Eliana Iorfida si è laureata in Archeologia nel 2007 a Firenze. Ha partecipato a importanti missioni di scavo nazionali e internazionali in Medio Oriente (Siria, Egitto e Israele) ed è l'autrice del romanzo d'esorsio intitolato Sette paia di scarpe, vincitore del secondo posto nel concorso nazionale “La Giara” (Rai Eri).
Beirut,
2006, Imad è il padre di Aidha, Nashat e Tahir, è vedovo e ha
molta paura di mettere in pericolo la vita dei suoi tre figli perché
a Beirut ci si attende l’offensiva israeliana contro gli hezbollah
libanesi.
Affidati i ragazzi alle cure della figlia maggiore, Imad li mette su un aereo per Aleppo e da lì continueranno il loro viaggio verso la Jaazera, l’interno desertico della terra siriana, fino ad un piccolissimo villaggio dove vivono i parenti della moglie defunta. Nel villaggio li aspettano i nonni materni insieme agli zii e ai cugini che li accolgono in una vita rigidamente organizzata sui tempi del lavoro e i ruoli di una famiglia patriarcale.
Completamente soggette al volere dei mariti e fratelli maggiori, le donne vivono nella grande casa comune nel sogno del matrimonio che dovrebbe affrancarle dalla casa paterna. Aidha è spinta da una serie di segnali rivelatori a scoprire il perché della frattura tra sua madre e la famiglia d’origine, e sarà Karima, grande amica della madre fin dall’infanzia che le svelerà il segreto della contrastata giovinezza di lei. Piano, piano Karima dipana il filo dei ricordi svelando ad Aidha un altro aspetto della madre. Innamorata con passione di un berbero, le famiglie avevano per mesi intessuto trattative matrimoniali, ma il riscatto sarà possibile.
Affidati i ragazzi alle cure della figlia maggiore, Imad li mette su un aereo per Aleppo e da lì continueranno il loro viaggio verso la Jaazera, l’interno desertico della terra siriana, fino ad un piccolissimo villaggio dove vivono i parenti della moglie defunta. Nel villaggio li aspettano i nonni materni insieme agli zii e ai cugini che li accolgono in una vita rigidamente organizzata sui tempi del lavoro e i ruoli di una famiglia patriarcale.
Completamente soggette al volere dei mariti e fratelli maggiori, le donne vivono nella grande casa comune nel sogno del matrimonio che dovrebbe affrancarle dalla casa paterna. Aidha è spinta da una serie di segnali rivelatori a scoprire il perché della frattura tra sua madre e la famiglia d’origine, e sarà Karima, grande amica della madre fin dall’infanzia che le svelerà il segreto della contrastata giovinezza di lei. Piano, piano Karima dipana il filo dei ricordi svelando ad Aidha un altro aspetto della madre. Innamorata con passione di un berbero, le famiglie avevano per mesi intessuto trattative matrimoniali, ma il riscatto sarà possibile.
La
commissione del concorso si è così espressa: “La scrittura della
Iorfida riesce a rendere con espressività l’atmosfera di un
villaggio rurale della Siria vissuto attraverso gli occhi della
giovane protagonista. Senza frapporre giudizi morali e politici,
narra un mondo arcaico facendocelo sentire comunque molto vicino al
Mediterraneo di casa nostra. Un bel ritratto di una cultura diversa,
sentita come ricca di valori anche se fortemente autoritaria”.
L'Associazione
per i Diritti Umani ha intervistato per voi Eliana Iorfida che
ringrazia.
Come
si è documentata per scrivere questo romanzo?
Questo
romanzo è il frutto spontaneo di un’esperienza vissuta in prima
persona da archeologa nei territori che fanno da scenario alla
narrazione – i villaggi di Tell Mozan e Umm Ar-rabiah, nel
Kurdistan siriano – dove ho trascorso due stagioni al seguito
dell’importante missione di scavo internazionale diretta dal Prof.
Giorgio Buccellati. Le mie “note di viaggio” si sono presto
intrecciate alla vicenda reale e commovente di una donna del posto.
Direi, quindi, che la “documentazione” è avvenuta sul campo,
semplicemente vivendo a stretto contatto con le persone che ci
ospitavano; trovando nella loro quotidianità, nelle tradizioni e nei
racconti dei più anziani, tesori preziosi come quelli custoditi
dalla sabbia.
Beirut,
Aleppo e poi la campagna siriana: qual è la differenza culturale tra
le città e l'entroterra?
