Mentre Salvini dichiara di voler spianare i campi rom, l'Associazione per i Diritti Umani ha intervistato Norina Vitali del Naga, in occasione dell'uscita dell'ultimo rapporto dell'associazione, intitolato “Nomadi per forza: indagine sull'applicazione delle linee guida Rom, Sinti e Caminanti del Comune di Milano”.
Come
avete raccolto i dati per questa indagine?
Abbiamo
iniziato questa indagine nel marzo 2013 e l'abbiamo terminata alla
fine di settembre 2014. “Medicine di strada” è uno dei gruppi
del Naga ed è un camper che esce sul territorio per dare assistenza
sanitaria e, negli ultimi dieci anni, si è concentrato sui cmpi
irregolari rom.
Per
l'indagine abbiamo realizzato delle interviste alle famiglie che sono
passate attraverso i Centri di Emergenza sociale (CES) di prima
accoglienza, istituiti dopo che sono state approvate le linee guida
dal Comune, nel novembre del 2012. in questi centri vengono accolte
le famiglie rom sgomberate: però non tutte, perchè i centri possono
accogliere 270 persone in totale, ma le persone sgomberate sono molte
di più. C'è stato, comunque, un cambiamento: mentre con la
precedente amministrazione, dopo gli sgomberi, le persone non
venivano accolte in alcun modo, ora ci sono questi centri che
accolgono uomini, donne e bambini.
Le
interviste sono state fatte anche agli enti gestori e all'assessore
Granelli e al suo staff, l'assessorato alla sicurezza.
Quali
sono gli stereotipi e i pregiudizi che ancora sussistono nei confroti
di queste etnie?
Ci
accorgiamo che ce ne sono tantissimi, anche guardando dentro noi
stessi. La situazione dei Rom è la cartina di tornasole della
democrazia di un Paese. Sono stata insegnante per quarant'anni e,
quando sono andata in pensione, ho deciso di lavorare con i Rom e,
nonostante la mia famiglia fosse di sinistra, ho litigato con mio
padre ed è stato proprio a causa di questa scelta.
Granelli
e Majorino (assessore alle Politiche sociali) hanno detto di dover
trattare questa questione come se i Rom fossero dei senzatetto, come
qualsiasi altra persona, ma è anche vero che i Rom sono davvero un
popolo con abitudini diverse dalle nostre, con le proprie tradizioni
ed è un'etnia che va riconosciuta. Alcuni aspetti della loro cultura
non li condivido, ma va data loro la possibilità di esistere.
Quali
sono le risorse messe in campo a livello locale?
Poco
dopo l'approvazione delle linee guida, nel 2013, c'è stata una
riunione tra il Comune e la Prefettura per decidere come finanziarle
ed è stato deciso di utilizzare i fondi rimasti dei famosi 13
milioni del piano Maroni “Emergenza nomadi”. Di quel denaro,
stanziato per Milano, erano rimasti circa 5 milioni e la differenza è
stata spesa dall'amministrazione precedente per attuare gli sgomberi.
Al di là
delle condizioni in cui si buttano le persone che vengono sgomberate,
fare gli sgomberi costa e non è efficace: le persone non si possono
eliminare (come è successo durante il nazismo), quindi si spostano,
si disperdono e formano altri insediamenti. E il problema non si
risolve mai.
L'attuale
amministrazione ha continuato con gli sgomberi e ha creato i cenri di
emergenza sociale che sono una soluzione temporanea. I Rom che
possono o accettano di entrarci, possono rimanere per un periodo
limitato.
Quali
sono le restrizioni e, una volta scaduto questo periodo, cosa
succede?
Una
volta scaduto il periodo ritornano sul territorio.
Per
entrare nei CES i Rom devono firmare un contratto che, in realtà, è
un elenco di regole da rispettare, scritto in italiano. Consideriamo
che spesso i Rom di una certa età o sono analfabeti o non conoscono
la lingua italiana. Questo regolamneto è rinnovabile di 40 giorni in
40 giorni per un periodo massimo di 200 giorni. All'interno dei CES
(di Garibaldi e Lombroso) non c'è privacy, dormoni in stanzoni
comuni di 20-30 persone proprio perchè questa non deve essere
considerata una soluzione abitativa fissa.
Ci
sarebbe, poi, la possibilità di intraprendere percorsi di inclusione
lavorativa e scolastica: ottima intenzione sulla carta, ma per tutte
le persone che sono passate dai CES (dall'aprile 2013 alla fine del
nostro reporto, nel 2014) in realtà solo 9 progetti sono andati a
buon fine e i lavori erano sempre stagionali, sul breve periodo e la
maggioranza veniva pagata in nero. Infine, delle 43 persone che si
sono trovate a lavorare molte hanno dichiarato di essere romeni e non
Rom proprio a causa dei pregiudizi ancora in corso nei loro
confronti.