Shirin
Fazel Ramzanali è nata a Mogadiscio; ha studiato nelle scuole
italiane della Somalia, agli inizi degli anni '70, e poi si è
trasferita in Italia, con la sua famiglia, per fuggire dal regime
dittatoriale di Siad Barre. Nel 1994 ha scritto un libro, diventato
un testo fondamentale per parlare di colonialismo e primo vero
esempio di letteratura italiana della migrazione.
Un
testo che narra la Storia attraverso uno stile "meticcio":
spunti, considerazioni, note biografiche, riflessioni politiche. Un
libro diviso in sei parti: la prima incentrata sulla Somalia un Paese
che, come scrive l'autrice: "Un tempo era il Paese delle
favole"; nella seconda parte predomina l'aspetto autobiografico
con la diffidenza, da aprte degli italiani, nei confronti di chi
aveva il colore della pelle più scuro; poi la scrittrice racconta i
viaggi all'estero a fianco del marito e, nella quarta parte, riporta
la brutalità della guerra civile in Somalia per riprendere
l'argomento nella sezione successiva in cui spiega come il suo Paese
d'origine sia stato sfruttato dalle superpotenze occidentali. La
scrittrice, infine, racconta l'inserimento nella società italiana.
Lontano
da Mogadiscio torna in versione e-book e in edizione bilingue
(italiano e inglese) ed è arricchito da una postfazione di Simone
Brioni.
Abbiamo
intervistato per voi Shirin Fazel Ramzanali che ringraziamo
tantissimo per la sua disponibilità
Shirin Fazel Ramzanali |
Perchè la decisione di far uscire di nuovo il libro, apparso nel 1994, come primo testo di letteratura post-coloniale?
Lontano da Mogadiscio, a distanza di vent’anni è un libro vivo, fa discutere su temi importanti. E’stato usato e lo usano tuttora nella sezione di Italianistica in molte università. Purtroppo il cartaceo, dopo un numero di anni, va fuori stampa e diventa introvabile. La nuova versione è bilingue, italiano-inglese; ed il fatto che è in formato e-book lo rende reperibile ad un’ampia cerchia di lettori internazionali.
E’ una opportunità per i giovani (italiani e somali) che vorranno leggerlo, scoprire che Mogadiscio un tempo poteva sembrare una città di provincia italiana. Si tende a guardare il presente senza riflettere sul passato, dimenticando molto spesso che il fenomeno dell’immigrazione è in parte anche legato ad un passato coloniale di molte nazioni europee.
La versione inglese è tradotta da me. Alcuni brani li ho riscritti, per cercare di trasmettere le emozioni del momento. Questa riscrittura sicuramente darà una nuova chiave di lettura al testo.
Nei capitoli inediti parlo delle mie esperienze degli ultimi decenni maturate durante le mie permanenze in paesi diversi, racconto di luoghi come la città inglese di Birmingham dove risiede una folta comunità di somali. Sono a contatto con la diaspora e consapevole di tutte le problematiche e difficoltà che si trascina dietro. Inoltre, osservo e racconto con distacco questa Italia che sta cambiando volto, ma ahimè attuando anche nuove sottili forme di discriminazione.
Che cosa è cambiato, a distanza di vent'anni, nel suo Paese d'origine?
Ci può raccontare quali sono state le difficoltà durante il suo inserimento nella società italiana?
Io sono arrivata in Italia nei primi anni settanta già come cittadina italiana. Avendo frequentato le scuole italiane, ed essendo bilingue sin da bambina, non ho avuto barriere a livello linguistico. Venendo però da una città multiculturale, mi sono dovuta adattare ad una città provinciale italiana che prima di allora non aveva avuto contatti con persone di provenienza africana. Ho subìto sguardi di gente curiosa, che mi rivolgeva domande imbarazzanti. Non è bello sentirsi osservata come un fenomeno di baraccone.
Qual è il suo rapporto con l'Italia e con gli italiani, oggi?
L’Italia è il mio paese, ho vissuto i cambiamenti politici e sociali degli ultimi quaranta anni. I miei genitori sono sepolti qui. I miei figli e nipoti sono nati in questa terra . Mi sento inserita, vivo e partecipo i problemi che tutti i cittadini affrontano. Il mio rapporto con l’Italia di oggi è quello che vivono un po’ tutti. Anche se vivo all’estero, grazie alla tv satellitare e le varie risorse che la tecnologia ci offre, sono quotidianamente in contatto con la realtà italiana. Sono estremamente delusa da una classe politica che ha portato il paese allo sfascio, nonostante gli enormi sacrifici imposti alle famiglie italiane, nonostante le continue vessazioni subite dai piccoli imprenditori che sono la linfa vitale dell’economia italiana e malgrado il lavoro umile degli immigrati che con i loro sacrifici tengono a galla numerosi settori e contribuiscono fattivamente alla formazione del Pil. Vorrei finalmente al governo delle persone veramente capaci, in sintonia con il popolo e che avessero come priorità il benessere dell’Italia. In altre parole io, tutti noi vogliamo assistere ad un cambiamento positivo nella gestione della cosa pubblica.
Come italiana di origine somala, sono delusa del fatto che il governo italiano ha fatto troppo poco per accogliere i rifugiati somali. Come persona migrante sono indignata che
gli immigrati vengano penalizzati da leggi che non tutelano la loro dignità di persona o di cittadini.
Il mio rapporto vis-à-vis con gli italiani è di vecchia data, gli ho avuti come compagni dai tempi dell’asilo. “Ragazzi” con cui sono a contatto ancora oggi. Tra gli italiani ho amici, conoscenti e persone che stimo moltissimo. Conosco e scambio quattro chiacchiere con le persone che abitano nel mio quartiere. Ho un rapporto di confidenza con i miei vicini, ci beviamo un tè insieme. Io non mi creo barriere mentali.
Secondo lei, gli italiani hanno cambiato mentalità o permangono pregiudizi consolidati nei confronti degli stranieri?
Non mi piace generalizzare. Sparsi come formiche, per tutto il territorio italiano c’e il lavoro di migliaia di persone che ogni giorno si danno da fare per costruire una società sana e priva di pregiudizi.
Purtroppo sui media vanno a finire soltanto gli episodi di intolleranza e razzismo più eclatanti, ma riportati in una prospettiva che invece di condannarli senza possibilità di appello innescano piuttosto sterili polemiche che si trascinano inutilmente per settimane. Ci sono i politici che usano questo tipo di propaganda per fini elettorali. Di conseguenza l’uomo comune si lascia trascinare in questo vortice che non fa altro che alzare il livello di scontro e aumentare le paure per “l’altro”. Quello che secondo me deve cambiare nella nostra società è di dare spazio alla meritocrazia. Leggi che tutelano gli immigrati facendoli sentire anche politicamente parte del territorio in cui vivono. Non ghettizzarli. Riconoscere come cittadini italiani i ragazzi nati e cresciuti nel nostro paese, che in effetti sono italiani.
Che senso ha dire ad un giovane di pelle scura, nato e cresciuto in Italia di tornare al suo paese?
Solo quando una società dà pari opportunità ai propri cittadini allora cambia il modo di pensare, il modo di percepire l’altro.
Non si può credere di avere dei privilegi solo perché si è bianchi.
Non scordiamoci che la ricchezza dell’ Europa è costruita dallo sfruttamento di risorse primarie che provengono da paesi etichettati “poveri”.