Sola
con te in un futuro aprile
di Margherita Asta e Michela Gargiulo (Fandango) racconta una storia
dolorosa, terribile, ma che va ricordata.
È il 2 aprile di trent’anni fa, Carlo Palermo è arrivato in Sicilia da quaranta giorni. A Trapani aveva preso il posto di un magistrato coraggioso ucciso dalla mafia, Giangiacomo Ciaccio Montalto. Due macchine della scorta parcheggiano davanti al cancello di una villetta vicino a Bonagia, a 3 chilometri di distanza dalla casa della famiglia Asta.
Il giudice Palermo vive lì da pochi giorni e proprio lì arriva l'ultima telefonata di minacce che era stata ancora più esplicita e definitiva: "Dite al giudice che il regalo sta per essergli recapitato".
Il giudice, la mattina del 2 aprile 1985, scende di casa alle 8 e qualche minuto per recarsi al Tribunale di Trapani. Sul rettilineo di contrada Pizzolungo la macchina trova davanti a sé un'altra auto, una Volkswagen Scirocco, dentro ci sono Barbara Rizzo, giovane madre di 31 anni, e due dei suoi tre figli, i gemellini Salvatore e Giuseppe di 6 anni che stanno andando a scuola. L'autista del giudice aspetta il momento giusto per iniziare il sorpasso; le tre auto, per un brevissimo istante, si trovano perfettamente allineate ed è proprio in momento che viene azionato il detonatore.
L'esplosione è devastante, una bomba al tritolo. L'utilitaria fa scudo all'auto del sostituto procuratore che si ritrova scaraventato fuori dalla macchina , è ferito ma miracolosamente vivo. Muoiono dilaniati la donna e i due bambini. Nunzio Asta, il marito di Barbara in quei giorni va a lavoro un po' più tardi a causa di un intervento al cuore. Sente il boato, esce per andare a prestare soccorso, ma non lo lasciano avvicinare. La Volkswagen di sua moglie è stata polverizzata, non sospetta che la sua famiglia sia rimasta coinvolta. Margherita, l'altra figlia di dieci anni, in quel momento è già a scuola. Avrebbe dovuto essere a bordo anche lei, ma quella mattina i due fratellini ci mettevano troppo tempo a vestirsi e per non fare tardi la ragazzina chiede un passaggio in macchina alla mamma di una sua amica e si salva.
È il 2 aprile di trent’anni fa, Carlo Palermo è arrivato in Sicilia da quaranta giorni. A Trapani aveva preso il posto di un magistrato coraggioso ucciso dalla mafia, Giangiacomo Ciaccio Montalto. Due macchine della scorta parcheggiano davanti al cancello di una villetta vicino a Bonagia, a 3 chilometri di distanza dalla casa della famiglia Asta.
Il giudice Palermo vive lì da pochi giorni e proprio lì arriva l'ultima telefonata di minacce che era stata ancora più esplicita e definitiva: "Dite al giudice che il regalo sta per essergli recapitato".
Il giudice, la mattina del 2 aprile 1985, scende di casa alle 8 e qualche minuto per recarsi al Tribunale di Trapani. Sul rettilineo di contrada Pizzolungo la macchina trova davanti a sé un'altra auto, una Volkswagen Scirocco, dentro ci sono Barbara Rizzo, giovane madre di 31 anni, e due dei suoi tre figli, i gemellini Salvatore e Giuseppe di 6 anni che stanno andando a scuola. L'autista del giudice aspetta il momento giusto per iniziare il sorpasso; le tre auto, per un brevissimo istante, si trovano perfettamente allineate ed è proprio in momento che viene azionato il detonatore.
