimere l loro disagio, la la noia, la pigrizia: ma adesso è
anche il titolo del documentario di Antonio Bocola (già
pluripremiato per il lungoemtraggio Fame
chimica) con cui ritorna a
parlare di giovani, di adolescenti. O meglio, fanno sentire la loro
voce grazie al mezzo cinematografico e alla radio.
Il film,
infatti, racconta dell'idea di far nascere proprio una radio
all'interno del “Beccaria”, l'istituto di pena minorile di
Milano, attraverso la quale ragazzi e adulti si mettono in gioco. E
così nel film: i detenuti parlano della loro quotidianità, ma anche
dei loro sogni; gli adulti - gli operatori all'interno della
struttura - raccontano il rapporto reciproco, le difficoltà, le
conquiste.
Intelligente
la scelta di regia di non riprendere mai i ragazzi in primo piano, ma
di fare riprese di spalle, oppure a parti del corpo, in penombra per
tutelare la privacy e garantire l'anonimato di chi ha sbagliato e sta
affrontando un percorso di recupero. Attraverso la cinepresa, lo
spettatore può entrare nel carcere, negli spazi esterni (come nelle
comunità Kayros, Comunità Nuova, Arimo) e capire quali siano le
opportunità proposte dal sistema di Giustizia minorile italiano.
“Devo
pagare per quello che ho fatto”, dice un ragazzo. E un altro: “
Adesso che ci sono tutti questi operatori intorno a me, bisogna
sfruttarli”. Le ragazze sono più sfrontate dei maschi. Hanno
tutti, italiani e stranieri, la possibilità di cambiare strada, di
riscattarsi e il tempo è dalla loro parte.
Vogliamo
riportare le parole di un operatore intervistato, il magistrato Fabio
Tucci, già giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale
dei Minori di Milano: “ Quando il minore compie un gesto
antisociale ha superato un muro altissimo, quindi è in una
situazione di disagio profondo al punto che il minore trova
conveniente compiere un gesto antisociale che lo pone fuori da una
situazione di consenso, ma è così spinto dalla paura dell'altro che
deve necessariamente agire in modo antisociale. Quindi compiere un
delitto viene vissuto dagli addetti ai lavori come un grido di aiuto
del minore...Tendenzialmente il minore che realizza un comportamento
antisociale è un minore tendenzialmente confuso, è un minore che ha
avuto una suggestione da parte dell'ambiente, da parte della famiglia
a comportarsi in un certo modo, a rubare qualcosa, e per la prima
volta rischia di pagare le conseguenze per un gesto magari fatto
altre volte ma non scoperto, per il quale non ha pagato nulla. Quindi
è un minore che sta assaporando per la prima volta che i suoi punti
di riferimento sono messi in crisi perchè c'è un altro punto di
riferimento, quello del Tribunale per i minorenni, che sta provando a
sostituirsi ad esso. Se il minore è confuso ha bisogno di chiarezza,
allora vuo, dire che l'équipe educativa deve essere chiara e
monolitica ai suoi occhi.
Quindi
il vertice di questa struttura non può essere che il giudice perchè
il minore ha chiaro che è il giudice che eventualmente può irrogare
la sanzione penale, la privazione della libertà. Quindi è chiaro
che lui deve trasferire il messaggio educativo in alternativa a
quello detentivo.”
Ma
ancora più incisive, e meno tecniche, sono le parole di Don Gino
Rigoldi: “ Uno dei comportamenti meno insegnati oggi è la fiducia,
la relazione, i legami, gli amori”: e questo si commenta da sé.
Il
film è stato riconosciuto di interesse educativo dal Ministero della
Giustizia – Dipartimento di Giustizia Minorile
Abbiamo
intervistato per voi Antonio Bocola che ringraziamo molto
Quando
nasce l'idea di una radio all'interno di un istituto minorile e cosa
rappresenta (Se ci puoi dire dove possiamo ascoltarla) ?
Alcuni
anni prima della realizzazione del film, con l’ Avv. Giuseppe
Vaciago e alla Onlus Suonisonori, un’agenzia esterna che opera
all’interno di tutte le carceri del milanese con progetti relativi
alla musica, ho ideato e coordinato la nascita di un Laboratorio Cine
TV.
In
quel laboratorio ha preso corpo l’idea di realizzare un film al
“Becca”.
La
realizzazione del film è stata costellata di mille problematiche da
risolvere, considerati i molti limiti del caso. Uno dei problemi da
risolvere era quello di avere, con una certa regolarità, la
possibilità di intervistare i ragazzi detenuti. L’idea che ho
messo in campo è stata quella di realizzare con l’aiuto, ancora
una volta, di Suonisonori, un laboratorio Radio dove i ragazzi tra un
pezzo e una dedica, moderati da una coppia di giovani conduttori
radio, avevano modo di parlare in libertà.