È
una differenza enorme. Gran parte dei Paesi mediorientali sono
attraversati da squilibri e dualismi estremamente marcati da un punto
di vista storico-culturale, politico e geografico. Uno dei più
tangibili sussiste proprio tra città e campagna: le prime,
soprattutto le capitali e le grandi metropoli, sono scandite da ritmi
e tenori di vita del tutto simili a quelli ai quali siamo abituati
“noi” occidentali – assimilando, talvolta, il peggio dai nostri
cosiddetti modelli di emancipazione – viceversa, le comunità
multietniche dei piccoli centri rurali patiscono ancora pesanti
condizioni di miseria, vessazione e degrado sociale. È in queste
diseguaglianze che affondano le radici del malcontento e, al tempo
stesso, della presa di coscienza che hanno animato la stagione delle
“Primavere Arabe”, almeno nel loro slancio genuino iniziale, ed è
da qui che occorre ripartire per dare speranza a queste popolazioni.
Le
persone anziane sono depositarie della memoria e della tradizione:
come conciliare il loro vissuto e la loro mentalità con quella dei
più giovani?
Nel
romanzo, Aidha, la giovane protagonista, conosce se stessa e le
proprie radici attraverso il filo della memoria familiare e della
riscoperta del proprio passato: una ragazza di città che si scontra
e s’incontra con le antiche tradizioni di una terra lontana, nel
tempo e nello spazio. È un dialogo che nasce sulla base della
curiosità e del rispetto reciproco, e si costruisce in punta di
piedi. Al giorno d’oggi è difficile conciliare il vissuto di
generazioni così distanti, e la realtà mutevole e consumistica che
ci circonda non fa che distrarci, ostacolando con ogni mezzo questo
prezioso “passaggio del testimone”. Tuttavia, i giovani non
possono e non devono abdicare così facilmente alla conoscenza
storica, personale e collettiva, perché solo l’esperienza di ciò
che è stato (e che siamo stati) può prepararci a comprendere e
accogliere i mutamenti che ci attendono.
Nel
libro si parla anche di matrimonio combinato e di emancipazione:
quali sono i diritti negati e quali, invece, quelli acquisiti da
parte delle donne?
La
storia che racconto è fatta di dolore e riscatto, ma anche di
consapevolezza e rispetto verso tradizioni (patriarcali e
matriarcali) di origini antiche, sulle quali si fondano molte
comunità umane e dalle quali, spesso, dipende la sopravvivenza di
interi clan familiari. Anche se la storia narrata è “al
femminile”, trovo riduttivo, soprattutto in questo drammatico
momento, limitare il problema dei diritti alle sole donne: non esiste
una questione femminile fine a se stessa – benché la donna sia un
centro cosmico e sul suo corpo si combattano guerre di ogni genere –
quanto un problema di negazione o affermazione di diritti umani
universali e inalienabili, a tutte le latitudini. Nei Paesi di
cultura arabo-islamica la donna è declinata in mille sfaccettature,
non sempre rispondenti agli stereotipi di cui siamo infarciti, e
l’affermazione dei diritti, così come l’emancipazione personale
e professionale, dipendono dal contesto socio-economico e culturale
dal quale cui si proviene: s’incontrano spesso donne come Rima
Karaki, la giornalista libanese che, di recente, ha fatto notizia per
aver tenuto testa a un prepotente islamista conservatore; e poi ci
sono donne che a quella prospettiva d’indipendenza non hanno alcuna
possibilità d’accesso, succubi di umiliazioni e privazioni. In
casa nostra le cose non sono poi così diverse, senza contare la
piaga del femminicidio, che nel 2013 ha mietuto una vittima ogni due
giorni.
C'è
un collegamento tra la Siria da lei raccontata e le Regioni del
nostro Sud?
Ho
guardato il Medio Oriente con occhi da calabrese e ci ho visto le mie
radici! Non è un caso che in apertura e chiusura del romanzo abbia
scelto di citare l’illustre corregionale Corrado Alvaro che, per
primo, negli anni ’30, colse le innumerevoli assonanze mediterranee
tra i rispettivi Sud, nel bellissimo reportage “Viaggio in
Turchia”. Gli arabi ci hanno
insegnato a irrigare la terra, a coltivare gelso, cotone, melanzane,
spezie e tanti altri alimenti tuttora alla base della nostra
tradizione culinaria. Le donne velate e vestite di scuro mi hanno
richiamato l’immagine delle nonne calabresi e siciliane che, non
più tardi di qualche decennio fa, si coprivano i capelli con la
sajia
prima di uscire di casa e facevano il bucato con la cenere. È
a questa radice mediterranea che dobbiamo guardare per sentirci
partecipi di un destino comune.