Per la
maggior parte sono giovani, alcuni italiani e molti stranieri
provenienti dal Nord Africa, dall'America latina, dall'Europa
dell'Est: sono i detenuti del carcere di Bollate che hanno avuto
l'opportunità di fotografare e di farsi ritrarre grazie ad un corso
tenuto, tra il 2009 e il 2013, da Rodolfo Tradardi e Mariagrazia
Pumo.
Il
carcere di Bollate è riconosciuto, da sempre, come una tappa
fondamentale per un percorso esistenziale riabilitativo: molte,
infatti, le attività proposte ai detenuti, attività offerte
nell'ambito di progetti rieducativi. In questo caso il corso di
fotografia rientra in un'idea realizzata dalla Cooperativa Articolo 3
in accordo con la Direzione dell'istituto penitenziario.
I
partecipanti al progetto si trovano nel cosiddetto “ Reparto a
Trattamento Avanzato”, nel quarto reparto e sono persone già
consapevoli del percorso – di pena, ma soprattutto umano – che si
trovano a dover affrontare e sono responsabili nel farlo. Ecco,
quindi, che il mezzo fotografico diventa uno strumento di scelta: una
scelta di contenuto, una scelta di estetica, una scelta etico-morale.
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La
fotografia diventa, così, uno specchio su cui proiettare sentimenti
e sensazioni, paure e desideri. Volti malinconici o, a tratti,
gioiosi; lo spazio della palestra come ring della sfida per la
ricostruzione di sé e dell'autostima; le riprese originali di alcuni
oggetti che, in cella, diventano “altro” per sopravvivenza, per
necessità; angolature ricercate e luci originali per restituire
poesia, mescolata alla realtà anche di un luogo tanto ristretto.
Tutto
questo e molto altro nelle immagini dei detenuti che scattano e si
ri-scattano, nell'attesa e nella speranza di recuparare la libertà
fisica, dopo quella mentale regalata, per un po', dall'obiettivo di
una macchina fotografica.