sabato 27 dicembre 2014

In piedi nella neve: ricordare la Storia ai ragazzi, con un romanzo





Cari lettori, abbiamo rivolto alcune domande a Nicoletta Bortolotti sul suo ultimo romanzo per ragazzi intitolato In piedi nella neve, che uscirà il prossimo febbraio per Einaudi.



L'Associazione per i diritti umani sta organizzando alcune presentazioni nelle scuole del precedente lavoro della Dott.ssa Bartolotti dal titolo: Sulle onde della libertà. Se interessati, cercate l'articolo qui sul sito e scriveteci alla mail peridirittiumani@gmail.com



Ringraziamo Nicoletta Bortolotti anche per questa intervista.



Il romanzo si basa su un fatto storico: ce lo può ricordare?



Siamo a Kiev, nel 1942. La città è stata occupata dalla Wermacht di Hitler nel settembre dell’anno precedente con la crudele Operazione Barbarossa, uno dei momenti più drammatici della Seconda Guerra Mondiale. Questo romanzo si propone di narrare attraverso lo sguardo disincantato di una ragazzina tredicenne, Sasha, un episodio singolare ed emozionante avvenuto durante l’avanzata tedesca sul fronte orientale: la partita di calcio disputata fra ucraini, ex campioni del Dinamo, e nazisti, che rimarrà nella storia come la tragica “partita della morte”.

«Giocate per perdere, se vincete morite». Sasha sente l’ufficiale tedesco minacciare i macilenti avversari. E suo padre. Perché lei è figlia del portiere Nikola Trusevich, costretto a fare il panettiere per sopravvivere nella città occupata, prima da Stalin e poi da Hitler.

A tutt’oggi l’incontro, ripreso in alcuni docu-film e nell’hollywoodiano Fuga per la vittoria con Sylvester Stallone, che però ne stravolge del tutto la verità storica, non è mai stato raccontato in un libro per ragazzi e da una voce femminile.



La Storia passata si intreccia al Presente, anche alla luce di quello che sta accadendo in Ucraina, una nazione poco conosciuta, forse, dal punto di vista storico e geopolitico: come si è documentata per la stesura di questo libro?



Nei due anni che mi ci sono voluti a scriverlo, tra la prima e la seconda stesura, ho praticamente vissuto a Kiev tramite libri, articoli e immagini online e nelle infinite steppe ucraine coperte in inverno di neve e in estate di girasoli e spighe di grano.

La storia di questa partita è interessante per comprendere le spinte indipendentiste ed europeiste del popolo ucraino, nonché il suo rapporto con la Russia.

Non bisogna infatti dimenticare che l’Ucraina, dopo il passato glorioso della Rus’ di Kiev e dei Cosacchi, era entrata nel 1922 a far parte dell’URSS come Repubblica socialista sovietica ucraina, sotto l’Armata Rossa di Stalin. Stalin confiscò le terre ai contadini per collettivizzarle, deportò e uccise gli agricoltori ribelli, distrusse oltre 250 chiese e provocò una carestia che costò al paese circa 10 milioni di morti.

Non deve sorprendere pertanto che nel 1941, quando Kiev fu invasa dai tedeschi, in principio l’Esercito Insurrezionale Ucraino salutò i nazisti come liberatori dal giogo sovietico. Ma poi combatté sia l’Armata Rossa di Stalin sia la Wermacht di Hitler.

Alla resistenza partigiana per le strade della città parteciparono distinguendosi alcuni giocatori del Dinamo Kiev, la squadra di calcio più forte dell’Ucraina. Gli atleti erano considerati nemici di Hitler e del Reich, poiché, durante l’occupazione sovietica, nella rigida struttura sportiva voluta da Stalin, per poter essere tesserati nelle squadre più prestigiose, dovevano collaborare con la polizia segreta sovietica, l’NKVD, e con il Partito Comunista.

E forse fu proprio questa la loro condanna, anche se la verità è molto difficile da accertare, al di là delle leggende e del negazionismo dell’una e dell’altra parte.





