di
Veronica Tedeschi
“Ho
passato quattro anni in prigione, nelle peggiori condizioni. Per
sette mesi sono rimasto curvo al suolo. Mi si sono staccate le
gengive, non riuscivo neanche a mangiare riso cotto. Ciò che mi ha
segnato in questi quattro anni è che sono stato obbligato insieme a
dei miei compagni a seppellire chi moriva per malattie causate da
questo trattamento inumano (…). Il mio sogno è di vedere Hissène
Habrè dietro le sbarre. Quel giorno danzerò”
-
Abaifouta,
vittima ciadiana della macchina repressiva di Habré. -
“Quello
che abbiamo vissuto è inimmaginabile. Ci volevano uccidere se non
eseguivamo i loro ordini, ci impedivano di curarci, di fare sapere
alle nostre famiglie dove fossimo. E io che ora sono davanti a voi,
sappiate che quando mi hanno arrestato venivo dall’ospedale, il 2
ottobre 1998, non ho rivisto più l’ospedale fino al dicembre 2010.
In
qualsiasi posto del mondo i prigionieri sono curati, ma noi non
potevamo. Ci davano da mangiare cose che se le date al vostro cane le
rifiuta, volevano aiutarci a morire con il cibo che ci davano”
-
Dichiarazione rilasciata da Souleymane Guengueng durante la
conferenza stampa fatta in occasione dell’apertura delle Camere
Africane Straordinarie. Guengueng è membro dell’Associazione delle
vittime dei crimini di guerra del regime di Hissène Habrè e del
comitato di pilotaggio per il processo e lui stesso una delle vittime
scampate alla morte del dittatore. -
Il 7
settembre è ripreso a Dakar, in Senegal, il processo contro l’ex
presidente del Ciad, Hissène Habré, accusato di crimini di guerra,
tortura e crimini contro l’umanità. Il processo si era riaperto il
20 luglio, ma era stato sospeso per 45 giorni per consentire agli
avvocati di aggiornarsi sul procedimento. La situazione è critica,
Habrè rifiuta di parlare con i suoi avvocati e non si è presentato
al processo, al quale è stato condotto con la forza.
La vicenda
giudiziaria di Habré si era conclusa nel 2012, anno in cui fu creata
una giurisdizione penale ad hoc, in seno alle corti senegalesi,
incaricata di perseguire i responsabili delle gravi violazioni dei
diritti umani avvenute nel Ciad nel periodo compreso tra il 7 giugno
1982 e il 1 dicembre 1990 (arco di tempo che comprende la dittatura
di Habré). Il dittatore è sospettato di essere responsabile della
morte di migliaia di persone, il numero esatto è sconosciuto. Nel
novembre 1990 circa 300 detenuti politici sono stati giustiziati e
questo è solo un esempio tra i tanti di dissidenti giustiziati
durante la sua dittatura. Venne accusato di crimini contro l’umanità
e tortura ma l’azione penale presentata contro di lui incontrò
molte difficoltà, dal difetto di giurisdizione proclamato dalle
autorità senegalesi alla possibile violazione del principio di non
retroattività.
Questo
processo rappresenta un segno di svolta vista la creazione, per la
prima volta nel continente africano, di una giurisdizione penale ad
hoc volta a giudicare i crimini commessi da Habré nel periodo della
sua dittatura. È stato sotto la nuova presidenza di Macky Sall che
la situazione in Senegal si è finalmente sbloccata: dopo aver
stretto un accordo con l’Unione Africana, il 19 dicembre 2012 il
governo senegalese ha votato una legge per istituire le quattro
Camere Africane Straordinarie richiesta dall’istituzione africana
“con lo scopo di perseguire e giudicare i principali responsabili
dei crimini e delle gravi violazioni di diritto internazionale
commesse sul territorio ciadiano durante il periodo dal 7 luglio 1982
al 1 dicembre 1990”. Il Senegal doveva agire anche in nome delle
Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 che aveva
ratificato e che lo obbligava, quando una persona era accusata di
atti di tortura ed era sotto la sua giurisdizione, a giudicarlo o
estradarlo. Qualcuno vide male la creazione di Camere ad hoc ma
queste furono create per rispondere alla giurisdizione
internazionale, così come il Tribunale speciale per il Ruanda
rispondeva agli standard delle Nazioni Unite.
“E’
la prima volta che l’Unione Africana costituisce un tribunale ad
hoc internazionale. Siamo i primi a rivendicare un processo giusto
ed equo e ne va anche della credibilità dell’Africa” commenta
Assane Dioma Ndiaye, avvocato senegalese delle vittime di Habrè.
Tali camere si prestano, quindi, ad essere qualificate come “mixed
tribunal” o “hybrid tribunal”; in altri termini, questo nuovo
organo giurisdizionale presenta taluni aspetti che permettono di
assimilarlo ad un tribunale statale ed altri che, invece, ne
consentono l’inquadramento tra i tribunali internazionali.
Per
quanto riguarda il coinvolgimento del Senegal nella repressione di
crimini commessi in Ciad, ciò che sorprende non è la circostanza
che a procedere alla repressione sia uno Stato diverso da quello nel
quale i crimini sono stati perpetrati, poiché in tal senso
deporrebbe il principio della giurisdizione universale affermatosi
proprio con riguardo alla repressione dei crimini internazionali. La
cosa che fa pensare è che per la prima volta si assiste
all’istituzione di un tribunale penale misto per perseguire
finalità diverse da quelle che hanno giustificato in precedenza
l’istituzione di simili organi giurisdizionali.
Infatti,
le precedenti esperienze mostravano l’esigenza di far fronte alle
inefficienze se non al collasso degli apparati giudiziari nazionali
dello Stato nel cui territorio i crimini erano stati perpetrati, alla
quale si affianca l’obiettivo più generale di contribuire ad un
processo di riconciliazione nazionale dopo periodi di guerra civile.
Diversamente,
la scelta del Senegal di procedere alla punizione dei responsabili
dei crimini commessi in Ciad è legata alla volontà di tale Stato di
rispettare quanto disposto dalla Corte di Giustizia dell’ECOWAS e
di adempiere all’obbligo di giudicare sancito nella Convenzione
delle Nazioni Unite conto la tortura e ribadito nella citata sentenza
della Corte Internazionale di Giustizia nel caso Belgio c. Senegal.
La
riapertura del processo contro l’ex dittatore del Ciad, ci fa
sperare in una giustizia possibile. Il Senegal ha dimostrato di voler
condannare i responsabili della commissione di crimini internazionali
tanto gravi e la punizione di Habré porterà ad una soddisfazione
morale più che economica ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime
cadute sotto la dittatura di Hissène Habré.