Il regista Andrea Patierno, lo sceneggiatore Alessandro Caruso e il regista Francesco Raganato, con l'aiuto di Francesco Sardello, organizzatore sul posto, pianificano i provini per trovare l'attrice principale, poi sistemano i set, chiedono alle maestranze di costruire un carrello per il dolly: questo per girare Looking for Kadija, lavoro girato tra le città di Asmara e Massaua e i villaggi di Agada, Cheren, Cheru, ricostruendo una vicenda poco nota e molto avventurosa (raccontata da Vittorio Dan Segre in "La guerra privata del tenente Guillet. La resistenza italiana in Eritrea durante la seconda guerra mondiale", Corbaccio 2008). Sono giovani donne che raccontano del servizio militare civile oppure obbligatorio, di amori e di emigrazioni. Si racconta, così, un Paese fortemente militarizzato che fa molta fatica ad ottenere qualche spiraglio di democrazia. |
Il
suo documentario nasce da una storia lontana: ce la può raccontare?
La
storia che raccontiamo nel documentario nasce da lontano, sia nel
tempo che nello spazio.
Siamo
in Eritrea, colonia italiana, alla fine della seconda guerra
mondiale. Dopo la resa e la firma dell’armistizio in Europa, un
ufficiale di cavalleria italiano di stanza in Eritrea, Amedeo
Guillet, si rifiuta di consegnare il paese agli inglesi e organizza
la resistenza eritrea, di fatto diventandone il capo carismatico. Al
suo fianco Kadija, la bellissima figlia di un capotribù locale.
Dopo
oltre mezzo secolo, una troupe italiana, composta da me, dal
produttore Andrea Patierno e dallo sceneggiatore Alessandro Caruso,
giunge in Eritrea per preparare un film dedicato a questa grande
storia di amore ed eroismo.
I
casting per trovare la protagonista del film diventano l'occasione
per conoscere, attraverso le storie delle giovani aspiranti e delle
loro famiglie, la condizione e le speranze di un paese isolato dal
resto del mondo da vent'anni di dittatura militare.
Così
nasce “Looking for
Kadija”.
L'Eritrea,
come molti Paesi africani, vede molte persone emigrare verso un
futuro migliore e, spesso, però sono gli uomini a farlo. Molte
madri, mogli, sorelle restano e aspettano: avete raccolto le storie
di queste famiglie spezzate?
Inevitabilmente
intervistando le ragazze è venuta fuori la questione
dell’emigrazione, soprattutto di quella maschile. In ogni famiglia
c’è almeno un caso di emigrazione, è una situazione che tocca
davvero tutti.
L’argomento
però non è mai approfondito, è sempre accennato, velato, forse per
paura, forse per pudore, questo non lo sappiamo.
Qual
è la condizione femminile nell'Eritrea di oggi?
E’ una
domanda a cui posso rispondere solo parzialmente, poiché il nostro
film non è un’inchiesta, ma è un viaggio incentrato sulla ricerca
di una attrice.
Quello
che posso dire con certezza, perché mi si è palesato davanti agli
occhi durante i casting, è che le donne eritree hanno una fierezza
ed una dignità invidiabili. Hanno una scintilla nei loro occhi che
mette quasi soggezione, hanno voglia di fare, di emergere, di
realizzare i loro sogni, ai quali per fortuna non rinunciano. Hanno
amore fortissimo per il loro paese e per la loro cultura, un amore
sano, oltre a una enorme voglia di riscatto, una voglia reale, che si
tocca con mano.
Il
film intreccia presente e passato. Una domanda che ci sta sempre
molto a cuore è: quanto è importante la memoria storica, anche alla
luce degli avvenimenti attuali, nei naufragi nel Mediterraneo?
La
memoria storica è sempre di fondamentale importanza, non solo perché
banalmente si può imparare a non ripetere gli errori del passato, ma
soprattutto perché tutto ciò che è accaduto in passato ci dà una
chiave per leggere e interpretare (e migliorare) il presente.
Per
essere più concreti, ad un certo punto del film, un signore di
Massaua, con un italiano impeccabile, ci racconta di come gli
italiani durante gli anni del colonialismo erano arrivati in Eritrea
per rimanere, per vivere una vita magari migliore di quella che
avevano in Italia. Di conseguenza hanno costruito edifici
meravigliosi, strade efficienti, ferrovie all’avanguardia. Hanno
dotato il paese di infrastrutture da cui ancora oggi gli Eritrei
traggono beneficio.
Ci ha
raccontato sostanzialmente un esempio di una sana compenetrazione
culturale ed economica, in cui tutte e due le parti traggono
beneficio.
All’opposto,
e non dico nulla di nuovo, i naufragi del Mediterraneo in realtà
sono l’evidente risultato di una scellerata politica colonialista,
un colonialismo da saccheggio, perpetrata da molti governi
extra-africani (non è esatto dire “occidentali”) a danni delle
fragili democrazie africane (ove ce ne siano). Ma è un discorso
lungo e complicato da affrontare in poche battute.
Quando
e come è stato realizzato questo suo lavoro?
Nell’ottobre
del 2013 siamo stati in Eritrea per circa 20 giorni per fare le
riprese. Abbiamo visitato Asmara, poi Massaua e Cheren dove oltre
alla ricerca delle location per il fim che vogliamo fare abbiamo
organizzato i casting per trovare Kadija. Ci siamo spinti anche verso
la piana di Cheru, che fu il teatro della tremenda battaglia in cui
morirono molti italiani e ascari eritrei che fianco a fianco
combatterono contro gli inglesi.
Poi da
gennaio 2014 fino ad aprile c’è stato un lunghissimo lavoro di
montaggio con Alice Roffinengo, la nostra editor, e Chiara Laudani,
autrice del documentario con Alessandro Caruso.
Rai
Cinema ha creduto sin da subito al progetto e ci ha concesso il
sostegno finanziario per realizzare questo lavoro.
La
vittoria al Festival di Roma è giunta davvero inaspettata, e questo
ha messo in moto ciò che speravamo, ovvero la possibilità di
pensare davvero di realizzare finalmente un film sulla storia di
Amedeo Guillet e Kadija.