Cari
lettori, abbiamo rivolto alcune domande a Nicoletta Bortolotti sul
suo ultimo romanzo per ragazzi intitolato
In piedi nella neve, che
uscirà il prossimo febbraio per Einaudi.
L'Associazione
per i diritti umani sta organizzando alcune presentazioni nelle
scuole del precedente lavoro della Dott.ssa Bartolotti dal titolo:
Sulle onde della libertà.
Se interessati, cercate
l'articolo qui sul sito e scriveteci alla mail
peridirittiumani@gmail.com
Ringraziamo
Nicoletta Bortolotti anche per questa intervista.
Il
romanzo si basa su un fatto storico: ce lo può ricordare?
Siamo
a Kiev, nel 1942. La città è stata occupata dalla Wermacht di
Hitler nel settembre dell’anno precedente con la crudele Operazione
Barbarossa, uno dei momenti più drammatici della Seconda Guerra
Mondiale. Questo romanzo si propone di narrare attraverso lo sguardo
disincantato di una ragazzina tredicenne, Sasha, un episodio
singolare ed emozionante avvenuto durante l’avanzata tedesca sul
fronte orientale: la partita di calcio disputata fra ucraini, ex
campioni del Dinamo, e nazisti, che rimarrà nella storia come la
tragica “partita della morte”.
«Giocate
per perdere, se vincete morite». Sasha sente l’ufficiale tedesco
minacciare i macilenti avversari. E suo padre. Perché lei è figlia
del portiere Nikola Trusevich, costretto a fare il panettiere per
sopravvivere nella città occupata, prima da Stalin e poi da Hitler.
A
tutt’oggi l’incontro, ripreso in alcuni docu-film e
nell’hollywoodiano Fuga
per la vittoria con
Sylvester Stallone, che però ne stravolge del tutto la verità
storica, non è mai stato raccontato in un libro per ragazzi e da una
voce femminile.
La
Storia passata si intreccia al Presente, anche alla luce di quello
che sta accadendo in Ucraina, una nazione poco conosciuta, forse, dal
punto di vista storico e geopolitico: come si è documentata per la
stesura di questo libro?
Nei
due anni che mi ci sono voluti a scriverlo, tra la prima e la seconda
stesura, ho praticamente vissuto a Kiev tramite libri, articoli e
immagini online e nelle infinite steppe ucraine coperte in inverno di
neve e in estate di girasoli e spighe di grano.
La
storia di questa partita è interessante per comprendere le spinte
indipendentiste ed europeiste del popolo ucraino, nonché il suo
rapporto con la Russia.
Non
bisogna infatti dimenticare che l’Ucraina, dopo il passato glorioso
della Rus’ di Kiev e dei Cosacchi, era entrata nel 1922 a far parte
dell’URSS come Repubblica socialista sovietica ucraina, sotto
l’Armata Rossa di Stalin. Stalin confiscò le terre ai contadini
per collettivizzarle, deportò e uccise gli agricoltori ribelli,
distrusse oltre 250 chiese e provocò una carestia che costò al
paese circa 10 milioni di morti.
Non
deve sorprendere pertanto che nel 1941, quando Kiev fu invasa dai
tedeschi, in principio l’Esercito Insurrezionale Ucraino salutò i
nazisti come liberatori dal giogo sovietico. Ma poi combatté sia
l’Armata Rossa di Stalin sia la Wermacht di Hitler.
Alla
resistenza partigiana per le strade della città parteciparono
distinguendosi alcuni giocatori del Dinamo Kiev, la squadra di calcio
più forte dell’Ucraina. Gli atleti erano considerati nemici di
Hitler e del Reich, poiché, durante l’occupazione sovietica, nella
rigida struttura sportiva voluta da Stalin, per poter essere
tesserati nelle squadre più prestigiose, dovevano collaborare con la
polizia segreta sovietica, l’NKVD, e con il Partito Comunista.
E
forse fu proprio questa la loro condanna, anche se la verità è
molto difficile da accertare, al di là delle leggende e del
negazionismo dell’una e dell’altra parte.
