“Nel
nostro Paese dicono che la persona umana conserva pienamente, anche
nella condizione di detenzione, il suo diritto inalienabile alla
manifestaizone della propria personalità nell'affettività. Eppure
io - condannato alla cosiddetta “Pena di Morte Viva” (l'ergastolo
ostativo) - e la mia compagna sono ventitrè anni che sognamo l'amore
senza poterlo fare. Lei, anche dopo tanti anni, è ancora l'amore che
avevo sempre atteso. Mi ricordo ancora le sue prime parole, i suoi
primi sorrisi e i suoi primi baci. Da molti anni viviamo giorni
smarriti, perduti e disperati”: queste le parole inziali di una
lunga lettera che Carmelo Musumeci, detenuto presso l'istitituto di
pena di Padova, ha inviato al Ministro della Giustizia, Andrea
Orlando, per chiedere una maggiore attenzione, da parte della
politica, nei confronti anche dell'aspetto affettivo-sessuale di chi
è recluso.
Sappiamo
quanto nelle carceri italiane siano carenti le risorse sanitarie e
manchi un adeguato controllo dell'igiene. Siamo stati sanzionati
anche per il sovraffollamento, ma è necessario prendere in
considerazione anche le condizioni psicologiche dei detenuti: stanno
scontando, giustamente, la loro pena, ma le istituzioni non possono
evitare di garantire alcuni diritti fondamentali, tra cui quello alla
sessualità. Scrive ancora Musumeci: “ In carcere gli affetti e le
relazioni, il rapporto stesso di un individuo con le persone amate,
con la propria vitalità e con i desideri, viene sepolto. Di fronte
all'impossibilità di coltivare i sentimenti, se non in forme
frammentarie ed episodiche (i colloqui, le lettere, le telefonate
dalla sezione) spesso i detenuti e le detenute cancellano l'idea di
potersi sentire ancora vivi e vive nel cuore...”: questa
lettera/appello è stata accolta anche dall'associazione Antigone e
inserita sulla piattaforma Change.org/amoretralesbarre.
Al di là
delle ipocrisie o di una mentalità vendicativa, chi ha sbagliato
resta fuori dalla società civile, ma la sua dignità di persona va
comunque rispettata.