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lunedì 7 dicembre 2015

L’Ufficio della Schiavitù Sessuale



di Eve Ensler (da La Repubblica)

A Yanar e alle mie sorelle in Iraq e in Siria



Penso al listino del mercato delle schiave sessuali dell’ISIS in cui donne e bambine sono prezzate come il bestiame.
L’ISIS ha dovuto calmierare i prezzi per timore di un calo del mercato: 40 dollari per le donne tra i 40 e i 50 anni, 69 dollari per le trenta-quarantenni, 86 per le venti-trentenni fino a 172 per le bimbe da 1 a 9 anni. Le ultracinquantenni non compaiono neppure in lista, considerate prive di valore di mercato. Vengono gettate via come i cartoni di latte scaduti. Ma non ci si limita ad abbandonarle in qualche fetida discarica.
Prima probabilmente vengono torturate, decapitate, stuprate, poi gettate su un cumulo di cadaveri in putrefazione.
Penso al corpicino in vendita di una bambina di un anno, a un soldato trentenne corpulento, affamato di guerra e di sesso che la compra, la incarta e se la porta a casa, come un televisore nuovo. Cosa proverà o penserà scartando quella carne bambina e stuprandola con un pene delle dimensioni del suo corpicino? Penso che nel 2015 sono qui a leggere un manuale online sul modo corretto di praticare la schiavitù sessuale, con tanto di istruzioni e regole puntigliose su come trattare la propria schiava, pubblicato da un’istituzione molto ben organizzata(l’Ufficio della schiavitù sessuale) di un governo canaglia, incaricata senza alcun imbarazzo di regolamentare gli stupri, le percosse, l’acquisto e la riduzione in schiavitù delle donne. 
Cito qualche esempio tratto dal manuale: "E’ permesso percuotere la schiava come [forma di ] darb ta'deeb [percosse disciplinari], [ma ] è vietato [ricorrere alle ] darb al-takseer [letteralmente percosse massacranti], [darb] al-tashaffi [percosse allo scopo di ottenere gratificazione], oppure [darb] al-ta'dheeb [percosse come tortura]. Inoltre è proibito colpire al volto. "
Mi chiedo come facciano i burocrati dell’ISIS a distinguere i pugni, i calci e lo strangolamento inflitti a scopi disciplinari dagli atti mirati alla gratificazione sessuale. Ogniqualvolta una schiava verrà picchiata interverrà una squadra a verificare se c’è erezione?
E come faranno a stabilire cosa esattamente l’ha provocata? Certi uomini si eccitano soltanto nel momento in cui affermano il proprio potere.
E se verrà stabilito che il soldato picchia, strangola e prende a calci la sua schiava per puro piacere, in che modo sarà punito?
Lo costringeranno a restituire la schiava perdendo il deposito, a pagare una multa salata, o semplicemente dovrà pregare di più?
Penso alla facilità con cui si considera l’ISIS una mostruosa aberrazione quando in realtà è l’esito di una lunga serie ininterrotta di crimini e disordini. Le atrocità sessuali inflitte dall’ISIS si differenziano solo nella forma e nella prassi da quelle perpetrate da molti altri signori della guerra in altri conflitti. Sconvolgente e nuovo è lo sfoggio sfrontato e impudente che si fa questi crimini pubblicizzati su internet, lo sdoganamento commerciale di queste atrocità, le app in cui il sesso è usato come mezzo di reclutamento. Le azioni e la rapida proliferazione dell’ISIS non nascono dal nulla, sono frutto di un’escalation legittimata da secoli di impunità della violenza sessuale dilagante .
Mi vengono in mente le Comfort women, le prime schiave sessuali dell’era moderna, giovani donne asiatiche rapite nel fiore degli anni dall’esercito imperiale giapponese durante la seconda guerra mondiale e detenute nelle ‘stazioni di conforto’, per soddisfare le esigenze sessuali dei sodati al servizio del loro paese.