Vediamo
i protagonisti: Sasha è una ragazza, una femmina che ama il gioco
del calcio. Maxsym è un maschio, ma ama ballare. Come possono
superare i pregiudizi e le convenzioni?
Il
pregiudizio culturale molto radicato negli anni ’40, ma ancora oggi
duro a morire, per cui esistono sport o giochi rigidamente di genere,
porta spesso i ragazzi a nascondere o a non sviluppare parti di sé
per il timore del giudizio sociale. Il calcio è da “maschi” e la
danza da “femmine”. Si potrebbe pensare che questo modo di
ragionare così schematico sia superato, ma non è così: fino ai
quindici anni di età, per esempio, esistono ancora oggi solo squadre
di calcio maschili, mentre ai corsi di hip-hop i maschi sono ancora
pochi. Ma per fortuna la situazione sta lentamente cambiando… I due
protagonisti del racconto, Sasha e il suo migliore amico Maxsym,
cercheranno con l’ingenua “disperazione” della gioventù di
realizzare il loro destino e i loro sogni, nonostante “entrambi
amino cose che non possono amare”…
Quali
sono i valori veicolati da questo racconto?
La
necessità talvolta drammatica di superare la “linea d’ombra”
per usare una metafora conradiana e di crescere, di lasciarsi alle
spalle l’adolescenza, di prendere posizione, esponendo se stessi. E
un amore immaginato. Il calcio e lo sport come strumenti di riscatto,
da sempre nei sogni dei ragazzi. Perché gli ultimi minuti del
secondo tempo scorrono veloci, non solo in partita ma anche nella
vita. A volte è il pallone a decidere. E in quel memorabile 9 agosto
del 1942, a pochi metri dalla rete, la sfera di cuoio sembra gridare
a Sasha: io non spreco le mie occasioni…
Un libro
per ragazzi, ma non solo: si tratta, infatti, di una riflessione
sulla memoria storica, sul riscatto e sul senso di responsabilità...
Quando
ho scritto questo libro stavo pensando anche a situazioni del
presente, vicine a noi, in cui la giustizia viene sistematicamente
calpestata e i diritti negati. Non si tratta solo di guerre o
genocidi eclatanti ed esplosivi come quelli che insanguinano buona
parte del mondo, ma anche di tragedie silenziose, invisibili, “senza
sangue”, ma non per questo meno dolorose, come per esempio, quella
dei giovani precari.
Rispondo
alla tua domanda con un brano tratto dal romanzo che forse ne
racchiude lo spirito e il senso. Affido i lettori alle parole di
Sasha:
Mi
era venuto l’impulso di afferrare il barattolo e di aprirlo e di
fare volare via la farfalla. Ma, come gli altri, ho tenuto le mani in
tasca.
Se
avessi aperto il barattolo, la professoressa si sarebbe arrabbiata e
mi avrebbe rimproverata. E se poco fa Maksym avesse preso le mie
difese, Oleh gli avrebbe mollato un calcio negli stinchi o un pugno
in mezzo alle scapole, di quelli che ti fanno mancare il respiro, e
poi lo avrebbe preso in giro fino alla fine dell’anno scolastico.
Ho
pensato questo, ho pensato che ha ragione Kordik. Una volta l’ho
sentito parlare con mio padre delle persone che vengono portate via
su un autobus per andare nei treni diretti ai campi di prigionia e
dei lavoratori ebrei che vengono licenziati e non hanno più lo
stipendio, e dei loro colleghi che stanno a guardare. Guardano e
basta.
Kordik
ha detto a mio padre: «Tra la voglia di fare una cosa giusta e farla
davvero c’è un viaggio lunghissimo.» E poi ha detto: «In questo
viaggio devi calcolare quello che hai da perdere e da guadagnare.
Magari la vita.»
Ecco
perché Oleh mi ha dato una scarpata sulla mano e la farfalla è
morta nel barattolo e Hitler è venuto a Kiev senza che noi lo
avessimo invitato e Maxsym non ha detto niente per difendermi da
Oleh, anche se è mio amico. Quando c’è da aprire un barattolo e
magari puoi fare volare via una farfalla, questa paura non te lo fa
aprire.