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dicembre 2014: inizia, alle 18.00 a Milano, la prima della Scala che
apre la stagione artistica con il Fidelio di Ludwig Van
Beethoven.
Fuori
dall'edificio del Piermarini gli scontri si fanno accesi: esponenti
dei centri sociali e di associazioni per il diritto alla casa montano
la sommossa. Alla base delle proteste dei manifestanti, infatti, i
temi caldi dell'attualità: il jobs act e la casa per tutti. La
polizia è dovuta intervenire, contusioni e ferite da entrambe le
parti.
Questo,
appunto, fuori.
Ma la
novità è quello che accaduto dentro il tempio della musica e della
cultura meneghino.
Il
maestro Daniel Barenboim ha diretto in maniera eccellente l'unica
opera del compositore tedesco, meritandosi 12 minuti di applausi, da
loggione e platea, e tanti fiori colorati sul palco.
Vogliamo
soffermarci, innanzitutto, sul testo del libretto - scritto da
Joseph Sonnleithner, Stephan von Breuning e Georg Friedrich
Treitschke - che dal 1803 fa ancora riflettere.
Si basa
su un fatto realmente accaduto nel periodo del “Terrore”
francese, quando l'autore del romanzo da cui l'opera è tratta accusa
pubblicamente il tribunale rivoluzionario di Tours.
Primo
atto: l'azione si svolge nella Siviglia del XVII secolo. Don Pizarro
è il governatore di una prigione in cui ha fatto imprigionare
Florestan, appunto accusatore dei soprusi del potere. La moglie di
Florestan, Leonora, si traveste da uomo e prende il nome di Fidelio
per entrare nel carcere e capire dove sia rinchiuso l'amato marito.
Per fare questo, si fa apprezzare da Rocco il carceriere e conosce la
figlia di questi, Marzelline, che si innamora proprio di Fidelio. Ma
Fidelio/Leonore decide di ingannare Rocco e Marzelline pur di entrare
nei sotterranei della prigione e salvare il marito.
Atto
secondo: Pizzarro ordina a Rocco di scavare la fossa a Florestan
perchè è intenzionato a ucciderlo, prima che arrivi il Ministro in
città. Rocco chiede aiuto proprio a Fidelio che, suo malgrado,
accetta la terribile situazione: scende negli inferi, si rende conto
in che situazione sopravvivono i detenuti, cerca di portare conforto
e, intanto scava la fossa. Ma arriva il Ministro, esempio di equità,
che ascolta il resoconto dei fatti e libera i protagonsiti e gli
altri incarcerati.
Questa
è, brevemente, la trama dell'opera: un testo antico che risulta
molto attuale per i temi trattati: i valori della giustizia e della
libertà, l'arroganza dei potenti e la speranza affidata al senso di
umanità e di pietas, affidati alle donne. E poi l'amore, quell'amore non egoistico, ma
che unisce un uomo e una donna, un marito e una moglie, ma che poi si
fa amore per tutti.
Ma
interessantissima ed efficace è stata anche la messa in scena della
regista Debora Warner, e dei suoi collaboratori, che ha trasposto in
chiave contemporanea il senso dell'opera: attori con costumi moderni,
scenografie attuali, una comunicazione non verbale (gesti ed
espressioni) tipiche dell'oggi e anche un bacio tra due donne, su
quel palco sacro, come può esserlo quello della Scala di Milano,
per andare dritto alla mente e al cuore anche degli spettatori più
giovani: perchè proprio a loro bisogna parlare e insegnare che
l'Arte è grande quando fa commuovere e apre squarci sul nostro
mondo e su ciò che accade intorno a noi.
Tanti i
riferimenti alla pittura e anche al cinema classico: ad esempio,
alcuni quadri ricordano Metroplis di Friz Lang; la luce nella
scena corale del finale, di taglio, riporta alla mente la luce
salvifica del Caravaggio. E proprio la luce - che alcuni prigionieri,
di colore, non possono vedere perchè bendati - viene poi ritrovata
da tutti, grazie alla presa di coscienza dei propri diritti.