Le donne subivano anche 70 stupri al giorno. Quando, esauste, non riuscivano più a muoversi, venivano incatenate al letto e stuprate ancora come sacchi molli. A queste donne la vergogna ha tappato la bocca per quarantacinque anni e per altri venticinque hanno marciato e atteso, vigili, sotto la pioggia, chiedendo giustizia. 
Sono rimaste in poche ormai e non più tardi di un mese fa il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha perso l’ennesima occasione di fare ammenda. Penso all’inerzia, al silenzio, alla paralisi che ha bloccato e impedito le indagini e l’incriminazione nei casi di abuso sessuale ai danni delle donne musulmane, croate e serbe stuprate nei campi dell’ex Yugoslavia, delle donne e delle bambine afroamericane stuprate nelle piantagioni del Sud, delle donne e delle bambine ebree stuprate nei campi di concentramento tedeschi, delle donne e delle bambine native americane stuprate nelle riserve degli Stati Uniti. Ascolto le urla delle anime in pena delle donne e delle bambine violate in Bangladesh, Sri Lanka, Haiti, Guatemala, Filippine, Sudan, Cecenia, Nigeria, Colombia, Nepal e la lista si allunga.
Penso agli ultimi otto anni che ho trascorso nella Repubblica Democratica del Congo dove un’analoga conflagrazione di capitalismo rapace, secoli di colonialismo, guerra e violenza senza fine ha lasciato migliaia di donne e bambine prive di organi, salute mentale, famiglia o futuro.
E penso che lo stupro ormai sia un’azione reiterata. 
Penso che scrivo queste cose da vent’anni.
Ho provato a farlo con i numeri e con distacco, con passione e suppliche, con disperazione esistenziale e anche adesso, scrivendo, mi chiedo se abbiamo creato un linguaggio adatto a questo secolo che sia più potente del pianto. 
Penso che le istituzioni patriarcali non hanno saputo intervenire in maniera efficace e che le strutture come L’ONU amplificano il problema nel momento in cui le forze di pacekeeping che dovrebbero proteggere le donne e le bambine si macchiano a loro volta di stupri. 
Penso all’operazione Shock and Awe (colpisci e terrorizza)e a come ha contribuito a scatenare questa, che potremmo definire Stupra e decapita.
Quando noi cittadini, a milioni, in tutto il mondo, manifestavamo contro la guerra inutile e immorale in Iraq restando inascoltati , eravamo perfettamente consapevoli del dolore, dell’umiliazione e dell’oscurità che avrebbero generato quei letali 3000 missili Tomahawk americani. 
Penso al fondamentalismo religioso a Dio padre, a quante donne sono state stuprate in suo nome , a quante massacrate e assassinate.
Penso al concetto di stupro come preghiera e alla teologia dello stupro, alla religione dello stupro.
Penso che è una delle maggiori religioni mondiali, in crescita con centinaia di conversioni al giorno, dato che un miliardo di donne nella sua vita subirà percosse o uno stupro (dati ONU). Penso alla velocità folle a cui si moltiplicano nuovi e grotteschi metodi per mercificare e profanare i corpi delle donne in un sistema in cui ciò che più è vivo, sia esso la terra o le donne, deve essere ridotto a oggetto e annichilito per aumentare i consumi, la crescita e l’amnesia. Penso alle migliaia di giovani occidentali, uomini e donne, tra i 15 e i 20 anni, che si sono arruolati nell’ISIS.
