di
Monica Macchi
Quando
la diciannovenne Reem Abu Ghanem è scappata per sfuggire a un
matrimonio combinato, la polizia israeliana l’ha riportata a casa
con l’accordo che la famiglia non le avrebbe fatto del male: un
fratello, medico all’ospedale di Assaf Harofeh, ha procurato i
sonniferi per soffocarla nel sonno e un altro l’ha strangolata e
gettata in un pozzo… ebbene la condanna è stata “omicidio
involontario”. Infatti i giudici hanno alleggerito la pena sulla
base di referenze dei dignitari locali di “buona moralità” della
famiglia. Per questo la Lista araba unita ha proposto di cancellare
il termine “crimine d’onore” perché “un uomo che vuole
controllare i comportamenti e la vita di una donna e per questo
arriva ad ucciderla non ha niente d’onore e quindi è inappropriato
attribuirgli termini positivi”.
Dall’inizio
dell’anno ci sono già una decina di casi di donne arabo-israeliane
assassinate dai loro familiari che secondo la denuncia di
Neila Awad Rashid direttrice di Women
Against Violence www.wavo.org
sono discriminate in quanto donne da una società patriarcale e in
quanto arabe da un sistema di apartheid. Secondo un recente sondaggio
il 65% delle donne arabe non si rivolgerebbe mai alle autorità
israeliane ritenendolo addirittura “dannoso”; inoltre i servizi
di protezione sono insufficienti: su 14 case protezione solo 2 sono
riservate alle donne arabe (la cui percentuale sulla popolazione è
del 30%) di cui una appena chiusa perché “troppo costosa”. Se
quindi nessun aiuto può arrivare dalle istituzioni, si è deciso di
agire sulla cultura patriarcale accrescendo la sensibilizzazione dopo
un’inchiesta tra gli studenti del Collegio Superiore di Haifa
secondo cui il 20% degli studenti maschi ritiene accettabile questo
crimine: sono stati istituiti corsi sull’uguaglianza tra sessi e
campagne di presa di coscienza…i risultati verranno diffusi alla
fine dell’anno scolastico.