L'esplosione è devastante, una bomba al tritolo. L'utilitaria fa scudo all'auto del sostituto procuratore che si ritrova scaraventato fuori dalla macchina , è ferito ma miracolosamente vivo. Muoiono dilaniati la donna e i due bambini. Nunzio Asta, il marito di Barbara in quei giorni va a lavoro un po' più tardi a causa di un intervento al cuore. Sente il boato, esce per andare a prestare soccorso, ma non lo lasciano avvicinare. La Volkswagen di sua moglie è stata polverizzata, non sospetta che la sua famiglia sia rimasta coinvolta. Margherita, l'altra figlia di dieci anni, in quel momento è già a scuola. Avrebbe dovuto essere a bordo anche lei, ma quella mattina i due fratellini ci mettevano troppo tempo a vestirsi e per non fare tardi la ragazzina chiede un passaggio in macchina alla mamma di una sua amica e si salva.
L'Associazione
per i Diritti Umani ha intervistato la giornalista Michela Gargiulo
che ringraziamo molto.
Come
avete lavorato, lei e la sig.ra Margherita, per la stesura di questo
libro che racconta una storia così dolorosa?
Conosco
Margherita dal 2006 e, da quell'incontro, è nata subito un'amicizia,
un rapporto speciale. Ho provato nei confronti di questa donna una
senso di affetto profondo e quasi di protezione. Abbiamo iniziato a
conoscerci sempre meglio e io, nei miei viaggi siciliani, finivo
sempre a Pizzolungo con lei, la sua nuova madre e il fratello
Giuseppe Salvatore. Ci sono state vicende personali che ci hanno
unite, Margherita è madrina di mia figlia e il progetto di scrivere
il libro della sua storia è nato molto tempo fa. Mi sono spesso
avvicinata, in questi anni, ai ricordi di Margherita con timore e
rispetto. La curiosità professionale ha sempre lasciato il posto
alle confidenze e all'accoglienza. Margherita è una donna di grande
coraggio ma tirare fuori un dolore così grande non è stato facile.
Ho raccolto i ricordi di Margherita durante i nostri incontri. Pezzi
di storia scritti spesso in rubriche e quaderni diversi che finivano
sempre sul comodino, uno sopra l'altro. Margherita mi ha dato i
preziosi giornali che suo padre Nunzio custodiva in cassaforte e sono
stati per me uno strumento fondamentale per ricostruire molte scene
del libro. Gli atti giudiziari sono stati l'ultimo tassello per
ricomporre la sua storia, dal giorno dell'attentato ad oggi. "Sola
con te in un futuro aprile" è un libro che è nato grazie al
nostro rapporto di fiducia e di affetto profondo, è stato un lavoro
di rilettura di fatti di cronaca decisivi per il nostro Paese fatto
da un punto di vista unico: quello di chi aveva subito la perdita di
tutto ciò che aveva di più caro. Credo che il lettore, di fronte al
racconto intenso di questa donna, riesca a vivere il suo dramma
personale e insieme a lei la rabbia delle ingiustizie subite ma allo
stesso tempo capirà quanto è importante lottare contro la mafia e
portare avanti un messaggio di speranza per costruire una storia
diversa per il nostro Paese.
E' un
percorso, anche interiore, quello che in questi trent'anni ha dovuto
affrontare la sig.ra Margherita...
Margherita
ha affrontato il dolore della perdita più grande, quella della
madre. Ha dovuto gestire la rabbia e l'ha trasformata in una risorsa
che le ha permesso di cercare la verità sulla sua storia. Ha
costruito il suo futuro sulla speranza e questa è la dimostrazione
della sua grande umanità.
Vogliamo
spiegare più approfonditamente di cosa si stesse occupando il
magistrato Carlo Palermo?
E'
impossibile raccontare in poche righe l'ampiezza delle indagini di
Carlo Palermo. Lui ha iniziato la sua attività di giudice istruttore
a Trento nel 1980 e da allora non si è mai fermato fino al quel
tragico 2 aprile 1985. Dai traffici di morfina base che transitavano
da Trento provenienti dalla Turchia e diretti in Sicilia ha indagato
sui traffici di armi, due mercati che, nelle sue inchieste, erano
paralleli. Ha messo sotto inchiesta uomini dei servizi segreti,
trafficanti, mercanti della droga, mafiosi e pidduisti. Poi, nel
1984, ha iniziato a percorrere le tracce che lo portavano dritto a
due società vicine al partito socialista. Era la pista politica.