In cerca di cosa, in fuga da cosa? Povertà, alienazione, islamofobia, desiderio di avere un senso e un obiettivo? Penso a quello che mi ha detto mia sorella, attivista, in una conversazione su Skype da Baghdad questa settimana: “L’Isis è un virus e l’unica cosa da fare con i virus è sterminarli.” Mi chiedo come si stermina una mentalità, come si bombarda un paradigma, come si fanno saltare la misoginia, il capitalismo, l’imperialismo e il fondamentalismo religioso. Penso, o forse non riesco a pensare, prigioniera come sono della confusione mentale imperante in questo secolo. Sono consapevole da un lato che l’unico modo per andare avanti è riscrivere da zero la storia attuale, procedere a un esame collettivo approfondito e ponderato delle cause che stanno alla base delle varie violenze in tutte le loro componenti economiche, psicologiche, razziali, patriarcali, che richiedono tempo e contemporaneamente so che, in questo preciso istante, tremila donne yazide subiscono percosse, stupri e torture. 
Penso alle donne, alle migliaia di donne che in tutto il mondo hanno operato senza pausa per anni e anni, esaurendo ogni fibra del loro essere per denunciare lo stupro, per porre fine a questa patologia di violenza e odio nei nostri confronti , e la razionalità , la pazienza, l’empatia, la mole della ricerca, le cifre che mostriamo, le sopravvissute che curiamo, le storie che ascoltiamo, le figlie che seppelliamo, il cancro di cui ci ammaliamo non contano, la guerra contro di noi infuria ogni giorno più metodica, più sfacciata, brutale, psicotica.
Penso che L’ISIS come l’aumento del livello dei mari, lo scioglimento dei ghiacciai, le temperature assassine sia forse il segnale che per le donne si approssima lo scontro finale. E’ giunta l’ora in cui secoli eterni di rabbia femminile si fondano in un’ impetuosa forza vulcanica, scatenando la furia globale della vagina delle divinità femminili Kali, Oya, Pele, Mama Wati, Hera, Durga, Inanna e Ixchel, lasciando che sia la nostra ira a guidarci. Penso alla cantante folk yazida Xate Zhangali che dopo aver visto le teste delle sue sorelle penzolare dai pali nella piazza del suo villaggio ha chiesto al governo curdo di armare e addestrare le donne e alle Sun Girls, la milizia femminile da lei creata, che combatte l’ISIS sulle montagne del Sinjar. E in questo momento, dopo anni di attivismo contro la violenza, sogno che migliaia di casse di ak47, cadano dal cielo sui villaggi, i centri, le fattorie e le terre delle donne, questi guerrieri con il seno che insorgono combattendo per la vita. Sono arrivata così a pensare all’amore, a come il fallimento di questo secolo sia un fallimento dell’amore.
Cosa siamo chiamati a fare, di che cosa siamo fatti tutti noi che siamo in vita su questo pianeta oggi.
Che tipo di amore serve, quanto deve essere profondo, intenso e bruciante. Non un amore ingenuo sentimentale neoliberale, ma un amore ossessivamente altruista.
Un amore che sconfigga i sistemi basati sullo sfruttamento di molti a vantaggio di pochi.
Un amore che trasformi il nostro disgusto passivo di fronte ai crimini contro le donne e l’umanità in una resistenza collettiva inarrestabile.
Un amore che veneri il mistero e dissolva la gerarchia.
Un amore che trovi valore nella connessione e non nella competizione tra noi.
Un amore che ci faccia aprire le braccia ai profughi in fuga invece di costruire muri per tenerli fuori, bersagliarli con i lacrimogeni o rimuovere i loro colpi enfiati dalle nostre spiagge.
Un amore che bruci di fiamma viva tanto da pervadere il nostro torpore, squagliare i nostri muri, accendere la nostra immaginazione e motivarci a uscire infine, liberi, da questa storia di morte.
Un amore che ci dia la scossa, spingendoci a dare la nostra vita per la vita, se necessario.
Chi saranno i coraggiosi, furibondi, visionari autori del nostro manuale di amore rivoluzionario?





