martedì 7 ottobre 2014

Mille farfalle nel sole: spiegare l'esilio ai bambini




"Sono cresciuta in una famiglia di origini per metà curde e per l'altra metà persiane, ad Abadan, in Iran, la città del fiume lento e delle palme svettanti. Era il posto dove tutta la mia famiglia aveva riso, ballato, pianto, fatto l'amore. Lì era sepolto mio nonno Abbas ed erano nati i miei zii, le zie, io e mia sorella. Era un altro Iran, quello degli scià, denso di ingiustizie e ombre inquietanti, ma abbastanza moderno e forte da tollerare la bellezza e la libertà delle donne. Mia madre Sedigheh era una giovane di ampie vedute e aveva potuto educare noi figlie all'occidentale. La sua cucina, con gli aromi di zafferano, riso ed erbe appena mondate, la tavola che cede sotto una cornucopia di frutta, era allora ed è oggi il mio rifugio. Con la Rivoluzione khomeinista tutto finì. Niente più capelli al vento, niente più vestiti, solo oscurantismo e violenza. Mio padre Bagher decise di portarci in salvo nel paese in cui aveva studiato, l'Inghilterra. Come migliaia di altri, scappammo per salvarci la vita. A ogni passo che la allontanava, mia madre avvertì un dolore mai provato prima, lo avevo nove anni e da allora ho ignorato le mie radici. Poi un giorno la voce dei ricordi mi ha chiamato e ho trovato la strada di casa."
Questo è un brano tratto dal romanzo Mille farfalle nel sole, di Kamin Mohammadi, edito da Piemme: un racconto accorato e lucido di un Paese e di una famiglia; un racconto di formazione e di consapevolezza.


Abbiamo rivolto alcune domande all'autrice che ringraziamo molto.





Come si può spiegare a una bambina di nove anni che deve lasciare il proprio Paese (la scuola, gli amici, i parenti) a causa di un guerra o di una rivoluzione?



Non posso davvero rispondere a questa domanda. Nessuno me lo ha spiegato, ce ne siamo solo andati via. Forse sarebbe stato meglio capire cosa stesse accadendo, ma in una situazione del genere gli adulti stessi sono cosi’ impotenti ed indifesi che non si puo’ pretendere che siano in grado di spiegare le cose in modo sensato ad un bambino. Penso che deve essere estremamente difficile.




Quali sono i ricordo più vividi, degli anni prima e post rivoluzione, che le hanno raccontato i suoi genitori?



Sono tutti nel libro. I miei genitori non hanno storie dell’Iran pre-rivoluzione perché io ho vissuto li e avevo i miei ricordi, ma mia madre spesso mi raccontava storie della sua infanzia in Abadan e i dispetti che i suoi fratelli facevano.




Adesso vive in Italia da cinque anni dopo aver vissuto a lungo anche a Londra: nota delle differenze – nei confronti degli stranieri, dei rifugiati – da parte delle persone oppure nelle politiche di inclusione?



Vorrei chiarire che divido il mio tempo tra Londra e l’Italia. Purtroppo per una Londinese, che è profondamente multiculturale e parte di una società molto aperta, tollerante e individualista, l’Italia e’ un po’ vecchio stile e provinciale nel suo approccio ai rifugiati ed immigranti. La Gran Bretagna aveva un impero grande e quindi si e’ abituata all’immigrazione dalle ex-colonie gia’ nei lontani anni 1950 quando c'erano scontri razziali e molti problemi con il razzismo istituzionalizzato. L’Italia ha solo vissuto l’immigrazione negli ultimi 10-20 anni, quindi e’ ancora una societa’ molto mono-culturale ed ha un lungo cammino da percorrere per eliminare il razzismo dalla sua cultura e trovare una forma di integrare i rifugiati nella sua societa’. E’ necessaria piu’ educazione.



D’altro canto, gli italiani sono naturalmente piu’ caldi ed accoglienti con gli sconociuti – sono padroni di casa meravigliosi per noi che siamo ospiti. Credo che il problema a volte sia quando uno straniero non e’ piu’ solo un ospite e cerca di divenire parte della societa’ italiana. Penso che sembra quasi impossibile, a Londra ho incontrato molte persone del nord Africa che, dopo alcuni anni di vita in Italia come immigranti, se ne vanno per venire al Nord Europa perche’ capiscono che qui resteranno sempre immigranti, senza la possibilita’ di integrarsi veramente nella societa’ o un giorno chiamarsi italiani.



Quando sono in Italia vivo a Firenze, e a parte i turisti che non contano perche’ solo sono di passaggio e non contribuiscono positivamente alla cultura locale, non ci sono praticamente persone nere o di pelle scura che facciano lavori comuni, non ne ho mai visto neanche una lavorare in un bar. Certo, a Milano o Roma e’ diverso ma queste citta’ sono l’eccezione alla regola. Questo ancora mi sorprende, che in una citta’ cosi’ importante e sofisticata come Firenze ci siano cosi’ poche persone di altri ‘colori’ e culture che costituiscano parte della societa’ normale. Penso che questo sia un problema, specialmente in un paese che ha il piu’ basso tasso di natalita’ d’Europa e con la popolazione che piu’ rapidamente invecchia…




Cosa porta, dentro di sé, della doppia appartenenza, all'etnia curda e a quella persiana?



Non sono cosi’ distinte per noi. Dovete cercare di immaginare che queste due etnie sono entrambe parte della stessa principale – l’essere iraniani. Le diverse etnie d’Iran sono tutte parte delle definizione ‘essere iraniani’, e sebbene celebriamo la differenza – per esempio i piatti curdi, il costume tradizionale curdo e le danze – non sento molte diversita’ reale tra le due. Sono entrambe parti della mia stessa identita’ iraniana.




Qual è la differenza tra l'Iran contemporaneo e quello di suo nonno Abbas?


Questa e’ un’altra domanda che e’ davvero difficile da spiegare! Iran ha cambiato moltissimo da quei tempi – cosi’ come l’Italia e la Gran Bretagna! Vi consiglio di leggere il mio libro – tutte le risposte sono li’! E’ stato davvero il mio obiettivo mostrare l’enorme cambio che l’Iran ha attraversato negli ultimi 100 anni – nel paese di mio nonno Abbas la gente comune non aveva cognomi… – quindi e’ stato uno sviluppo alla modernita’ incredibilmente veloce, e penso che le tensioni di questo cambiamento accelerato siano esplose nella rivoluzione.