Si fa ancora confusione tra burqua, hijab, niquab e chador.
Il dibattito sull'uso del velo islamico è ancora aperta. E' una questione di scelta, di stile di vita e di modo di essere.
In Occidente il corpo della donna è esposto, mercificato, avvilito: basta guardare i programmi o gli spot televisivi, osservare i manifesti pubblicitari per le strade, le fotografie sulle riviste e - soprattutto per approfondire l'argomento da un punto di vista sociologico - leggere i saggi di Lorella Zanardo "Il corpo delle donne" e "Senza chiedere il permesso.Come cambiamo la Tv (e l'Italia)".
In Occidente si discute anche molto sul corpo velato o coperto delle donne di cultura e di fede islamica. Eppure bisogna ricordare che, fino a pochi anni fa, le donne cattoliche italiane si coprivano i capelli con un velo durante le cerimonie religiose per pudore e per non distrarre gli uomini dal raccoglimento.
Ma anche all'interno del mondo musulmano la questione è aperta: in alcuni Paesi è stato vietato l'uso del velo in nome di un nuova modernità, in altri è stato imposto in nome di una ferrea rivendicazione religiosa o culturale (Iran o Afghanistan). Facciamo alcuni esempi: in Turchia, nel 2006, un fanatico religioso uccide un giudice per aver vietato ad una donna l'uso del turban a scuola. Oggi il Premier, Recep Tayyp Erdpogan, ne ha concesso l'uso negli istituti scolastici - revocando il divieto di indossarlo finora in vigore - per le giovani donne che frequentano le scuole religiose e in tutti gli altri istituti durante le ore di religione; rimane, però, vietato nelle scuole pubbliche e private NON religiose durante le altre ore di lezione.
Sempre in Turchia, il Ministero della Gioventù e dello Sport di Ankara, nel dicembre scorso, ha deciso che le atlete professioniste potessero gareggiare con l'hijab in qualsiasi disciplina.
E ancora: lo scorso anno, la nazionale iraniana femminile di calcio non ha potuto scendere in campo - per la qualifica alle Olimpiadi 2012 - a causa del rifiuto delle giocatrici di scoprirsi il capo.
Per tornare in Europa: la politica francese strumentalizza la questione del velo per discriminare gli immigrati arabo-musulmani. Ma la laicità di una Repubblica prevede che le leggi sociali non dipendano dalla religione. E ogni donna , laica o praticante, deve avere il diritto di scelta su come esprimere la propria identità, con o senza velo.
Per approfondire l'argomento vi proponiamo il video, dal titolo La vita oltre il velo , tratto dal racconto di Lubna Ammoune. Il video fa parte di un progetto cinematografico dei registi Federico Micali e Yuri Parrettini per lettere italiene, the web series, produzione COSPE Onlus.
Il dibattito sull'uso del velo islamico è ancora aperta. E' una questione di scelta, di stile di vita e di modo di essere.
In Occidente il corpo della donna è esposto, mercificato, avvilito: basta guardare i programmi o gli spot televisivi, osservare i manifesti pubblicitari per le strade, le fotografie sulle riviste e - soprattutto per approfondire l'argomento da un punto di vista sociologico - leggere i saggi di Lorella Zanardo "Il corpo delle donne" e "Senza chiedere il permesso.Come cambiamo la Tv (e l'Italia)".
In Occidente si discute anche molto sul corpo velato o coperto delle donne di cultura e di fede islamica. Eppure bisogna ricordare che, fino a pochi anni fa, le donne cattoliche italiane si coprivano i capelli con un velo durante le cerimonie religiose per pudore e per non distrarre gli uomini dal raccoglimento.
Ma anche all'interno del mondo musulmano la questione è aperta: in alcuni Paesi è stato vietato l'uso del velo in nome di un nuova modernità, in altri è stato imposto in nome di una ferrea rivendicazione religiosa o culturale (Iran o Afghanistan). Facciamo alcuni esempi: in Turchia, nel 2006, un fanatico religioso uccide un giudice per aver vietato ad una donna l'uso del turban a scuola. Oggi il Premier, Recep Tayyp Erdpogan, ne ha concesso l'uso negli istituti scolastici - revocando il divieto di indossarlo finora in vigore - per le giovani donne che frequentano le scuole religiose e in tutti gli altri istituti durante le ore di religione; rimane, però, vietato nelle scuole pubbliche e private NON religiose durante le altre ore di lezione.
Sempre in Turchia, il Ministero della Gioventù e dello Sport di Ankara, nel dicembre scorso, ha deciso che le atlete professioniste potessero gareggiare con l'hijab in qualsiasi disciplina.
E ancora: lo scorso anno, la nazionale iraniana femminile di calcio non ha potuto scendere in campo - per la qualifica alle Olimpiadi 2012 - a causa del rifiuto delle giocatrici di scoprirsi il capo.
Per tornare in Europa: la politica francese strumentalizza la questione del velo per discriminare gli immigrati arabo-musulmani. Ma la laicità di una Repubblica prevede che le leggi sociali non dipendano dalla religione. E ogni donna , laica o praticante, deve avere il diritto di scelta su come esprimere la propria identità, con o senza velo.
Per approfondire l'argomento vi proponiamo il video, dal titolo La vita oltre il velo , tratto dal racconto di Lubna Ammoune. Il video fa parte di un progetto cinematografico dei registi Federico Micali e Yuri Parrettini per lettere italiene, the web series, produzione COSPE Onlus.