Il
mio nome è Kurdistan (Villaggio
Macrì Edizioni) è
il lavoro del giornalista Lorenzo Giroffi: un diario di viaggio,
attraverso luoghi di guerre e controsensi, di confini labili e vite
incerte, che diventa testimonianza diretta di un popolo che lotta
per il riconoscimento della sua stessa esistenza e che ha dovuto
difendersi nei secoli per custodire la propria lingua e
cultura.
Paesaggi urbani pervasi dall’odore di petrolio e anonimato; piazze e mercati dove lampeggiano fuochi e aleggia profumo di chai; miscugli di lingue e bandiere che disegnano la storia controversa di chi rivendica allo stesso tempo autonomia e desiderio di protezione.
Nei frammenti di esistenza e di sguardi rubati con la telecamera, tra muri troppo alti e fili spinati che diventano parte integrante del paesaggio, si tenta di ricostruire un territorio impervio, stridente di paradossi e contraddizioni insanabili, dove le umiliazioni storiche hanno rafforzato la voglia di combattere per la propria identità, troppo spesso omessa, sussurrata sottovoce, insegnando ad alcuni a fare della lotta un’esigenza di vita.
Paesaggi urbani pervasi dall’odore di petrolio e anonimato; piazze e mercati dove lampeggiano fuochi e aleggia profumo di chai; miscugli di lingue e bandiere che disegnano la storia controversa di chi rivendica allo stesso tempo autonomia e desiderio di protezione.
Nei frammenti di esistenza e di sguardi rubati con la telecamera, tra muri troppo alti e fili spinati che diventano parte integrante del paesaggio, si tenta di ricostruire un territorio impervio, stridente di paradossi e contraddizioni insanabili, dove le umiliazioni storiche hanno rafforzato la voglia di combattere per la propria identità, troppo spesso omessa, sussurrata sottovoce, insegnando ad alcuni a fare della lotta un’esigenza di vita.
Abbiamo rivolto alcune domande a Lorenzo Giroffi che ringraziamo molto.
Una terra, quella del Kurdistan, ricca di contraddizioni. Puoi raccontarci quelle più evidenti?
Le contraddizioni sono tutte di natura politica. Se grossolanamente si mette assieme la gente che si sente curda, allora le tradizioni, il culto della montagna, del fuoco e dei canti possono essere comuni, mentre da un punto di vista dei rappresentanti politici, bene, si scopre un calderone di contraddizioni. Il Kurdistan è sparso in quattro regioni: Iraq, Turchia, Siria ed Iran. L’unica però zona, a parte gli esperimenti propositivi in atto nel Kurdistan siriano (Rojava), che sarebbe però meglio valutare col tempo necessario e non in uno scenario di guerra, che ha un suo parlamento autonomo e che lavora in quanto curdo è in Iraq. Infatti nella capitale del Kurdistan iracheno, ad Erbil, c’è anche il parlamento della regione autonoma curda. Il Pkk, partito curdo dei lavoratori, simbolo di una lunga lotta da parte di tutti i curdi residenti nella regione turca, con tanto di trattative, con il governo di Ankara, ha le sue basi di combattimento a Qandil, che si trova nel Kurdistan iracheno. Si potrebbe pensare dunque ad una sorta di asse tra quest’organizzazione ed i partiti curdi che gestiscono autonomamente l’area. Non è affatto così, a parte per i dissidi di tipo ideologico, anche per le alleanze transnazionali. Infatti le autorità politiche del Kurdistan iracheno hanno rapporti commerciali con la Turchia, che non è invece assolutamente interlocutrice con il Pkk, che si batte per i diritti dei curdi nell’area appunto turca.
Quali sono i punti di forza di questo Paese?
Considerando le differenze ormai connaturate delle quattro aree e che, dopo la prima guerra mondiale, è stata tradita la grande promessa di un unico Stato che potesse riunire le quattro regioni, pensare al Kurdistan in quanto Paese potrebbe risultare addirittura riduttivo. La forza resta il popolo, con tutte le sue lingue ed i suoi moti, che lo hanno portato a resistere, andando oltre le censure e la repressione. Parlare curdo è stato per anni proibito ed a livello istituzionale lo è ancora in Turchia, ma i canti e le poesie sono sempre rimaste un’abitudine. In Siria a molti curdi non veniva riconosciuta alcun tipo d’identità, non solo culturale, ma anche amministrativa: privi di carte d’identità, assistenza sanitaria e diritto all’istruzione. Oggi giorno il Kurdistan siriano (Rojava) sta dimostrando uno dei più discussi esempi di autogoverno. Anche in questo caso quindi il punto di forza è la resistenza.
Che forza ha il Kurdistan nello scenario attuale dell'area mediorientale?
Il Kurdistan in Medioriente oggi può essere l’evidenza del crollo del modello dello stato-nazione, proponendo qualcosa di inclusivo, che possa andare oltre i nazionalismi che abbiamo conosciuto. Il Pkk (partito curdo dei lavoratori) non lotta più per la creazione di uno Stato curdo, perché loro stessi, come mi hanno raccontato durante le interviste del libro, si stanno spendendo per l’unione di tutti i popoli del medioriente, così che questi possano lottare contro modelli oppressivi. Queste dunque le novità e la forza: non un unione di Stati, come l’Europa insegna, ma una vera unione dei popoli.
Quali sono gli elementi importanti dell'identità curda?
La bellezza è tutta nei simboli del fuoco, attorno al quale riunirsi e festeggiare, magari il capodanno o un incontro, e soprattutto la montagna, presente in tutte le fiabe curde, ma anche nei sogni di lotta, in cui imparare la resistenza ed il cambiamento.
Terminiamo con un ricordo di questo "diario di viaggio”...
Il ricordo è legato tutto all’ammirazione per chi fa dell’ideologia un respiro quotidiano. La lotta curda non è solo armata, è fatta soprattutto da studio, dalla voglia di cambiare pure i paradigmi passati con cui è iniziata, riconsiderando ad esempio il ruolo della donna. Andare a Qandil mi ha rivelato come l’addestramento militare ed il suo sacrificio, con tanto di rinunce, come ad esempio ad una libera vita sessuale, sia solo un pezzo di una vita vissuta assieme ad un ideale, che non è solo da discutere, ma appunto da macinare.
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