di
Stefano Rodotà (da
La Repubblica 22.07.2015)
La
decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo sui diritti da
riconoscere alle unioni tra persone dello stesso sesso, che già
suscita polemiche, era prevedibile per chi conosce la giurisprudenza
di quella Corte, la sua evoluzione, le novità introdotte proprio in
questa materia anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea.
Interviene
in un momento in cui la discussione si è fatta sempre più accesa
dopo l'annuncio del Presidente del Consiglio di arrivare prima delle
ferie parlamentari all'approvazione, almeno da parte di una delle
Camere, cli una legge in materia. Siamo di fronte ad un invito
esplicito al legislatore italiano, con indicazioni importanti e che
non possono essere trascurate. I giudici di Strasburgo hanno
esplicitamente ricordato le loro precedenti decisioni sul
riconoscimento delle unioni civili, sì che nessun potrà dirsi colto
cli sorpresa o invocare la necessità di un adeguato tempo di
riflessione. Su questo punto la sentenza è chiarissima.
I
silenzi del Governo, la totale disattenzione di fronte agli espliciti
inviti rivolti nel 2010 dalla Corte costituzionale e nel 2012 dalla
Corte di Cassazione, l'assoluta inazione del Parlamento hanno
determinato una grave violazione del diritto alla tutela della vita
privata e familiare, riconosciuto dall'articolo 8 della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo. E qui le parole dei giudici cli
Strasburgo si fanno sferzanti. L'assoluto disinteresse di Governo e
Parlamento per il gran lavoro fatto dalla magistratura italiana ha
finito con il rappresentare una sua inammissibile delegittimazione,
compromettendo il rispetto e l'effettività delle decisioni
giudiziarie (a proposito: la somma indifferenza di Governo e
Parlamento per l'elezione di tre giudici della Corte costituzionale
non è forse già diventata una forma di delegittimazione di questa
fondamentale e scomoda istituzione di garanzia?).
La
decisione della Corte non può essere facilmente aggirata, ed è bene
ricordare che essa è stata presa all'unanimità. Si dice e si
ribadisce che siamo di fronte a diritti dal cui effettivo
riconoscimento dipendono l'identità, la dignità sociale, la vita
stessa delle persone. In questi casi, la Corte lo sottolinea più
volte, il margine di discrezionalità del legislatore è ristretto.
Alle unioni stabili tra persone dello stesso sesso deve essere
assicurato un riconoscimento effettivo attraverso una "solenne
istituzione giuridica", unioni civili riconosciute o
partnerships registrate, che le sottraggano alla casualità e alla
inaffidabilità che caratterizzano oggi la situazione italiana.
L'esistenza non può essere affidata all'incertezza o a semplici
patti privati o a regole limitate agli aspetti patrimoniali del
rapporto. Siamo di fronte ad un "dovere positivo", che lo
Stato deve integralmente rispettare, soprattutto perché solo così
può essere cancellata una inammissibile discriminazione, fondata
com'è solo sull'orientamento sessuale.
Nelle
argomentazioni dei giudici di Strasburgo si coglie una particolare
attenzione per lo scarto crescente, e sempre più evidente, tra
dinamiche della realtà sociale e immobilità del diritto. La Corte
mette in evidenza che la maggioranza dei paesi aderenti al Consiglio
d'Europa, 23 su 47, hanno già disciplinato in forme adeguate unioni
tra le persone dello stesso segno, segno di una tendenza da
considerare ormai irreversibile. Così l'inaccettabilità della
situazione italiana diviene particolarmente evidente, il suo
protrarsi nel tempo è giudicato inammissibile, e questo spiega anche
la ragione per la quale alle coppie ricorrenti è stato riconosciuto
il diritto ad un risarcimento del danno che dovrà essere pagato
dallo Stato italiano. Nella sentenza viene anche citato un sondaggio
dal quale risulta che la maggioranza degli italiani è favorevole ad
una legge che riconosca le unioni tra persone dello stesso sesso.
Ma i
tempi non sono propizi né alle discussioni ragionate, né alla
consapevolezza della centralità del riconoscimento dei diritti
fondamentali. Già si sono manifestate reazioni scomposte, con
insolenze nei confronti dei giudici di Strasburgo che dimostrano ir
assenza di una cultura delle garanzie. Non consideriamole
manifestazioni folkloristiche, come troppe volte si è fatto in
passato, favorendo così la regressione culturale e politica. Ma più
preoccupanti devono essere considerati i tentativi di svuotare
dall'interno la riforma in discussione al Senato, nei quali si
riflette anche una rinnovata pretesa di valutare le leggi in primo
luogo secondo la morale cattolica, e non alla luce dei diritti delle
persone. La buona politica, se c'è ancora, può trovare in questa
sentenza di Strasburgo un forte sostegno. Il passo avanti, che la
sentenza impone, è significativo. Ma non è destinato a chiudere
definitivamente la questione.
Dal
mondo LGBT viene sempre più perentoria la richiesta di un
riconoscimento anche alle coppie di persone dello stesso sesso del
diritto a contrarre matrimonio. Di questo bisognerà discutere,
soprattutto dopo la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti
che ha imboccato decisamente questa strada. La Corte di Strasburgo ci
ha ricordato che qui la discrezionalità del legislatore nazionale è
più larga, perché solo 9 nazioni su 47 hanno accettato questa
linea. Ma si può prevedere che questi numeri cambieranno presto, sì
che le corti dovranno prendere atto della crescita di questo
consenso.
E ai
nostrani polemisti bisognerà pur ricordare che l'Italia ha firmato,
e il Parlamento ha votato, la Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea, il cui articolo 9 ha cancellato il requisito
della diversità di sesso per tutte le forme giuridiche di
costruzione di una famiglia.