venerdì 23 ottobre 2015

Hate speech e libertà di espressione




Lo scorso 9 ottobre 2015, presso l'Università Statale di Milano, Dipartimento di Giurisprudenza, si è svolto un convegno, organizzato dall'ASGI, dal titolo: Hate speech e libertà di espressione: tanti gli ospiti che hanno animato i dibattiti e che hanno approfondito gli argomenti relativi al tema.

L'Associazione per i Diritti Umani ha seguito il workshop che ha riguardato il “Linguaggio d'odio nella rete e nei media”.

Il primo punto su cui si è discusso riguarda la precisazione secondo la quale l'odio non passa solo attraverso un FATTO, ma anche attraverso elementi extra giuridici come, ad esempio, gli strumenti tecnici che vengono utilizzati. Ecco perchè sono nati, negli ultimi tempi, molti progetti che monitorano proprio gli strumenti tecnologici a disposizione delle persone.

Gabriella Klein ha illustrato il progetto RADAR per dare ad avvocati, giudici, Polizia e associazioni strumenti adatti a regolare l'antidiscriminazione e l'antirazzismo. Il progetto fornisce delle guide con raccomandazioni che servono anche a livello europeo e che riguardano, spesso, anche i testi di legge. Per fare un esempio: in alcuni comunicati dell'Unione europea si usa il termine “razza”: viene specificato che il termine non è usato in senso genetico, ma non viene nemmeno specificato in che senso venga utilizzato e questo contribuisce a creare confusione. In Finlandia, invece, il concetto di “razza” non viene mai utilizzato, così come il suo derivato “razziale”.

Nell'analisi delle sentenze si evidenziano e si analizzano le parole, ma anche la comunicazione non verbale (i gesti) e le immagini per verificare che non passino messaggi discriminatori, così come risulta importante la comunicazione paraverbale, ovvero il tono di voce con il quale possiamo veicolare i significati che corrispondono a ciò che pensiamo veramente, ma anche quelli sottesi. Nelle sentenze italiane non si considerano mai questi fattori comunicativi, ma al limite, ci si sofferma ad analizzare solo le parole. Questi fattori, invece, sono importanti perchè la comunicazione crea le pratiche sociali e vanno analizzati nella loro complessità e nella loro dinamica – attraverso l'analisi della conversazione, molto usata in sociolinguistica – perchè permettono di vedere la reazione dell'Altro, soprattutto quando sono state fatte delle videoriprese (ci riferiamo, quindi, all'analisi dei talk show, delle pubblicità, delle conversazioni in rete, scritte e visive).

Un altro progetto interessante è stato esposto da Alessandra Giannoni del Cospe. Il progetto europeo si chiama BRICKS e si occupa di capire come le testate online gestiscono le interazioni degli utenti in tema di immigrazione e minoranze, puntando sull'Educazione ai media per promuovere un approccio critico.

In collaborazione con l'Università di Firenze, sono state raccolte – tra gennaio e marzo 2015 – interviste a testate giornalistiche online ed ad esperti (dell'Unar e della Carta di Roma): le conclusioni, ad oggi, dimostrano che l'utente denominato “AGGRESSIVO” è colui il quale scrive: “Io li conosco, ho la soluzione perchè sono armato” oppure “Non sono razzista, ma...” oppure “ Non sono ipocrita, dico quello che penso...”: in questi casi siamo nel campo dell'opinione e chi scrive o pronuncia questa frasi, sa di poterlo fare perchè ormai sono accettate e non vengono sanzionate. Per contrastarle e monitorare i discorsi d'odio si potrebbe intervenire sui toni con cui vengono detti e scritti oppure rispondere alle persone in maniera privata, convincendole a non insistere.

L'UNICRI, l'Unità di Prevenzione del Crimine e Giustizia penale ha realizzato un progetto, PRISM, di cui si è parlato sempre durante il convegno. La relatrice, Elena D' Angelo, ha esposto i risultati comparativi di un'indagine che si è verificata in 28 Paesi europei per la lotta contro i crimini e i discorsi d'odio online e sui nuovi media (i Paesi che hanno risposto all'indagine sono stati, però, 18).

Il punto di partenza: quanto il Diritto può essere utile? E' in parte necessario, le misure giuridiche sono utili, ma non sono sufficienti. Innanzitutto manca una definizione precisa di “discorso d'odio” e poi mancano le tecniche di indagine COMUNI a livello europeo: in alcuni Paesi le legislazioni sono ancora vaghe, mentre in altri sono talmente nuove che non riescono ad essere efficaci, come ad es. in Grecia o in Spagna.

Le segnalazioni sono fondamentali perchè aiutano anche a dare un quadro completo del fenomeno: non solo le denunce alla Polizia, dunque, ma sarebbe necessario implementare anche applicazioni sui cellulari oppure una nuova e precisa modulistica online.

Chiara Minicucci, di CITTALIA, ha presentato un'altra ricerca, sempre nell'ambito del progetto PRISM, sui gruppi che più si caratterizzano per i discorsi di odio e come si rapportano i giovani riguardo al tema. Emerge, in Italia, una presenza massiccia di gruppi di destra e di destra radicale che non ripudiano il fascismo e il colonialismo e nemmeno il razzismo e la violenza. Una domanda interessante, emersa dall'indagine, è: “Chi scrive sui social, potrebbe passare dalla scrittura ai fatti?” (Vedi il caso di Stormfont Italia)...

Infine si è parlato anche di antisemitismo e islamofobia, con Giulia Dessì di MEDIA DIVERSITY. In Italia, oggi, non si parla di antisemitismo, invece in altri Paesi europei la situazione è molto grave: si leggono ancora, infatti, frasi che riguardano l'uso del sangue dei bambini per riti religiosi, di complotto giudaico e di negazionismo della Shoà anche se nei media mainstream l'antisemitismo è meno frequente, in Europa, rispetto ad altre forme di razzismo o di islamofobia. A questo proposito, si tende a dipingere l'Islam come un blocco monolitico, come portatore di valori inconciliabili con quelli europei ed occidentali tramite la visione di uomini violenti e dediti al terrorismo. Le fonti di ricerca hanno visto le analisi dei servizi de “Il Giornale” o di “Fox news” dove, spesso, le immagini non corrispondono al testo.

Le azioni di contrasto suggerite da questo progetto sono: presentare esposti e denunce ai giornalisti, all'Ordine dei giornalisti e alle associazioni e agli organismi regolatori indipendenti (ad es. IPSO per l'Inghilterra).

Al termine dell'incontro è stato ribadito che il RAZZISMO è solo un fenomeno CULTURALE: tutte le teorie sul razzismo biologico hanno clamorosamente fallito.