di
Veronica Tedeschi
Il
26 giugno sarà un giorno decisivo per il Burundi. Le elezioni
presidenziali che stanno smuovendo tutto il paese e che hanno creato
enormi proteste sono ormai vicine.
Le
contestazioni continuano ad aumentare ma, nonostante questo, il
Presidente Nkurunziza
non
cambia idea; 51 anni, molto popolare nelle zone rurali del paese,
meno nella capitale Bujumbura, secondo i suoi avversari è spietato e
corrotto e la sua decisione di candidarsi ad un terzo
mandato,
accettata il 5 maggio dalla Corte Costituzionale, ha scatenato nel
paese una serie di rivolte che hanno portato a più di 30 morti.
Nessun
leader ha mai vinto il braccio di ferro con il suo popolo e, anche
nel caso in cui le posizioni tra governo e popolo risultino
totalmente diverse, un bravo Presidente dovrebbe dar ascolto ai
pensieri della sua gente, alle loro opinioni e necessità. Dopo aver
fatto leva sulla questione etnica, sentita più che mai in questo
territorio a causa delle rivalità tra hutu
(81% della popolazione) e
tutsi (16
% della popolazione), Nkurunziza ha esagerato ulteriormente,
fondando una milizia (imbonerakure)
con lo
scopo di schierarla contro gli oppositori. Il Governo ha anche
minacciato di usare l’esercito per ristabilire l’ordine senza
tener conto della determinazione di un popolo stanco e oppresso, che
vuole, ora più che mai, avere il controllo del suo territorio e
ristabilire la pace.
Il
13 maggio, la notizia del colpo di stato di Godefroid Nyombare,
ha fatto sussultare la popolazione; Nyombare
46 anni, fu il primo
hutu
ad essere nominato capo di stato maggiore dell’esercito del Burundi
ed insieme a Pierre Nkurunziza faceva parte del Cndd-Fdd, fino a
quando fu allontanato per aver consigliato al Presidente di non
candidarsi ad un terzo mandato.
“Sono
felice, siamo riusciti a rimuovere un Presidente che aveva tentato
di modificare la Costituzione, dopo tutti i conflitti del passato
voleva anche un terzo mandato per punirci ma, grazie alla rivolta
popolare, abbiamo vinto e non cederemo”
dice un manifestante dopo essere venuto a conoscenza del colpo di
stato dalle radio locali (le radio pubbliche non hanno passato la
notizia). Il colpo di stato è, però, fallito e alla notizia si sono
moltiplicati gli attacchi della polizia contro le redazioni e i mezzi
d’informazione indipendenti, molti dei quali sono stati costretti a
chiudere.
Gran
parte dei responsabili del colpo di stato sono stati arrestati ma
questo non ha messo fine alle manifestazioni contro Nkurunziza che,
nonostante tutto, non ha rinunciato al proposito di ottenere un terzo
mandato alle elezioni del 26 giugno. Effetto collaterale,
strettamente connesso alle rivolte e alla violenza nel paese, è
rappresentato dai 2500 civili che stanno scappando, trasformandosi in
migranti spaventati e arrabbiati per dover lasciare il loro Pese. La
determinazione di questa popolazione deriva anche dalla stanchezza
per la lunga guerra civile subita in questi ultimi anni e delle
rivalità tra le fazioni tribali, scoppiate immediatamente dopo il
golpe con
gli hutu che cercavano vendetta contro i tutsi per l'assassinio di
Ndadaye ed i militari tutsi che uccidevano gli hutu nel tentativo di
conservare il potere. L'entrata in scena di un Presidente come
Pierre
Nkurunziza
nel 2005, poteva e doveva
rappresentare una vera e propria possibilità per uscire dal
conflitto ma, nella pratica, non lo è stata.
Le
rivolte, per la prima volta in Burundi, non riguardano solamente le
differenze etniche ma sono legate ad una lotta di potere nel partito
del governo (formato da entrambe le entie) che non vuole mollare; per
convincerlo a non candidarsi ad un terzo mandato, si sono alternati
membri del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, membri dell'Unione
Africana e dell'UE, soprattutto per evitare effetti collaterali quali
aumento delle morti e dei migranti. Le elezioni sono ormai vicine e
il Presidente non sembra intenzionato a cambiare idea, possiamo solo
restare in attesa, con la speranza che le elezioni si svolgano
pacificamente e senza ulteriori violenze.