E'
diventato un vero e proprio caso quello che è accaduto a Brescia nei
giorni scorsi e si tratta di una situazione ancora irrisolta: Mario
Morcone - capo dipartimento Immigrazione del Ministero degli Interni
-ha confermato che, per gli immigrati della provincia di Brescia, ci
sono solo due possibilità su dieci di ottenere il permesso di
soggiorno.
Si
parla, in particolare, del permesso di un anno per attesa
occupazione. Questo permesso non viene quasi mai rilasciato e il
motivo è preciso e riguarda le tempistiche: la questura impiega
mediamente più di dodici mesi per rinnovare il documento, quando la
stessa legge Bossi-Fini stabilisce, invece, che il termine debba
essere al massimo di 60 giorni. Il risultato è che l'80% delle
domande da parte dei migranti viene respinto, quando la media
italiana è del 20%.
Lo
scorso 24 marzo è stato organizzato un presidio di protesta
organizzato dalla CGIL, caricato dalla polizia e nella dichiarazione
inviata al Ministero dell'Interno si legge: “ l'intervento violento
della forza pubblica è stato ingiustificato e controproducente al
fine del mantenimento dell'ordine pubblico, così come non è
comprensibile la gestione complessiva dell'ordine pubblico che,
anziché tendere a contenere e limitare situazioni di tensione, sta
contribuendo in questo modo ad esarcebare un clima di tensione”.
La
tensione continua perchè sono continuate le proteste dei migrati
anche se le manifestazioni sono state vietate dal questore. Il
prefetto, Narcisa Brassesco Pace, è indagato per aver chiesto ad un
amico di far restituire al figlio la patente ritirata. E in tutto
questo risuonano le parole di Salvini e Calderoli. “Noi lottiamo
per un Paese normale secondo molti aspetti. Per esempio un Paese in
cui non si tengano manifestazioni come quella di oggi a Brescia, dove
2000 immigrati hanno sfilato pretendendo il permesso di soggiorno”
questo è Salvini. E ancora: “Viviamo in un Paese al contrario,
mentre a Brescia gli immigrati e i centri sociali manifestavano per
chiedere ancora più diritti per i clandestini, a Torino qualche
centinaio dei soliti violenti si scontrava con le Forze dell'ordine”:
slogan, confusione, allarmismi. E in questo Paese i diritti si
“pretendono”...
Però
vogliamo dare una buona notizia: si tratta della sentenza della Corte
di Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza n. 5926 del 25 Marzo
2015.
Nel
caso di specie l'interessato, immigrato privo di documenti di
riconoscimento, recuperato in mare da un mezzo della Marina militare,
impugna il decreto
di trattenimento in centro di identificazione ed espulsione
lamentando di essere stato immediatamente respinto senza che gli
fossero fornite informazioni relative alla procedura di
riconoscimento
di protezione internazionale.
La
Suprema corte accoglie il ricorso confermando che, sebbene nel nostro
ordinamento non esista un obbligo
formale a provvedere,
tale necessità è ricavabile in via interpretativa dal combinato
disposto di normativa nazionale ed europea in materia migratoria
(nella specie, direttiva 2013/32/UE del 26 Giugno 2013).
Tale
obbligo è sancito altresì dalla giurisprudenza della Corte europea
dei diritti dell'uomo. In definitiva “non
può tuttavia continuare ad escludersi che il medesimo dovere sia
necessariamente enucleabile in via interpretativa facendo
applicazione di regole ermeneutiche pacificamente riconosciute, quali
quelle dell'interpretazione conforme alle direttive europee in corso
di recepimento e dell'interpretazione costituzionalmente orientata al
rispetto delle norme interposte della CEDU, come a loro volta
interpretate dalla giurisprudenza dell'apposita corte
sovranazionale”.
La presentazione di eventuale domanda di protezione internazionale
impedirebbe di fatto al respingimento di operare.
(www.StudioCataldi.it)