di
Veronica Tedeschi
“Tutti
gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Sono
dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli
altri in spirito di fratellanza.”
(Art. 1 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo)
I
diritti umani nascono con la Dichiarazione Universale dei diritti
dell’Uomo del 1948, momento dal quale nasce la così detta “era
moderna” dei diritti umani caratterizzata dalla loro
internazionalizzazione.
Gli
Stati, recependo con modalità differenti questa dichiarazione,
riconoscono gli impegni in essa contenuti di fronte alla comunità
internazionale.
Il
continente europeo si evolve prima degli altri con la creazione della
Convenzione
Europea dei Diritti umani nel
1950.
Negli
Stati americani, lo sviluppo è stato molto lento e, solo prendendo
come esempio la Convenzione Europea, nasce la Convenzione
Interamericana dei diritti umani nel
1969.
L’ultimo
ad allinearsi alla Dichiarazione del 48 è il continente africano.
L’impulso
delle Nazioni Unite stimola i paesi della lega araba a lavorare sui
diritti umani e, di conseguenza, si crea la lega degli stati arabi,
nata “scimmiottando” il modello delle Nazioni Unite.
Nel
1994 si arriva, a Tunisi, ad adottare la Carta
Araba dei diritti dell’uomo,
nella quale non si specifica il rispetto della shari’a (come nei
progetti precedenti della Carta); viene solo nominata nel preambolo e
questo rappresenta un grande passo avanti per paesi così
condizionati dal potere della shari’a. La Carta araba è vigente ma
non funzionante perché accanto ad essa non è stato creato l’organo
per controllare il rispetto della Carta.
Solo
nel 2002 nascerà l’altra importante organizzazione regionale: l’Ua
(Unione Africana) che rappresenta anch’essa un’evoluzione poiché
non distingue i paesi ma abbraccia, per la prima volta, tutti i paesi
del continente africano.
Tornando
indietro nel tempo, al 1981, è necessario ricordare la nascita del
primo importante testo per i diritti umani che, in un certo senso, si
può affiancare alle due Convenzioni regionali precedentemente
citate: la Carta
Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli:
le fondamenta di questa Carta si basano sul fatto che l’uomo, in
quanto singolo, non si sviluppa ma lo fa solo all’interno di una
società.
I
doveri dell’individuo, così come i diritti dei popoli, sono i due
pilastri della Carta, che l’hanno resa originale e diversa dalle
altre Convenzioni regionali.
“La
soggezione dei popoli a una dominazione e a uno sfruttamento
straniero costituisce una negazione dei diritti fondamentali
dell’uomo”.
La
motivazione di una così importante espressione la si può
ricondurre alla storia del continente segnata da una forte
colonizzazione e sfruttamento. Il diritto dei popoli a disporre di se
stessi e di tutti i diritti connessi sono presupposti indispensabili
alla garanzia dei diritti dell’uomo, nel senso dei diritti della
persona umana; ma essi non costituiscono in sé i diritti dell’uomo.
La
Carta africana riafferma l’indivisibilità dei diritti dell’uomo
aggregando in un unico documento i diritti di prima, seconda e terza
generazione. Nello specifico, per diritti di prima generazione si
intende il diritto all’uguaglianza davanti alla legge o il diritto
di associazione; per diritti di seconda generazione si intende il
diritto al lavoro in condizioni uguali e soddisfacenti o il diritto
all’istruzione mentre il diritto ad un ambiente soddisfacente, il
diritto alla pace e alla sicurezza internazionale sono diritti di
terza generazione. L’introduzione di questi ultimi diritti è
strettamente legata ai diritti collettivi dei popoli che,
rintracciati in sei articoli della Carta, rappresentano uno dei
caratteri più innovativi di questo strumento giuridico.
Bisogna
comunque sottolineare il fatto che, nonostante la Carta africana ha
la qualità di aver affermato in modo deciso il carattere collettivo
di questi diritti, risulta ambigua la titolarità dei medesimi
diritti, per esempio la concezione di popolo potrebbe essere
strumentalizzata dalle entità statali in quanto non perfettamente
specificata nella Carta.
In
conclusione, molti sono i lati positivi di questa Carta ma, per
completezza è necessario elencare tre importanti lacune: l’omissione
di alcuni diritti garantiti dalla Dichiarazione Universale (diritto
al matrimonio, diritto di cambiare religione) , l’eccessiva
discrezionalità conferita agli Stati africani nella limitazione dei
diritti garantiti dalla Carta e l’assenza nella Carta di
disposizioni che prevedano e regolamentino la facoltà degli Stati
parte di sospendere i diritti in circostanze eccezionali. Si dubita
fortemente che i redattori abbiano voluto conferire carattere
assoluto ai diritti contenuti nella Carta, quindi l’assenza di
indicazioni rende, in ogni caso, invocabile la sospensione dei
diritti facendo riferimenti all’art. 62 della Convenzione di Vienna
sul diritto dei trattati.