giovedì 7 novembre 2013

Gabriele Del Grande: la situazione in Siria, oggi



Abbiamo intervistato per voi il giornalista reporter Gabriele Del Grande, da poco rientrato dalla Siria, che ci aiuta a capire una situazione complessa e ad approfondire temi poco considerati dalla stampa italiana.



In che periodo sei stato in Siria e per quanto tempo?

Dovrei prima specificare in quale Siria. Perché ne esistono almeno tre tipi. C’è una Siria in mano al regime, una Siria in mano alle forze armate dell’opposizione, e una in mano alle milizie di Al Qaeda. Io ho visitato la seconda. Sono entrato dalla frontiera turca di Kilis e ho trascorso dieci giorni consecutivi ad Aleppo, nel Settembre 2013. Questo è stato il mio quinto ingresso in Siria nell’ultimo anno. Anche le precedenti volte avevo visitato le regioni del nord in mano all’opposizione, sia nella provincia di Aleppo che nella provincia di Idlib.

Qual è la prima cosa da dire nel raccontare la Siria oggi?

Il primo pensiero va alle condizioni davvero drammatiche in cui sono ridotti a vivere i civili. Il secondo pensiero va al progressivo aggravarsi della situazione sul terreno. Le formazioni islamiste più vicine ad Al Qaeda infatti, notoriamente lo Stato Islamico in Iraq e nel Levante (Isil), hanno dichiarato guerra alle forze moderate dell’Esercito siriano libero nonché alle milizie curde del Pyd, il ramo siriano del Pkk di Ocalan. Il risultato è un clima di guerra civile nel nord, dove il regime è soltanto uno dei nemici, uno dei signori della guerra... Ovviamente il regime è il principale beneficiario di questo fronte interno all’opposizione. E infatti ne sta uscendo rafforzato militarmente, oltre che riabilitato a livello internazionale per aver rispettato l’accordo voluto dai russi sulla distruzione delle armi chimiche. L’opposizione invece ha perso ogni credibilità a livello internazionale, è sempre più divisa e non riesce di fatto a controllare le forze armate sul terreno. Non solo, lo stallo internazionale ha di fatto ridotto in minoranza le forze democratiche dell’Esercito libero, che oggi non sono nemmeno più in grado di evitare episodi efferati come i massacri settari compiuti dalle milizie islamiste lo scorso agosto nei villaggi alawiti della regione costiera, come denunciato da Human Rights Watch.

In che condizioni vivono le persone che sono rimaste nel Paese?

Aleppo è una città sottoposta a bombardamenti aerei da più di un anno. Ogni giorno muoiono civili sotto il fuoco dei cecchini e dell’artiglieria. E la gente rimasta convive con questa situazione. Si sono abituati all’idea di poter morire in qualsiasi momento. La morte è diventato quanto di più banale si possa immaginare. Ciononostante la vita va avanti, è più forte di tutto, ci si sposa, si fanno figli, si aprono le scuole… come ho provato a raccontare nei miei diari da Aleppo.

Si può parlare, secondo te, di “laicità” in relazione alla rivoluzione siriana?

Sicuramente l’insurrezione siriana è stata un fenomeno popolare, spontaneo, di massa, apartitico e areligioso e soprattutto nonviolento, nei primi sei mesi di manifestazioni, dal marzo all’agosto del 2011. In piazza c’erano sunniti e cristiani, alawiti e druzi, arabi e curdi… E le rivendicazioni erano politiche, le parole dette afferivano al vocabolario della giustizia, della lotta, non ai libri sacri. Con la guerra ovviamente molte cose sono cambiate. E di quel movimento civile non restano che le ceneri. Ormai parlano le armi e dicono le parole dei loro finanziatori, che sono prima di tutto le petromonarchie del Golfo. Voglio dire che le principali forze dell’Esercito libero hanno un’agenda islamista, seppure moderata. Voglio dire che la guerra è sempre più una guerra settaria. Voglio dire che la presenza di Al Qaeda è ormai fuori controllo e si è rivolta contro le stesse forze islamiste moderate dell’Esercito libero.

Puoi farci un'analisi della questione migratoria alla luce degli ultimi naufragi e dell'arrivo dei profughi siriani in Italia?

Qualche cifra può aiutare a capire. A fronte di una popolazione di 23 milioni di abitanti, si calcola che in Siria siano fuggiti dalle loro case 7 milioni di persone tra sfollati interni (5milioni) e rifugiati (2milioni) registrati dalle Nazioni Unite nei campi profughi lungo il confine nei paesi limitrofi. Da un anno, siriani e palestinesi siriani hanno iniziato ad imbarcarsi per l’Italia, sulle vecchie rotte del contrabbando libico ed egiziano. Dal nostro paese poi, nella maggior parte dei casi, il loro viaggio continua verso i paesi del nord Europa o in Germania. Da gennaio ne sono arrivati 8.500. Possono sembrare tanti a chi va dicendo che l’Italia non può farsi carico dei mali del mondo. Ma in verità, sono poco più dello 0,1%, uno su mille, rispetto a quei 7 milioni di siriani fuggiti dalle loro case dall’inizio della guerra. Accoglierli dignitosamente sarebbe il minimo che l’Europa potrebbe fare, visto lo stallo totale dell’azione diplomatica dell’UE nel tentare di risolvere la guerra siriana.

Qual il ricordo per te più importante di questa esperienza?

Il ricordo più bello, come in ogni viaggio, sono i legami che restano. Sono i ragazzi del comitato civile di Ashrafiya, ad Aleppo, con i quali ho viaggiato. Li sento spesso su facebook. E questo dà il polso del giornalismo ai tempi dei social network, nel senso che scrivi le storie di amici che poi le leggono in tempo reale su google translate. È grazie a loro se ho fatto un viaggio in mezzo ai civili, senza essere embedded con nessuno esercito. Nessuno di loro era armato, perché credono nella nonviolenza, e hanno mantenuto il loro spirito critico. Sanno che il paese è andato, sanno di avere perso. Eppure, con la determinazione che è soltanto dei visionari e dei folli, hanno deciso di restare. Al rischio di morire per la propria gente, sapendo che la storia forse già domani li tradirà, ma che prima o poi la notte avrà fine, e arriverà la luce del giorno e si scriverà di loro che erano nel giusto.