Vediamo i protagonisti: Sasha è una ragazza, una femmina che ama il gioco del calcio. Maxsym è un maschio, ma ama ballare. Come possono superare i pregiudizi e le convenzioni?



Il pregiudizio culturale molto radicato negli anni ’40, ma ancora oggi duro a morire, per cui esistono sport o giochi rigidamente di genere, porta spesso i ragazzi a nascondere o a non sviluppare parti di sé per il timore del giudizio sociale. Il calcio è da “maschi” e la danza da “femmine”. Si potrebbe pensare che questo modo di ragionare così schematico sia superato, ma non è così: fino ai quindici anni di età, per esempio, esistono ancora oggi solo squadre di calcio maschili, mentre ai corsi di hip-hop i maschi sono ancora pochi. Ma per fortuna la situazione sta lentamente cambiando… I due protagonisti del racconto, Sasha e il suo migliore amico Maxsym, cercheranno con l’ingenua “disperazione” della gioventù di realizzare il loro destino e i loro sogni, nonostante “entrambi amino cose che non possono amare”…


Quali sono i valori veicolati da questo racconto?



La necessità talvolta drammatica di superare la “linea d’ombra” per usare una metafora conradiana e di crescere, di lasciarsi alle spalle l’adolescenza, di prendere posizione, esponendo se stessi. E un amore immaginato. Il calcio e lo sport come strumenti di riscatto, da sempre nei sogni dei ragazzi. Perché gli ultimi minuti del secondo tempo scorrono veloci, non solo in partita ma anche nella vita. A volte è il pallone a decidere. E in quel memorabile 9 agosto del 1942, a pochi metri dalla rete, la sfera di cuoio sembra gridare a Sasha: io non spreco le mie occasioni…





Un libro per ragazzi, ma non solo: si tratta, infatti, di una riflessione sulla memoria storica, sul riscatto e sul senso di responsabilità...



Quando ho scritto questo libro stavo pensando anche a situazioni del presente, vicine a noi, in cui la giustizia viene sistematicamente calpestata e i diritti negati. Non si tratta solo di guerre o genocidi eclatanti ed esplosivi come quelli che insanguinano buona parte del mondo, ma anche di tragedie silenziose, invisibili, “senza sangue”, ma non per questo meno dolorose, come per esempio, quella dei giovani precari.

Rispondo alla tua domanda con un brano tratto dal romanzo che forse ne racchiude lo spirito e il senso. Affido i lettori alle parole di Sasha:



Mi era venuto l’impulso di afferrare il barattolo e di aprirlo e di fare volare via la farfalla. Ma, come gli altri, ho tenuto le mani in tasca.

Se avessi aperto il barattolo, la professoressa si sarebbe arrabbiata e mi avrebbe rimproverata. E se poco fa Maksym avesse preso le mie difese, Oleh gli avrebbe mollato un calcio negli stinchi o un pugno in mezzo alle scapole, di quelli che ti fanno mancare il respiro, e poi lo avrebbe preso in giro fino alla fine dell’anno scolastico.

Ho pensato questo, ho pensato che ha ragione Kordik. Una volta l’ho sentito parlare con mio padre delle persone che vengono portate via su un autobus per andare nei treni diretti ai campi di prigionia e dei lavoratori ebrei che vengono licenziati e non hanno più lo stipendio, e dei loro colleghi che stanno a guardare. Guardano e basta.

Kordik ha detto a mio padre: «Tra la voglia di fare una cosa giusta e farla davvero c’è un viaggio lunghissimo.» E poi ha detto: «In questo viaggio devi calcolare quello che hai da perdere e da guadagnare. Magari la vita.»

Ecco perché Oleh mi ha dato una scarpata sulla mano e la farfalla è morta nel barattolo e Hitler è venuto a Kiev senza che noi lo avessimo invitato e Maxsym non ha detto niente per difendermi da Oleh, anche se è mio amico. Quando c’è da aprire un barattolo e magari puoi fare volare via una farfalla, questa paura non te lo fa aprire.