Per fare
il punto sulla situazione siriana (e del Medioriente) l'Associazione
per i Diritti Umani ha intervistato il giornalista Shady Hamadi,
autore del saggio La
felicità araba. Storia della mia famiglia e della rivoluzione
siriana, per Add editore.
Ringraziamo
sempre Shady Hamadi per la sua disponibilità.
Cosa,
gli analisti occidentali, non hanno voluto vedere a proposito di ciò
che è accaduto e che accade in Siria?
La prima
questione odierna è la presenza di una società civile in Siria e le
motivazioni vere che hanno mobilitato la società siriana che è
uscita da un regime dopo quarant'anni e dopo averci provato varie
volte, nel 2000 e nel 2005, ma anche nell'82 con la strage di Hama:
nonostante ci siano state colpe acclarate dei Fratelli Musulmani, una
certa parte aveva scelto la strada del dialogo. E, secondo me, oggi,
non bisogna trovare una sorta di dicotomia tra regime e
fondamentalisti.
Il suo
racconto parte da lontano, da suo nonno e da suo padre: parla di loro
per arrivare a capire il Presente...
Recentemente
ho fatto una riflessione, sul Corriere
della sera, riguardo al
senso della Storia applicato in Siria e sarebbe un discorso da
approfondire.
Mio
padre è cresciuto, per volontà di mio nonno, presso una scuola
salesiana vicino a Talkalakh e allora c'era un sistema di istruzione
che funzionava, anche perchè era un retaggio del colonialismo.
La
differenza, invece, tra la sua generazione e quella odierna è che
quella di oggi è stata indottrinata per quarant'anni e non ha una
conoscenza della Storia dalla quale viene, i loro piedi non affondano
bene nelle radici storiche e questo si sta presentando in ciò che
avviene in Siria: invece, dovremmo guardare, ad esempio, agli anni'50
quando un Cristiano era Primo Ministro. L'incosapevolezza crea un
problema e lo creerà anche in futuro.
I
giovani che hanno lottato per il Presente, lo hanno fatto, quindi,
senza conoscere il Passato?
All'inizio c'era una élite consapevole (e lo dicevano anche gli slogan “Il popolo siriano conosce la Storia”), ma c'è anche una facilità di radicalizzazione nei ragazzi che ha due motivazioni: la prima, è che la Siria è stato costituita, durante l’era della famiglia al Asad, su un sistema comunitario e confessionale, mettendo, per la prima volta nella storia contemporanea del paese, le minoranze al potere. Questo ha prodotto che l'80% della popolazione si sentisse esclusa dalla possibilità di gestire il potere, creando quel risentimento che poi si è concretizzato. La seconda motivazione è lo smantellamento della scuola, per cui quello che accade oggi ai giovani siriani è comprensibile se noi guardiamo a quello che è accaduto negli ultimi quarant'anni.
In contrapposizione a questi ragazzi, troviamo una piccola élite di giovani,anche sunniti, che sostengono il regime perchè hanno guadagnato dei benefit e si sono, in qualche modo, occidentalizzati. Questa piccola élite non guarda alla mancanza di diritti politici e di libertà ma ha scelto di accontentarsi di una libertà apparente: una modernità, fatta di discoteche e belle macchine, priva di ogni pensiero critico verso il brutale status quo imposto dal regime.
Come si
può avviare, allora, una transizione verso una forma democratica di
governo?
Jawdat
Said, una guida religiosa sunnita, ha detto che la democrazia è come
una ruota: una volta inventata, tutti la vogliono.
Io penso
che la democrazia, prima di tutto, nasca da una cultura, nel senso
che ci deve essere rispetto reciproco per le idee. Invece la società
mediorientale è una società che non nasce da un'esperienza di
confronto, ma è repressa. La mancanza di dialogo fa sì che non ci
sia un'autocritica: ad esempio, non c'è una riforma religiosa perchè
il governo vieta una critica e non c'è nemmeno la possibilità di
progredire in altre maniere. Se noi vediamo la produzione di papers
accademici delle università del mondo arabo, è molto più bassa
rispetto a quella di alcuni Paesi africani.
La
democrazia, quindi, è un percorso ed è necessario un dialogo
interno.
Ci
racconta la vicenda del vignettista Alì Ferzat?
Alì
Ferzat, un po' come tutti gli intellettuali, nel 2011 si è schierato
e ha iniziato a parlare apertamente contro il regime siriano: è
stato caricato su una camionetta, da parte dei servizi segreti, e gli
hanno spezzato le mani proprio perche faceva il vignettista. Questo è
un messaggio simbolico sull'impossibilità di avere qualsiasi tipo di
espressione che possa prescindere da quella che è la dottrina del
regime.
Qual è
la situazione in Siria, oggi e quali saranno, a suo parere, gli
scenari futuri?
In Siria
c'è una mancanza di senso storico, ma c'è un profondo senso
nazionale, nonostante la disgregazione su base confessionale.
Per il
futuro prevedo che ci sarà un perenne stato di conflitto che può
durare dieci, forse vent'anni, ma che si dovrà poi risolvere. Come?
Ad esempio, guardando a quelli che sono stati gli accordi di Ta'if,
quelli libanesi, dove si può creare una Camera Alta a elezioni
universali e una Camera Bassa a elezioni confessionali.
Non
credo che lo Stato Islamico resisterà o creerà un califfato perchè
le loro prime vittime sono gli stessi musulmani in quanto i musulmani
che non sono d'accordo con loro vengono chiamati “apostati”,
tagliati a pezzi e crocefissi.
Un'altra
possibilità per il futuro della Siria è che possa rimanere Assad,
che si crei uno Stato confessionale, con una piccola percentuale di
sunniti, e rimanga lì a baluardo delle necessità della Russia o
dell'Iran; penso che questa ipotesi sia lontana e credo, invece, che
arriveremo ad un dialogo, ma non so se questo dialogo porterà
all'estromissione degli Assad (perchè non c'è la volontà
internazionale) oppure se si arriverà ad una Siria federale in senso
confessionale per poi trovare una unità.
Perchè
la comunità internazionale non si occupa della Siria?
Prima di
tutto, gli americani lo avrebbero fatto se ci fosse stato, in Siria,
il petrolio. In secondo luogo, Obama non ha una politica estera
credibile in Medioriente, invece Putin ha le idee molto chiare su
quello che c'è da fare. E come se si fosse ricreato un muro di
Berlino a Damasco...
Non
sottovalutiamo, inoltre, l'Iran che è una Repubblica imperialista,
ma teocratica, che adopera lo scontro tra sciiti e sunniti per
costruire le sue aree di influenza.
Infine,
l'Unione Europea non ha una politica estera comune: vediamo che la
Francia fa una cosa e l'Italia un'altra, ad esempio. E, come detto,
gli Stati Uniti aspettano.