di
Monica Macchi
“L’isolamento
è l’unico modo che ho trovato per sfuggire al giogo della società.
E’
l’unica cosa che mi permette di avere uno spazio di espressione e
libertà”
Di
fronte allo stillicidio di una guerra quotidiana, alle macerie e
all’oppressione religiosa, l’artista Nidaa Badwan ha scelto di
vivere reclusa nella sua stanza a Dayr al-Balah, nel sud di Gaza, dal
dicembre 2013.
Laureata alla Facoltà di Belle Arti dell’Università Al-Aqsa ha
fatto dell’isolamento un progetto fotografico dal titolo “Cento
giorni di solitudine”, (esplicito omaggio a Gabriel García
Márquez), in mostra in questi giorni al Centro Culturale di
Ramallah. Sono quattordici autoritratti costruiti come nature morte
dai colori forti che ricordano la pittura fiamminga, una risposta
alla mostra
“Also this is Gaza” (Anche questo è Gaza), in cui aveva
presentato una testa di donna chiusa in un sacchetto di plastica,
metafora del soffocamento che già avvertiva. La foto ha attirato
l’attenzione di Anthony
Bruno, direttore dell'Istituto Francese di Gaza, che le ha
organizzato una mostra presso la Galleria di al-Hoash a Gerusalemme
Est. Ma le autorità israeliane non le concedono il visto come del
resto non gliel’hanno concesso neppure per la mostra a Ramallah: le
sue opere possono uscire da Gaza, lei no.