Cari
lettori abbiamo intervistato Maura Muneretto della cooperativa Parsec
che ha prodotto, con il contributo del Dipartimento per le Pari
Opportunità, il documentario intitolato Padrone
Bravo di
Simone Amendola: un lavoro che tratta un tema, purtroppo, di grande
attualità.
Ringraziamo la cooperativa e il
regista per quest'analisi.
Il
documentario nasce da un progetto della cooperativa Parsec con i
migranti sfruttati nel mondo del lavoro: ci può illustrare il
progetto e come si è sviluppato?
Il
documentario Padrone Bravo è stato realizzato a partire dalle
attività che la Cooperativa Parsec porta avanti sul tema della
tratta e del grave sfruttamento lavorativo fin dal 2006. Tali
attività si sono avviate con il progetto Right Job finanziato dal
Dipartimento per le Pari Opportunità, con i fondi previsti dall’art.
18 del Testo Unico sull’immigrazione, e mirato alla realizzazione
di programmi di assistenza e integrazione sociale per le vittime di
tratta e sfruttamento.
Nato
come progetto sperimentale, Right Job è stato, nei 5 anni di
attività, l'unico intervento specificatamente rivolto alla
prevenzione e al contrasto del grave sfruttamento lavorativo nel
territorio della Regione Lazio. Esso ha permesso la realizzazione di
percorsi di protezione sociale che hanno consentito la fuoriuscita
dal circuito dello sfruttamento di decine di vittime ma, soprattutto,
ha contribuito a tracciare una strada e a sperimentare delle buone
pratiche riproducibili, costruendo una rete di soggetti più
consapevoli e responsabilizzati nel riconoscere e contrastare il
fenomeno.
Due
sono state le principali azioni del progetto: attività di
intercettazione ed emersione di potenziali vittime del grave
sfruttamento lavorativo nella Regione Lazio e presa in carico delle
vittime riconosciute, al fine dell’ingresso nei programmi di
protezione sociale.
A
questo va aggiunta una costante attività di indagine e monitoraggio
sul fenomeno del grave sfruttamento lavorativo nella Regione Lazio e
la pubblicazione di una ricerca1
dal titolo "Right Job -
Lavoro senza diritti. Tratta e sfruttamento lavorativo degli
immigrati a Roma e nel Lazio".
A
partire dal 2011 il progetto Right Job è stato inglobato all’interno
di progettazioni più ampie e attualmente sonno attivi i progetti
“Fuori Giogo” e “Si tratta di Me” finanziati ai sensi
dell’art.13 L.228/2003 (Legge sulla tratta) e dell’art.18 D. Lgs
286/98.
Le
istituzioni italiane si stanno occupando del fenomeno della tratta e
dello sfruttamento?
Grazie
all’Art. 18 del Testo Unico sull’immigrazione l’Italia è senza
dubbio all’avanguardia per ciò che concerne la repressione del
fenomeno della tratta e, allo stesso tempo, la protezione delle
vittime. Nonostante questo negli ultimi anni si è arrivati a una
contrazione dei fondi che ha messo a dura prova la tenuta del sistema
stesso. Il Governo infatti, da tempo ha avviato una politica di
disinvestimento, in termini di risorse finanziarie e umane, sui
servizi attivati nel corso degli anni. A questo va aggiunto che la
mancata approvazione del Piano nazionale anti tratta, che doveva
avvenire per disposizione di legge entro la fine di giugno 2014, ed
il mancato rispetto degli altri termini stabiliti dal D. Lgs. 24/14,
per l'approvazione di provvedimenti che dovrebbero consentire lo
sviluppo dei progetti di tutela delle vittime, oltre a palesare
l'inadempimento del Governo di obblighi di carattere internazionale -
così come rilevato dal Gruppo
di esperti del Consiglio d’Europa (GRETA)2
- evidenziano il completo disinteresse per un tema cruciale ed
estremamente preoccupante.
Attualmente,
a causa della mancata approvazione del piano antitratta, i progetti
stanno proseguendo attraverso proroghe di 6 mesi che contribuiscono a
minare il lavoro svolto negli anni e non permettono una progettualità
a lungo termine.
Nel
film parlano i migranti/lavoratori indiani: può anticiparci quali
fossero le loro aspettative (poi disilluse)? E come si svolge la loro
quotidianità?
L'area
geografica in cui è stato realizzato il documentario è il
territorio, a forte vocazione agricola, di Latina e della sua
Provincia: Terracina, Fondi, Borgo Hermada, San Vito, Bellafarnia,
Sabaudia.
