di
Monica Macchi
Per
celebrare i 20 anni di Marea, “rivista femminista”, è stato
organizzato a Genova un seminario pubblico sulla laicità come arma
per lottare contro tutti i fondamentalismi che si basano sull’asse
patriarcato-uso politico della religione. Sono intervenute Marieme
Helie Lucas (sociologa algerina fondatrice della rete Wluml, Women
Living Under Muslim Laws), Nadia Al Fani (regista tunisina di
“Laicitè, inshallah”), Maryam Namazie (iraniana fondatrice di
One law
for all)
e Inna Shevchenco (leader ucraina di Femen).
Marieme
Helie Lucas ha posto l’accento su due fenomeni contigui ma non
esattamente sovrapponibili cioè la crescita dell’estrema destra
xenofoba e dell’estrema destra religiosa dove Islam e Cristianesimo
hanno gli stessi valori e le stesse rivendicazioni (come dimostrato
ad esempio alla conferenza di Rio+20 quando l’OIC-Organizzazione
per la Cooperazione Islamica e la Santa Sede si sono alleati contro
il paragrafo 244 sui diritti di riproduzione). Spesso le forze
progressiste in Europa
giustificano
il fondamentalismo islamico dicendo che “bisogna rispettare la loro
cultura” ma non esiste un’unica cultura musulmana ed inoltre
cultura e religione non sono sinonimi: per questo bisogna decidere
con chi dialogare. E’ un suicidio politico lasciare che le risposte
della destra estrema siano le uniche risposte possibili anche perché
c’è il rischio di abbandonare la nozione di universalismo e
cittadinanza per approdare al comunalismo dove i diritti diversi in
base alla comunità di appartenenza: solo la laicità può dunque
garantire democrazia ed uguaglianza di fronte alla legge. Inoltre la
sinistra deve capire di sostenere le forze progressiste perché solo
insieme possiamo cambiare la narrazione sulle donne: così
l’intervento di
Maryam
Namazie si è incentrato sulla vicenda di
Farkhondeh
accusata di aver bruciato il Corano e per questo aggredita e lapidata
a Kabul da una folla inferocita. Ebbene in Occidente si è parlato
pochissimo di questa storia ma ancor meno della resistenza delle
donne che dopo aver protestato hanno portato a spalle la bara in modo
che nessun altro uomo la toccasse, hanno marciato intorno alla bara,
hanno intonato canti e quando il Mullah che ha giustificato
l’omicidio ha intonato la preghiera gli hanno impedito di
avvicinarsi e l’hanno costretto ad andarsene. Ma la resistenza
delle donne ha avuto altri risultati, ad esempio suo fratello
Najibullah ha preso come secondo nome Farkhondeh; le è stata
intitolata la strada in cui è stata uccisa e ci sono stati 28
arrestati e 13 poliziotti sospesi.
Inna
Shevchenco ha parlato del termine “ateo” che nell’uso corrente
ha un’accezione negativa che limita la libertà di espressione
oltre a concedere spazio agli estremisti: così la legge omofobica in
Russia usa l’argomentazione che la propaganda gay può offendere la
sensibilità dei russi. Bisogna imporre il dibattito sulla laicità
riconoscendo che esistono anche gli atei e riconoscerne il valore
positivo. Analogamente Nadia
El-Fani
nel suo film inizialmente titolato Ni
Allah ni maître
(«Né Allah, né padroni», richiamo al motto anarchico Né
Dio, né Stato, né servi, né padroni)
e poi, dopo le minacce di morte cambiato in Laïcité,
Inch’Allah!
(«Laicità, se Dio vuole!») tocca un tema chiave dell’agenda
politica tunisina, cioè il riconoscimento di pieni diritti per i
fedeli di tutte le religioni ma anche per gli atei. La richiesta
fondamentale è la separazione tra diritto e religione per evitare,
come succede invece in Marocco, di essere arrestati se non si
rispetta pubblicamente il digiuno durante il Ramadan.
Trailer del film
https://www.youtube.com/watch?v=SDPz0UcaMVM