Quell'inchiesta scatenò l'ira dell'allora presidente del consiglio
Bettino Craxi e Carlo Palermo capì in quel momento che per le sue
inchieste rimaneva poco tempo. Sul giudice istruttore arrivò un
procedimento disciplinare, si aprì un'inchiesta penale per l'arresto
di due avvocati. Fu costretto a chiudere l'inchiesta su armi e droga
prima che questa fosse trasferita a Venezia ad altri giudici. Allora,
a novembre 1984 decise di trasferirsi a Trapani per riprendere i fili
del traffico di droga. Arrivò in Sicilia a fine febbraio 1985 e
dopo soli 40 giorni ci fu l'attentato. Dopo l'attentato Palermo non
ha mai smesso di cercare la verità e da trenta anni si interroga
ancora su chi voleva la sua morte.
E' un
testo che parla del nostro Paese: cosa è cambiato da allora?
Sono
cambiate molte cose, altre sono rimaste immutate . La mafia ha
cambiato volto e modalità ma gode sempre di un sistema di complicità
a vari livelli. I meccanismi di infiltrazione sono sempre più
sofisticati e meno riconoscibili. Io credo che anche i sistemi
criminali si siano adeguati ad un mondo globale in continua
evoluzione e che sarà sempre più difficile colpire gli interessi e
i capitali frutto di attività criminali. Gli anni che ci lasciamo
alle spalle sono stati anni terribili segnati da stragi e morti
innocenti. Ancora oggi, per molti di quegli episodi non conosciamo né
i colpevoli, né i moventi. Non sapere la verità su episodi che
hanno segnato il corso della storia di questo Paese ha creato un
sistema fragile, frutto di segreti e quindi di ricatti.
Qual è
stato l'esito del processo per gli esecutori dell'attentato e come si
può commentare quella sentenza?
Il primo
processo sugli esecutori materiali della strage rappresenta un
capitolo nero della nostra storia. In primo grado, nel 1988, la
Corte di Assise di Caltanissetta, condannò all'ergastolo tre uomini
per avere messo in atto la strage di Pizzolungo. Erano Gioacchino
Calabrò, Vincenzo Milazzo e Filippo Melodia. Furono condannati,
rispettivamente a 19 anni e a 12 anni, Giuseppe Ferro e Antonino
Melodia. In secondo grado gli stessi uomini furono assolti e la
prima sezione penale della corte di cassazione, presieduta da Corrado
Carnevale confermò la sentenza di appello. Solo nel 2002, durante il
processo sui mandanti i pentiti racconteranno che erano stati
proprio quegli uomini a eseguire materialmente la strage ma anche di
fronte a quel quadro accusatorio convergente e completo nessun
tribunale potrà più processare chi è stato assolto per sempre.
Nell'attentato
hanno perso la vita una madre e due figli piccoli: questo libro è
dedicato a loro e crediamo porti anche un messaggio importante per i
ragazzi di oggi...
I nostri
ragazzi dovrebbero conoscere la storia di Barbara, Giuseppe e
Salvatore e con questa andare a scavare nella cronaca recente del
nostro Paese. La loro morte drammatica raccontata in questo libro
dovrebbe essere uno stimolo per i giovani a guardarsi intorno e
chiedersi quante sono le vittime innocenti delle quali non ci
ricordiamo nemmeno i nomi. Sono 900 le persone uccise dalla mafia,
alcune di loro sono state dimenticate e i loro nomi risuonano il 21
marzo quando Libera dedicata loro la giornata della memoria. Io spero
che "Sola con te in un futuro aprile" faccia sentire anche
le voci di chi non è stato raccontato. I ragazzi sono la nostra
speranza e per costruire un mondo più giusto devono conoscere a
capire qual è stata la storia del nostro Paese.