Un film
forte e preciso: si tratta del lavoro di Sabina Guzzanti che ne La
trattativa usa
il suo piglio sagace e diretto per mettere sullo schermo il patto
Stato-mafia, le stragi degli anni'90 e i rapporti, accertati, tra
uomini politici e uomini di Cosa nostra.
Il
film è stato presentato anche al Parlamento italiano, nelle scuole,
in moltissime sale cinematografiche e ha ottenuto consensi, analisi e
alcune critiche, come accade sempre quando il materiale trattato è
controverso e tocca i punti deboli di un Paese.
Un
gruppo di lavoratori dello spettacolo, in un teatro di posa, sceglie
di realizzare uno spettacolo sui “patti” tra Stato e mafie,
subito dopo gli attentati a Roma, Milano e Firenze. Un escamotage
interessante, quello di inserire il teatro nel cinema, doppia
“fiction” per dare doppia cornice a una realtà vera e
drammatica. I personaggi (sul palco e sullo schermo) diventano
investigatori che dipanano i passaggi fondamentali di vent'anni di
(brutta) storia italiana: l'uccisione di Salvo Lima, il maxi
processo, gli agguati a Falcone e Borsellino, le bombe, la strage
fallita allo stadio Olimpico. E sfilano le figure confuse e contorte
di: Ciancimino (padre e figlio), dei pentiti, di Dell'Utri, di
Provenzano e di Berlusconi impersonato, ovviamente, dalla stessa
Guzzanti.
Applaudito
dal pubblico all'ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia,
La trattativa
denuncia
il meccanismo del racconto filmico e il linguaggio utilizzato, un
linguaggio composto da pannelli grafici, immagini di repertorio,
docu-fiction, interviste, intercettazioni. Vengono mescolati, quindi,
finzione e realtà, come detto, per dimostrare che, troppo spesso, la
verità dei fatti supera la fantasia dei migliori sceneggiatori.
Il
film si apre con il primo piano della regista che, guardando in
camera, si rivolge direttamente agli spettatori: come a chimarci
tutti in causa, uno per uno, per dirci di guardare in faccia le cose
così come stanno, nonostante la parzialità delle informazioni e
delle prove; per costringerci a non trovare alibi o scusanti nella
nostra mancanza di coraggio nel lottare contro un sistema marcio e
corrotto.
Gaspare
Mutolo, in carcere, si converte e Spatuzza si iscrive a un corso
universitario: sembra surreale e invece non lo è. E allora ci si
può aspettare davvero di tutto e dobbiamo continuare ad aprire bene
gli occhi e a non abbassare mai la guardia.
Dedichiamo
questo post a Peppino Imapstato, vittima di un attentato mafioso il 9
maggio 1978.