In
questi luoghi sono impiegati, in maniera regolare, circa 10.000
lavoratori indiani, provenienti dalla regione del Punjab, ma si stima
che altrettanti siano impiegati in maniera irregolare e che, durante
i picchi di produzione stagionali questo numero aumenti
ulteriormente. Il documentario, sotto forma di racconto, da voce
direttamente a quella parte di lavoratori impiegati in condizioni di
sfruttamento, provando a renderne visibili le condizioni di vita e di
lavoro caratterizzate da emarginazione, isolamento e sfruttamento.
Nel
momento in cui si intraprende un viaggio così lontano dal proprio
paese di origine, chiaramente le aspettative sono molto elevate e
riguardano la possibilità di migliorare la propria vita e la vita
della propria famiglia, dal punto di vista economico e sociale. In
realtà, la loro condizione di bisogno, determina uno sfruttamento
che ha inizio già prima del loro arrivo in Italia. Molti di questi
lavoratori, infatti, pagano grosse cifre (dai 5.000,00 agli
8/10.000,00 €) nel loro paese per ottenere un visto come lavoratore
stagionale. Per fare ciò la famiglia vende tutto quello che ha,
spesso contraendo un debito, certa che con il lavoro in Italia tale
debito si possa estinguere in breve tempo. Una volta entrati nel
nostro paese, l’intermediario – connazionale – richiede spesso
ulteriori somme ed in ogni caso il datore di lavoro italiano non
procede all’assunzione. E' chiaro che molte di queste persone,
entrate con regolare visto in Italia, non venendo assunte da nessuna
azienda, diventano immediatamente irregolari e dunque entrano nelle
maglie dello sfruttamento di manodopera a basso costo.
Nei
periodi di picco produttivo stagionale i braccianti arrivano a
lavorare anche 13-14 ore al giorno, con una paga che può andare dai
3 ai 4 € all'ora. Molti non percepiscono il salario per parecchi
mesi e poi vengono mandati via in malo modo.
Nella
maggior parte dei casi essi non si percepiscono come vittime di
sfruttamento e rimangono indignati solo di fronte agli stipendi non
percepiti ma non di fronte a orari e condizioni di lavoro disumani.
Una
consistente parte di essi vive in condizioni alloggiative e igienico
sanitarie molto precarie: alloggi desueti ed abbandonati, privi dei
servizi igienici ed in taluni casi anche degli allacci a luce e gas,
situati presso gli stessi campi dove si trovano le serre e le
colture; altri condividono con i connazionali case affittate nei
paraggi dei campi in cui si lavora, spesso in situazioni di
sovraffollamento; una parte di loro vive, invece, in baracche o
camper.
La
condizione di irregolarità e la precarietà condivisa e
generalizzata in cui vivono comportano, oltre al rischio di cadere
nelle reti dello sfruttamento, anche l’isolamento sociale,
l'emarginazione e la non integrazione nel territorio. In queste
situazioni di particolare marginalità sociale lo sfruttamento plasma
l’intera esistenza, condizionando ulteriormente ogni possibilità
di relazione con l’esterno.
Gli
unici spazi che consentono la socialità, soprattutto la sera dopo il
lavoro nei campi, sono i negozi alimentari gestiti da connazionali
oppure gli spiazzi aperti nei dintorni delle abitazioni. Infine,
luoghi di ritrovo e aggregazione sono indubbiamente i vari templi
Sihk presenti sul territorio, dove la domenica, giornata della
celebrazione religiosa, si ritrovano dai 200 a ai 400 indiani.
Può
riportaci anche alcune delle considerazioni dell'insegnante,
dell'avvocato e del sindacalista che avete intervistato?
Una
considerazione comune è legata al fatto che la maggior parte dei
lavoratori indiani di cui il documentario parla e racconta, si
colloca in quell’area grigia che sta tra il lavoro nero e il grave
sfruttamento e che, proprio per questa collocazione ibrida, non può
accedere alle tutele proprie del Programma di Assistenza ex
art.18 D.Lgs 286/98. Tale programma infatti prevede che vi siano
degli indicatori ben precisi di sfruttamento per potervi accedere.
Questa difficoltà di applicazione dell’art.18, associata alla
mancanza di qualsiasi altro tipo di tutela, aumenta la frustrazione e
il senso di impotenza di chi, come l’avvocato o il sindacalista,
cerca di trovare una soluzione che porti all’affrancamento dallo
sfruttamento per queste persone.
L’insegnante
di italiano riporta invece come, nonostante l’accesso ai corsi sia
garantito a tutti, essi siano frequentati in particolare dai ragazzi
più giovani e spesso solo da chi possiede un regolare permesso di
soggiorno. Ciò accade perché molte persone irregolari hanno paura
dei controlli, non si fidano e tendono a stare lontani da situazioni
che potrebbero metterli nella condizione di essere intercettati.
Chiaramente questo contribuisce all’esacerbarsi dell’isolamento
sociale e dell’emarginazione di cui si parlava sopra.