Cecilia
Dalla Negra, di Osservatorio
Iraq, ci ha parlato del
Forum Sociale mondiale che si è tenuto a Tunisi e, in particolare
dei settori da lei seguiti : libertà di espressione in Iraq e in
altri Paesi, di democrazia e del popolo tunisino dopo l'attentato al
museo del Bardo.
Ringraziamo
la giornalista per questo intervento.
Come
sempre ho partecipato al Forum di Tunisi come Osservatorio
Iraq, insieme
alla delegazione organizzata da “Un ponte per”: con noi c'era una
vastissima rappresentanza della società civile irachena, con cui
lavoriamo da tanti anni, che ha portato al Forum il suo punto di
vista sulla situazione del Paese oltre a illustrare le tante campagne
che porta avanti da anni per la protezione dell'ambiente, del
patrimonio culturale, per la libertà di espressione e per i diritti
delle donne. In particolare, ho seguito i lavori che riguardano la
libertà di stampa e di espressione e anche le inziative della
società civile davanti all'avanzata del terrorismo che è stato un
tema molto presente nel Forum, anche perchè da pochi giorni Tunisi
era stata colpita dall'attentato.
Ci
sarebbe dovuta essere un'assemblea di convergenza per redigere la
Carta dei movimenti sociali contro il terrorismo, ma su questo non si
è trovato un vasto consenso: la presa di posizione dei movimenti
sociali che si sono riuniti a Tunisi ha avuto, come momento di
denuncia di quanto è accaduto, la manifestazione di apertura del 24
marzo che come slogan aveva: “ Popoli del mondo uniti contro il
terrorismo”. Quel corteo ha espresso anche molti altri contenuti
perchè c'era la volontà, da parte del popolo tunisino, di ribadire
il proprio percorso per la costruzione della democrazia e, quindi, la
volontà di non far diventare questo attacco terroristico uno
strumento nelle mani del governo per restringere gli spazi di
democrazia per gli attivisti; molti attivisti lo temono perchè il
governo tunisino sta discutendo l'approvazione della nuova legge
antiterrorismo.
Per
quanto riguarda il Forum c'è stata una vastissima partecipazione: si
parla di circa 50.000 persone e oltre 4.000 organizzazioni
internazionali da tutto il mondo che non hanno fatto un passo
indietro rispetto al timore di nuovi attacchi. Il clima era molto
sereno e non c'è stata la militarizzazione che ci aspettavamo.
Moltissimo spazio, quest'anno, è stato dato ai temi del “climate
change” e, quindi, alla protezione dell'ambiente e lo slogan era:
“Cambiare il sistema, non cambiare il clima”, un tema declinato a
seconda di quelle che sono le priorità dell'area del Medioriente e
del Nord Africa.
Si
è parlato tantissimo di libertà civili, diritti e
autodeterminazione e non sono mancate alcune contraddizioni, nel
senso che la classica apertura a tutti i movimenti del Forum sociale
ha portato frizioni, ad esempio per quanto riguarda l'attuale assetto
della crisi siriana, tra giovani rivoluzionari e sostenitori del
regime, così come non sono mancati accesi dibattiti tra islamisti e
forze laiche.
Il
Forum si conferma, ancora una volta, un laboratorio sociale
importantissimo e un'occasione di incontro preziosissima: è stato
estremamente interessante vedere seduti attorno a un tavolo attivisti
iracheni, egiziani, tunisini che si confrontavano, dal loro punto di
vista, su come contrastare il fenomeno del terrorismo di matrice
islamica e l'avanzata di Daesh, non con risposte militari, ma
attraverso proposte di dialogo e di convivenza. Pur sostenendo e
condividendo la lotta della popolazione curda di di Kobane e
comprendendo il suo diritto a chiedere l'aiuto militare, la società
civile irachena vorrebbe affrontare alla radice le cause
dell'adesione all'estremismo islamico e, cioè: la mancanza di un
sistema di welfare, la scarsità di sistemi di educazione, il
problema dello stato sociale. La proposta è quella di lavorare sul
lungo periodo, sulla cultura, sull'accessibilità alle risorse,
costruendo piccoli tasselli di convivenza. In particolare, la società
civile chiede di smettere di credere alle rappresentazioni
mediatiche, soprattutto occidentali, che dipingono quello iracheno
come un conflitto settario o confessionale perchè l'Iraq è sempre
stato un mosaico di civilità, di religioni e di culture che hanno
convissuto in pace: le divisioni settarie, in realtà, sono state
importate dall'Occidente.
Ritornando
alla manifestazione del 24 marzo. La partecipazione internazionale è
stata molto in secondo piano, invece mi ha colpito come la piazza
fosse assolutamente tunisina e ci fosse un popolo molto determinato
nel tenere la testa alta e dire: “Noi non abbiamo paura”. Si
sfilava fino al Museo del Bardo, sotto una pioggia battente, ma la
gente diceva che non aveva paura perchè aveva abbattuto il muro
della paura nel 2011, facendo cadere la dittatura.