giovedì 2 aprile 2015

Brescia: il caso dei permessi di soggiorno (e una sentenza positiva)





E' diventato un vero e proprio caso quello che è accaduto a Brescia nei giorni scorsi e si tratta di una situazione ancora irrisolta: Mario Morcone - capo dipartimento Immigrazione del Ministero degli Interni -ha confermato che, per gli immigrati della provincia di Brescia, ci sono solo due possibilità su dieci di ottenere il permesso di soggiorno.

Si parla, in particolare, del permesso di un anno per attesa occupazione. Questo permesso non viene quasi mai rilasciato e il motivo è preciso e riguarda le tempistiche: la questura impiega mediamente più di dodici mesi per rinnovare il documento, quando la stessa legge Bossi-Fini stabilisce, invece, che il termine debba essere al massimo di 60 giorni. Il risultato è che l'80% delle domande da parte dei migranti viene respinto, quando la media italiana è del 20%.

Lo scorso 24 marzo è stato organizzato un presidio di protesta organizzato dalla CGIL, caricato dalla polizia e nella dichiarazione inviata al Ministero dell'Interno si legge: “ l'intervento violento della forza pubblica è stato ingiustificato e controproducente al fine del mantenimento dell'ordine pubblico, così come non è comprensibile la gestione complessiva dell'ordine pubblico che, anziché tendere a contenere e limitare situazioni di tensione, sta contribuendo in questo modo ad esarcebare un clima di tensione”.

La tensione continua perchè sono continuate le proteste dei migrati anche se le manifestazioni sono state vietate dal questore. Il prefetto, Narcisa Brassesco Pace, è indagato per aver chiesto ad un amico di far restituire al figlio la patente ritirata. E in tutto questo risuonano le parole di Salvini e Calderoli. “Noi lottiamo per un Paese normale secondo molti aspetti. Per esempio un Paese in cui non si tengano manifestazioni come quella di oggi a Brescia, dove 2000 immigrati hanno sfilato pretendendo il permesso di soggiorno” questo è Salvini. E ancora: “Viviamo in un Paese al contrario, mentre a Brescia gli immigrati e i centri sociali manifestavano per chiedere ancora più diritti per i clandestini, a Torino qualche centinaio dei soliti violenti si scontrava con le Forze dell'ordine”: slogan, confusione, allarmismi. E in questo Paese i diritti si “pretendono”...



Però vogliamo dare una buona notizia: si tratta della sentenza della Corte di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 5926 del 25 Marzo 2015.



Nel caso di specie l'interessato, immigrato privo di documenti di riconoscimento, recuperato in mare da un mezzo della Marina militare, impugna il decreto di trattenimento in centro di identificazione ed espulsione lamentando di essere stato immediatamente respinto senza che gli fossero fornite informazioni relative alla procedura di riconoscimento di protezione internazionale.

La Suprema corte accoglie il ricorso confermando che, sebbene nel nostro ordinamento non esista un obbligo formale a provvedere, tale necessità è ricavabile in via interpretativa dal combinato disposto di normativa nazionale ed europea in materia migratoria (nella specie, direttiva 2013/32/UE del 26 Giugno 2013).

Tale obbligo è sancito altresì dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. In definitiva “non può tuttavia continuare ad escludersi che il medesimo dovere sia necessariamente enucleabile in via interpretativa facendo applicazione di regole ermeneutiche pacificamente riconosciute, quali quelle dell'interpretazione conforme alle direttive europee in corso di recepimento e dell'interpretazione costituzionalmente orientata al rispetto delle norme interposte della CEDU, come a loro volta interpretate dalla giurisprudenza dell'apposita corte sovranazionale”. La presentazione di eventuale domanda di protezione internazionale impedirebbe di fatto al respingimento di operare. (www.StudioCataldi.it)