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domenica 8 novembre 2015

L'Uguaglianza passa dalle donne



A questo link potete trovare un video di Malala Yousafzai la giovane attivista pakistana, vincitrice del Premio Nobel per la pace, nota per il suo impegno per l'affermazione dei diritti civili e per il diritto all'istruzione — bandito da un editto dei talebani — delle donne della città di Mingora, nella valle dello Swat.


In questa sua dichiarazione Malala parla anche di femminismo.








domenica 11 ottobre 2015

Roosh V e la legalizzazione dello stupro





Mentre tornavo a casa, ho capito quanto lei fosse ubriaca,

ma non posso dire che mi interessasse o che io abbia esitato….

l’unica cosa che mi interessa è fare sesso”

 

 
Roosh V (nome d’arte di Daryush Valizadeh) è uno scrittore che si autodefinisce “antifemminista” e che ha recentemente lanciato una proposta di legge per legalizzare lo stupro “se fatto in una proprietà privata”. Secondo questa brillante idea “le donne smetterebbero di seguire strani sconosciuti nelle loro case e gli uomini non sarebbero ingiustamente incarcerati”.



Ebbene i suoi libri (tra cui spiccano la “Bibbia” che insegna a rimorchiare le ragazze durante il giorno e un manuale che insegna come portarsi a letto le ragazze polacche… ma ci sono anche le varianti per le ukraine, le lituane e le estoni) vengono contestati negli USA ma sono in vendita su Amazon: la scorsa settimana è stata lanciata da Caroline Charles una petizione su change.org per chiedere a Jeff Bezos – CEO di Amazon – il ritiro immediato dei libri per garantire che nessuno tragga profitti dallo stupro.


Ecco il link per firmare:





lunedì 17 agosto 2015

Uomini e donne: una relazione costruttiva è possibile




Eccovi l'interessantissimo incontro con la giornalista e scrittrice Monica Lanfranco organizzato dall'Associazione per i Diritti Umani per la nostra manifestazione "D(i)RITTI al CENTRO!".
Si parla di violenza contro le donne, relazioni di genere, sesso e virilità e di molto altro, partendo dal saggio "Uomini che (odiano) amano le donne" per MAREA edizioni.



martedì 2 giugno 2015

IN – SEGNARE: donne insegnanti, donne maestre di vita



    

Tra pochi giorni si apre il seminario dal titolo IN – SEGNARE, a cura dell'Officina dei saperi Femministi e della rivista Marea. Il seminario si terrà dal 12 al 14 giugno 2015, a Caranzano (AL). 





Nella scuola da sempre sono le donne a insegnare, in maggioranza nei livelli di base, meno nell’accademia e con meno potere degli uomini, anche se lentamente cominciano nelle università a entrare i gender studies e ad affermarsi carriere femminili .


Nel nostro seminario siamo chiamate a interrogarci sulla responsabilità e capacità che abbiamo come attiviste, formatrici, insegnanti, genitrici, donne e uomini adulte nel far passare il segno del cambiamento, nell’in-segnare la libertà, l’autodeterminazione, il pensiero critico e le pratiche del femminismo.



Lo proveremo a fare condividendo parole, pensieri, pratiche: faremo laboratori, momenti di gioco, sperimentazione, con video e testi a disposizione.

Tutte le info e il programma su
www.altradimora.it .
     

sabato 25 aprile 2015

Freedom, Equality, Secularism: ecco la nostra cultura



di Monica Macchi


Per celebrare i 20 anni di Marea, “rivista femminista”, è stato organizzato a Genova un seminario pubblico sulla laicità come arma per lottare contro tutti i fondamentalismi che si basano sull’asse patriarcato-uso politico della religione. Sono intervenute Marieme Helie Lucas (sociologa algerina fondatrice della rete Wluml, Women Living Under Muslim Laws), Nadia Al Fani (regista tunisina di “Laicitè, inshallah”), Maryam Namazie (iraniana fondatrice di One law for all) e Inna Shevchenco (leader ucraina di Femen).








Marieme Helie Lucas ha posto l’accento su due fenomeni contigui ma non esattamente sovrapponibili cioè la crescita dell’estrema destra xenofoba e dell’estrema destra religiosa dove Islam e Cristianesimo hanno gli stessi valori e le stesse rivendicazioni (come dimostrato ad esempio alla conferenza di Rio+20 quando l’OIC-Organizzazione per la Cooperazione Islamica e la Santa Sede si sono alleati contro il paragrafo 244 sui diritti di riproduzione). Spesso le forze progressiste in Europa giustificano il fondamentalismo islamico dicendo che “bisogna rispettare la loro cultura” ma non esiste un’unica cultura musulmana ed inoltre cultura e religione non sono sinonimi: per questo bisogna decidere con chi dialogare. E’ un suicidio politico lasciare che le risposte della destra estrema siano le uniche risposte possibili anche perché c’è il rischio di abbandonare la nozione di universalismo e cittadinanza per approdare al comunalismo dove i diritti diversi in base alla comunità di appartenenza: solo la laicità può dunque garantire democrazia ed uguaglianza di fronte alla legge. Inoltre la sinistra deve capire di sostenere le forze progressiste perché solo insieme possiamo cambiare la narrazione sulle donne: così l’intervento di Maryam Namazie si è incentrato sulla vicenda di Farkhondeh accusata di aver bruciato il Corano e per questo aggredita e lapidata a Kabul da una folla inferocita. Ebbene in Occidente si è parlato pochissimo di questa storia ma ancor meno della resistenza delle donne che dopo aver protestato hanno portato a spalle la bara in modo che nessun altro uomo la toccasse, hanno marciato intorno alla bara, hanno intonato canti e quando il Mullah che ha giustificato l’omicidio ha intonato la preghiera gli hanno impedito di avvicinarsi e l’hanno costretto ad andarsene. Ma la resistenza delle donne ha avuto altri risultati, ad esempio suo fratello Najibullah ha preso come secondo nome Farkhondeh; le è stata intitolata la strada in cui è stata uccisa e ci sono stati 28 arrestati e 13 poliziotti sospesi.




