di
Monica Macchi
Il
14 agosto
2003
Mahmoud
Abou
Zeid
un
fotoreporter
egiziano
noto anche
come
Shawkan
era al sit-in di
Rab'aa al
Adawiya
insieme ad altri colleghi tra cui il francese Louis
Jammes e
l’americano Mike Giglio.
Alle 8 di mattina la polizia ha attaccato la piazza per sgomberarla
picchiando ed arrestando tutti compresi giornalisti e fotoreporter
…dopo poco i giornalisti stranieri occidentali sono stati
rilasciati mentre Shawkan nonostante la macchina fotografica e il
tesserino della stampa è stato considerato un terrorista dei
Fratelli Musulmani e rinchiuso nella prigione di Abu Zabaal e
successivamente a Tora.
Non
sono serviti a nulla né le collaborazioni
con Time Magazine, Die Zeit, Media Group, e l'agenzia di foto online,
Demotix, né le testimonianze di altri fotoreporter sia egiziani che
internazionali, neppure la sua pagina Facebook che aveva nel profilo
la celebre frase di Cartier-Bresson “Fotografare
è mettere sulla stessa linea di mira testa, occhio e cuore. E’ un
modo di vivere” e
criticava le scelte politiche di Morsi e della Fratellanza.
Molti
hanno sostenuto iniziative per la sua liberazione, Avaz ha lanciato
petizioni on line, suo fratello Mohammed e i suoi amici hanno creato
una pagina Facebook, il 12 luglio c’è stata una protesta al Cairo
di fronte al sindacato dei giornalisti e Amnesty International l’ha
considerato un prigioniero di coscienza, perché tutto quello che
stava facendo quel giorno era il suo lavoro cioè scattare
fotografie.
Sherif
Mansour,
il
coordinatore
di CPJ per il Medio Oriente e il Nord Africa (un'organizzazione
indipendente
no-profit
che
promuove la
libertà di
stampa in
tutto il mondo
e
difende
il diritto
dei giornalisti
di riferire
la notizia
senza
timore di
rappresaglie) commentando il caso di Shawkan ha denunciato la
repressione
sui
giornalisti
in un Paese
politicamente
lacerato
diffondendo dati allarmanti: per il terzo anno consecutivo i
giornalisti arrestati sono più di 200.
Ecco cosa racconta Shawqan in una lettera pubblicata pochi giorni fa:
Sono
in carcere dal 14 agosto 2013 senza alcuna accusa formale: la mia
detenzione viene rinnovata ogni 45 giorni e in tutto questo tempo
sono stato interrogato una sola volta; alle autorità sono stati dati
tutti i documenti e le prove che confermano che sono un fotoreporter
comprese la mia macchina fotografica e le testimonianze di colleghi
ma sono state del tutto ignorate. Ho assistito al rilascio di oltre
la metà dei prigionieri che erano con me, tra cui il corrispondente
di Al Jazeera Abdullah al-Shami: in Egitto i giornalisti vengono
uccisi, rapiti, arrestati, picchiati, minacciati e torturati.
Voglio
mostrarvi un po’ della mia vita, della cella di 3 metri per 4 in
cui stiamo in dodici e che non è adatta nemmeno ad essere una gabbia
per animali. In questi 12 metri cuciniamo, mangiamo, preghiamo,
dormiamo e usiamo il bagno e ognuno può sentire ciò che accade lì
dentro…. Siamo derubati non solo della nostra libertà, ma anche
della nostra dignità nella più elementare delle funzioni.
Voglio
raccontarvi
le voci dei
piccioni e
passeri
e di come
rinnovano
la mia
speranza di
vita
e di
sopravvivenza
anche se i miei sogni stanno diventando stretti come questo buco
nero, uccisi e distrutti dal mio amato Paese. Voglio
farvi
conoscere
la mia
frustrazione
e delusione
tra
queste quattro
maledette
pareti, le
più brutte
che abbia
visto in
vita mia e
di come dormo
sul pavimento anche
fino a 13
o,a volte,
14 ore
al giorno,
per cercare di sfuggire loro.
E
a voi, ora
che sapete
di
me,
chiedo di non abbandonarmi
perchè
sono
un
fotoreporter,
non
un
criminale.
Mahmoud
Abou
Zeid,
alias Shawkan