Ovviamente
lo studio Radio era un set del mio film e tutto avveniva sotto
l’occhio di un paio di telecamere.
L’
esperienza del laboratorio radio quindi, è l’idea portante della
messa in scena del film.
Il
prodotto degli incontri erano dei file audio in “podcast” che
venivano caricati su dei lettori mp3 personali che sono stati
distribuiti a tutti detenuti.
Le
vigenti leggi impediscono qualsiasi trasmissione in diretta dal
carcere.
Come
avete raccontato il progetto ai ragazzi e come hanno reagito alla
proposta?
In
carcere, i ragazzi per la maggior parte reagiscono positivamente o
addirittura entusiasticamente a molti degli stimoli esterni
qualificati e riconoscibili, che hanno a che fare con l’immaginario
collettivo mainstream. La figura del DJ è senz’altro uno di quei
casi. Tanto più sapendo che c’era un film di mezzo e che loro
avrebbero potuto dire qualsiasi cosa protetti dall’anonimato.
Quindi
in un “casting” di di ragazzi e ragazze tra gli aderenti, insieme
agli operatori del carcere, abbiamo scelto un gruppo di ragazzi e un
gruppo di ragazze. Sebbene pochi erano quelli coinvolti direttamente
nel laboratorio radio, nel racconto del Beccaria, anche tutti gli
altri ragazzi e operatori sono stati in qualche modo coinvolti, con
una buona risposta generale.
Com'è
la quotidianità che emerge dai racconti dei giovani reclusi? E gli
adulti come si relazionano con loro?
La
vita in carcere, a partire dall’assenza della libertà è
certamente una grossa novità nella vita del ragazzo. Regole, ritmi
scanditi, le attività educative, la scuola (molti ragazzi,
soprattutto stranieri non ci sono mai andati prima), entrano nella
loro vita. Ma la cosa principale che accade è l’incontro, forse
per la prima volta, con un mondo adulto molto distante da quello che
hanno conosciuto fino a quel momento. Un mondo adulto variegato, che
esprime la sua “paternità” nel giudice, cioè colui che commina
non una pena, ma un tempo necessario al recupero del ragazzo.
Migliore sarà la risposta del ragazzo, più breve sarà quel tempo
necessario. La scuola e le attività educative esprimono l’aspetto
“materno” di questa inedita occasione di confronto, messa in
discussione del ragazzo e della sua crescita.
Per
alcuni dei ragazzi ci sono delle alternative al carcere? Possono, ad
esempio, entrare in comunità? E ci puoi raccontare qualche
esperienza?
L’ingresso
in carcere, per esempio, per un minorenne italiano, con l’esclusione
dei delitti più gravi, non è scontato.
Dopo
l’arresto il minore viene condotto al CPA Centro di Prima
Accoglienza, che è una struttura para-carceraria, dove il minore
viene custodito per un tempo minimo, fino all’istituzione del
processo. Il giudice, per un primo reato, se è presente un nucleo
familiare, per la maggior parte dei casi commina delle prescrizioni
o delle limitazioni parziali della libertà. Nei casi più gravi
oppure nel caso dei minori stranieri senza la tutela dei genitori, i
ragazzi vengono accompagnati a passare del tempo deciso dal giudice,
presso le comunità.
Solo
nel caso il percorso presso la comunità fallisca o per la recidiva o
l’aggravamento su reati specifici come l’evasione, apre le porte
del carcere. In buona sostanza gli italiani reclusi, per la maggior
parte provengono da un contesto familare problematico e con una lunga
carriera “criminale” mentre gli stranieri, spesso vengono privati
della libertà al primo reato.
Le
persone che hai incontrato che cosa si aspettano dal futuro?
Senza
pretesa di scientificità e spero con una forchetta meno pessimista
di quella che vedo, molti ragazzi italiani difficilmente riusciranno
a dare una traiettoria differente al loro tracciato di vita. In molti
casi saranno ospiti del carcere per gli adulti, a cui aspirano come
segno di “evoluzione” nella gerarchia di riferimento. In altri
casi per fortuna sempre di più, si hanno dei pieni recuperi e delle
nuove prospettive di vita. Forse questi sarebbero sempre di più, se
ci fosse un apertura delle occasioni di formazione e lavoro dei
ragazzi e un accompagnamento all’autonomia, in un percorso post
carcerario. Molti casi sono commoventi ed eclatanti, come il ragazzo
che è diventato un fotografo di successo u un’altro che ora fa il
poliziotto privato. Ricordiamo che il processo penale minoraile, se
di successo, prevede l’annullamento del reato.