Inna Shevchenco ha parlato del termine “ateo” che nell’uso corrente ha un’accezione negativa che limita la libertà di espressione oltre a concedere spazio agli estremisti: così la legge omofobica in Russia usa l’argomentazione che la propaganda gay può offendere la sensibilità dei russi. Bisogna imporre il dibattito sulla laicità riconoscendo che esistono anche gli atei e riconoscerne il valore positivo. Analogamente Nadia El-Fani nel suo film inizialmente titolato Ni Allah ni maître («Né Allah, né padroni», richiamo al motto anarchico Né Dio, né Stato, né servi, né padroni) e poi, dopo le minacce di morte cambiato in Laïcité, Inch’Allah! («Laicità, se Dio vuole!») tocca un tema chiave dell’agenda politica tunisina, cioè il riconoscimento di pieni diritti per i fedeli di tutte le religioni ma anche per gli atei. La richiesta fondamentale è la separazione tra diritto e religione per evitare, come succede invece in Marocco, di essere arrestati se non si rispetta pubblicamente il digiuno durante il Ramadan.

Trailer del film https://www.youtube.com/watch?v=SDPz0UcaMVM

domenica 19 aprile 2015

Uomini e donne: la violenza, le pari opportunità. Parla Monica Lanfranco



Nell'ambito della manifestazione “D(i)RITTI al CENTRO!” abbiamo avuto il piacere di ospitare la giornalista e scrittrice Monica Lanfranco con la quale abbiamo parlato di violenza sulle donne, di relazioni di genere, di società e di molto altro, partendo dal saggio intitolato Uomini che (odiano) amano le donne, edito da Marea.



Vi proponiamo il video dell'interessantissimo incontro e ringraziamo Monica Lanfranco e il Centro Asteria.






Ricordiamo che i video di tutte le nostre iniziative sono anche disponbili sul canale YOUTUBE dell'Associazione per i Diritti Umani e che organizziamo questi incontri con gli autori e gli esperti di materia anche per le scuole medie inferiori / superiori e per le università.



Potete scriverci alla mail: peridirittiumani.com oppure consultare il sito: www.peridirittiumani.com

sabato 14 marzo 2015

Vent'anni di Marea: la rivista che dà voce alle donne


VENTI

Vent’anni di MAREA

rivista femminista dal 1994

18-28 marzo 2015 Palazzo Ducale Genova – LA MOSTRA E GLI EVENTI



La rivista Marea compie 20 anni.

Nata nel 1994 come trimestrale con una redazione genovese, senza remore nel dichiararsi apertamente femminista, nel tempo si è trasformata con lo sviluppo delle tecnologie informatiche, seguendo il corso della storia delle donne nel nostro paese e nel mondo.



Una rivista "per dire lo stare al mondo delle donne", scegliendo per ogni numero una parola chiave sulla quale impostare un percorso tematico di riflessione, ma con una rubrica dedicata a firma di autori maschi, che ha previlegiato la forma saggistica dedicando però per 9 anni l’ultimo numero a un concorso letterario, e dal 2009, ad una agenda da usare tutto l’anno.



Marea ha promosso e organizzato iniziative ed eventi che hanno portato a Genova e in Italia donne e uomini di cultura, scrittrici, scienziate, attiviste nei movimenti ecologisti, anti - liberisti, anti - fondamentalisti, per la laicità e i diritti delle donne nel mondo; nel 2001 ha organizzato il primo evento femminista sulla globalizzazione, PuntoG-Genova, genere, globalizzazione, a cui è seguito il decennale. In questi anni sono state coinvolte reti nazionali e internazionali quali le Donne in nero, la Marcia mondiale delle donne, One law for all, Secularism is a women issue, Women living under muslim laws.



