Madre,
padre, fratello e minore e Paula. Paula è un'adolescente che cresce
in una famiglia speciale: i suoi genitori e il fratellino, infatti,
sono sordomuti. Siamo nella campagna della Normandia e i Bélier sono
agricoltori e produttori di formaggio; infaticabili lavoratori, molto
legati ai figli, vivono tutti in grande armonia. Questa è la
situazione che apre il film intitolato proprio La
famiglia Bèlier,
nelle sale in questo periodo, film scritto a quattro mani da
Stanislas Carre de Malberg e Victoria Bedos, candidato a sei
nomination ai César. Il regista, Eric Lartigau, racconta la
diversità con leggerezza, costruendo attorno ai personaggi una
commedia frizzante, ma non banale.
Interessante,
ad esempio, sono le modalità di comunicazione tra Paula e gli altri
componenti della famiglia: il linguaggio dei segni oppure gli
sguardi, insomma quella comunicazione non verbale che passa
attraverso altri sensi e altre sensibilità. La ragazzina, che ha
sedici anni, vive in un mondo silenzioso e si trova a dover fare da
ponte tra i suoi affetti più cari e il mondo esterno: un ruolo non
facile, soprattutto in una fase della vita, quella adolescenziale, in
cui si vorrebbe essere al centro del mondo e delle attenzioni altrui.
Paula, infatti, come tutti i suoi coetanei, inizia a desiderare un
fidanzato ed è in cerca della propria identità. L'occasione si
presenta tramite un concorso per entrare in una delle scuole di
canto più prestigiose di Parigi. Paula vorrebbe partecipare, ma il
suo allontanamento da casa preoccupa la famiglia che ha così tanto
bisogno della sua presenza, sia nel lavoro sia come legame con la
società esterna.
Originale
la scelta di un linguaggio diretto, a volte sopra le righe di alcuni
personaggi che si contrappone al mutismo dei Bélier e quella
emancipazione riguardo alle questioni sessuali che suscitano sorrisi,
ma che servono anche a non scadere nella retorica pietistica. Di
respiro universale la riflessione tra le generazioni a confronto, un
confronto spesso complicato che qui lo è ancora di più data la
disabilità dei genitori. Bella l'idea che, nonostante un tipo di
comunicazione non convenzionale, i componenti del nucleo si
capiscano, litighino per poi tornare ad essere più uniti di prima.
Da notare, infine, come anche la musica, in questo film, sia così
importante da essere quasi, essa stessa, protagonista: non è un caso
che Paula voglia iscriversi ad una scuola di canto. Lei, figlia di
persone sordomute, ha un dono: quello di una voce meravigliosa e
proprio con quella voce canta una canzone che si intitola Je
vole
e dice: “ Vi voglio bene, ma parto. Non fuggo ma volo, non sono più
una bambina stasera”. Paula ha trovato la sua strada e tutti hanno
imparato che l'amore passa anche attraverso l'autonomia e la libertà.