Fata morgana e le mafie (S)disonorate
Di Anna Giuffrida
(www.annagiuffrida. Wordpress.com)
“
Le
femmine hanno risorse, e le mie figlie che restano e parlano, le mie
sorelle, diventano cataratte di parole, fermano i morti, acchiappano
la vita, parlano, riparlano. Fiumi in piena sono”.
Così Marica Roberto, attrice e autrice siciliana del potente testo
teatrale “La Fata Morgana, fantasia su un mito”, fa memoria delle
donne “sdisonorate” (citando il titolo del dossier
dell’associazione DaSud, da cui trae spunto la piece). Donne
libere, e per questo uccise dalle mafie, a cui il teatro ha ridato la
parola. E un volto, quello del mito femminile di Fata Morgana che,
dalle acque dello stretto di Messina alle tavole di legno del palco
del Teatro Lo Spazio a Roma, ha fatto rivivere le sue “sorelle”
morte ammazzate. Nove donne, delle oltre 150 vittime della
criminalità organizzata, dai 14 ai 74 anni. Nove donne, del Sud ma
anche del Nord. Nove donne accomunate dall’amore pulito per uomini
sporchi, insudiciati dall’appartenenza a famiglie criminali e dalla
convinzione di possederle come delle cose. Perché è così che la
donna è catalogata nel registro mentale e linguistico delle mafie,
la “cosa”. Eppure queste donne non hanno rinunciato alla loro
dignità, alla loro libertà, anche se innamorate. Anzi. Hanno
combattuto con coraggio in nome dell’amore, anche per se stesse.
Come ha fatto la piccola Palmina Martinelli, innamorata di un giovane
che voleva farla prostituire e uccisa con “alcol e fiammiferi”
per essersi rifiutata di farlo. E Tita Buccafusca, che amò e sposò
Pantaleone Mancuso potente boss della ‘ndrangheta, considerata da
tutti come la “matta” dopo una lunga depressione. Ma per amore
del figlio decise di allontanarsi e raccontare quello che sapeva. La
solitudine ebbe poi il sopravvento, e fu così spinta al suicidio che
mise in atto ingerendo acido muriatico. E anche Lea Garofalo, che
guardò negli occhi le storture della criminalità sposando un uomo
di ‘ndrangheta di cui si era innamorata, e che per amore della
figlia scelse la libertà della verità e di non tenere più la bocca
chiusa, fino alla fine. Storie di donne, figlie, madri vissute
nell’ombra e quasi sempre delegittimate, persino come esseri umani.
Vittime spesso rimaste senza giustizia, perché la giustizia al
massimo ha scelto di considerarle morte per femminicidio. Una comoda
distorsione della realtà, come ha fatto notare la deputata di SEL
Celeste Costantino al termine dello spettacolo: “Il dossier
(“Sdisonorate” di DaSud, ndr)
vuole dare forza alla memoria e svelare un falso storico: che le
mafie non toccano donne e bambini. Bisogna anche raccontare
l’eccezionalità dentro la normalità. Questa specificità delle
mafie di uccidere le donne ha una sua normalità, cioè che il
femminicidio è stato sempre considerato un’emergenza e invece
avviene quotidianamente. Si parla solo dell’atto finale, ma prima
di arrivare a quell’uccisione c’è un calvario”. Per questo
amore coraggioso ma anche fragile, per queste donne innamorate ma
anche libere Fata Morgana/Marica Roberto si addolora ma combatte. In
un palco lasciato nudo ed essenziale, come la verità, l’attrice
messinese presta il suo corpo a quell’amore, a quel dolore, in un
ritmo incalzante che spezza il fiato e le lacrime. La sola incessante
scenografia, con la presenza di tamburi marranzano e zampogna suonati
con forza e passione, la ricreano le canzoni e sonorità della
compagnia siciliana Unavantaluna. La legalità ha bisogno del
sostegno della cultura, e il teatro è il luogo dove la parola non
può essere modulata e va dritta al cuore. Eppure la compagnia Attori
& Musici, e la nostra Marica Roberto, questo testo in lingua
quasi del tutto siciliana non è riuscita ancora a mostrarlo nelle
scuole del sud, come vorrebbe. Mancate risposte, o anche risposte
sbrigative del tono “Non abbiamo i soldi per ospitare lo
spettacolo”. Peccato. Peccato che non ci siano fondi da destinare
all’educazione alla legalità. E che il sistema scuola non sappia
tenersi al passo con le nuove esigenze culturali che deve
trasmettere.