Marea ha vissuto 20 anni nei quali ha provato a cogliere ciò che era nell'aria, muoveva le coscienze e le menti in sintonia e/o in contrasto con le trasformazioni sociali e politiche che ci hanno attraversate.



Marea celebra questo compleanno con una mostra di 10 giorni, a Palazzo Ducale a Genova dal 18 al 28 marzo 2015: saranno esposti i numeri della rivista, i prodotti editoriali, audio e video pubblicati, i manifesti e locandine a testimoniare le iniziative promosse e alle quali Marea ha partecipato, la radio web www.radiodelledonne.org con le interviste e le registrazioni degli eventi più significativi, oltre all’attività di formazione seminariale effettuata ad Altradimora, il centro di formazione e di incontri attivo dal 2008 www.altradimora.it



Nei 10 giorni di festa, di mostra e di incontri inviteremo, nello stile che ci contraddistingue, testimonials e protagoniste del mondo della cultura, della politica e della società perché siamo interessate a guardare avanti, pur con i piedi ben radicati nel nostro passato, per stimolare curiosità, attenzione, informazione e riflessioni su temi decisamente attuali.





MAGGIORI APPROFONDIMENTI AL SITO www.mareaonline.it

domenica 22 febbraio 2015

Violenza contro le donne e la rieducazione ai sentimenti




L'Associazione per i Diritti Umani

in collaborazione con il Centro Asteria

PRESENTA



DIRITTI AL CENTRO:
UOMINI CHE ODIANO (AMANO) LE DONNE



Alla presenza di MONICA LANFRANCO (giornalista e scrittrice)



LUNEDI 9 MARZO



ORE 18.30

presso



CENTRO ASTERIA

Piazza Carrara 17.1, ang. Via G. Da Cermenate (MM Romolo, Famagosta)



L’Associazione per i Diritti Umani presenta il terzo appuntamento della serie di incontri dal titolo “DiRITTI AL CENTRO”, che affronta, attraverso incontri con autori, registi ed esperti, temi che spaziano dal lavoro, diritti delle donne in Italia e all’estero, minori, carceri, immigrazione...

In ogni incontro l’Associazione per i Diritti Umani attraverso la sua vicepresidente Alessandra Montesanto, saggista e formatrice, vuole dar voce ad uno o più esperti della tematica trattata e, attraverso uno scambio, anche con il pubblico, vuole dare degli spunti di riflessione sull’attualità e più in generale sui grandi temi dei giorni nostri.



In questo incontro dal titolo “Uomini che odiano (amano) le donne” di Monica Lanfranco, per Marea Edizioni, affronteremo il tema della violenza contro le donne: un'analisi del fenomeno anche dal punto di vista maschile. Si parlerà di femminismo e di emancipazione in Italia e all'estero, di percorsi psicoterapeutici, dell'importanza di una rete sociale e molto altro.



IL LIBRO:

Tutto comincia con un viaggio in treno e un articolo di Internazionale: la giornalista inglese Laurie Penny, (collaboratrice del Guardian) racconta di aver provato a fare alcune domande rivolte agli uomini sulla loro sessualità, chiedendo ai suoi contatti maschili, in forma anonima, se avessero avuto voglia di rispondere.
Le domande: 1) Che cosa è per te la sessualità? 2) Pensi che la violenza sia una componente della sessualità maschile più che di quella femminile? 3) Cosa provi quando leggi di uomini che violentano le donne? 4) Ti senti coinvolto, e come, quando si parla di calo del desiderio? 5) Essere virile: che significa? 6) La pornografia influisce, e come, sulla tua sessualità?

Per una volta, invece che parole di donne sulla sessualità e la violenza, si è chiesto agli uomini di esporsi, di mettersi in relazione, di soffermarsi a pensare su di loro, il loro corpo, il loro desiderio, i lati oscuri del loro genere.
Uomini che odiano amano le donne è il risultato del lavoro di raccolta e sistemazione delle oltre 200 risposte arrivate, ma non solo: è la testimonianza dell’esistenza di voci di uomini connotate da curiosità, voglia di capire e comunicare. L’intento del testo è di restituire questa interlocuzione, e di offrire a chi legge parole e riflessioni maschili su virilità, sesso, violenza, pornografia, desiderio.


L' AUTRICE

Giornalista, attivista femminista e formatrice sui temi della differenza di genere e sul conflitto.




 
 

sabato 14 febbraio 2015

Uomini che odiano (amano) le donne





Il nuovo libro di Monica Lanfranco dà la parola agli uomini per indagare, ancora più a fondo, quali sono le radici e i motivi di tanta violenza nei confronti delle donne.






L'Associazione per i Diritti Umani ha rivolto alcune domande all'autrice e giornalista e vi ricorda che sarà possibile dialogare con lei in occasione dell'incontro che si svolgerà: lunedì 9 MARZO, alle ore 18.30, presso il Centro Asteria, in Piazza Carrara 17.1 Milano



Ringraziamo molto Monica Lanfranco.





L'idea del libro nasce da sei domande che ha posto ad alcuni uomini: come hanno reagito alle sue sollecitazioni?



Avevo chiesto espressamente che chi desiderava rispondere scrivesse alla mia e-mail. Online ci sono state più di mille risposte e molte negative: si passava dal dileggio all'insulto diretto, dato che nella mia presentazione dicevo di essere giornalista, formatrice e femminista. La parola “femminista” in Italia, in Europa è una parolaccia e ha scatenato reazioni che mi hanno molto turbata.

Alcuni, invece, hanno risposto alle domande, forse per attirare l'attenzione, mentre per altri era un bisogno e queste reazioni sono state il motore che ha messo in moto il desiderio di renderle pubbliche perchè, dalle frasi più piccole fino ai flussi di coscienza, mi hanno molto emozionata. Le domande più cogenti rispetto ai problemi che ci sono nella realzione uomo-donna, cioè la violenza manifesta e occulta, venivano indagate e questo ha dato origine al libro.



Quali risposte sono state date alle domande sul rapporto tra violenza e sessualità?



Non sono state risposte inaspettate: entrando da molti anni nelle scuole e facendo iniziative pubbliche, emerge una verità di fondo rispetto alla percezione della violenza: il grande problema è la difficoltà, se non il rifiuto, di riconoscerla, per cui alcuni comportamenti non vengono proprio rubricati come violenza ma, da parte degli uomini in particolare, c'è una presa di distanza che va sotto la denominazione “Io non ne faccio, la fanno gli altri” e sono quasi sempre gli stranieri. Pochissimi annoverano la possibilità della violenza dentro di sé.

A differenza delle donne che hanno fatto un percorso nel femminismo, gli uomini non hanno fatto questo percorso di presa di coscienza; per questo c'è ancora una cultura patriarcale e gli uomini non si assumono la responsabilità di appartenenza al genere maschile.



Gli uomini hanno bisogno di una rieducazione affettiva? Uomini e donne possono intraprendere insieme un percorso che li riavvicini?



Credo che ci sia bisogno di una educazione ai sentimenti e all'affettività così come un'educazione antisessista che riconosca le matrici profonde sociali, culturali e umane che portano il sessismo ad essere la prima forma di violenza.

La violenza contro le donne è un problema globale, ma si può contrastare fin dall'inizio: segnalo l'ultima parte del bel documentario “Giulia ha picchiato Filippo” che racconta la storia narrata dalle donne ospiti di un centro contro la violenza e, negli ultimi dieci minuti, si racconta come nasce la stereotipizzazione delle femmine e dei maschi: un bimbo picchia una bambina e la bambina viene colta nel momento in cui si sta difendendo e diventa lei la carnefice...Il racconto è il racconto della matrice di questa situazione: la famiglia, quella madre e quel padre, quel non voler vedere, quel cominciare a dire subito “Tu sei una femmina e quelle cose non le fai, tu sei un maschio e alcune cose le puoi fare”.

C'è, inoltre, molto bisogno di una cultura di base che coinvolga uomini e donne in un riavvicinamento legato all'abbassamento della febbre che percorre il pianeta, la febbre della guerra fatta alle donne; è necessario, quindi, reimpostare il dialogo tra i generi perchè un mondo violento per la metà di chi lo abita, è un mondo violento per tutti.