lunedì 9 dicembre 2013

Morire di lavoro




Prato, 2013: un capannone-dormitorio per un gruppo di persone di nazionalità cinese si è trasformato in un inferno.
Il capannone era adibito a fabbrica tessile, in cui non veniva osservata alcuna misura di sicurezza: “una tragedia annunciata”, come ha sostenuto il sindaco della città, Roberto Cenni.
Restano pezzi di macchine da cucire e tessuti bruciati, stendini e vetri rotti. Ma resta, soprattutto, la vergogna e l'indignazione per quei sette operai che hanno perso la vita nel rogo, sette persone, emblema degli schiavi contemporanei, vittime di un sistema economico e di un mercato sempre più aggressivi che pretendono produttività e non concedono tutele.
A distanza di pochi giorni dal dramma, l'unico corpo identificato è quello di un irregolare e anche questo mette in luce un problema irrisolto e complesso, la questione che riguarda il lagame tra la possibilità, per gli immigrati, di ottenere un permesso di soggiorno e un lavoro in regola.
Le parole del Procuratore che sta seguendo l'inchiesta, Piero Tony, sottolineano la gravità e le criticità che stanno alla base dell'accaduto: “ La maggior parte delle aziende sono organizzate così: è il far west. I controlli sulla sicurezza e su ciò che è collegabile al lavoro, nonostante l'impegno delle amministrazioni e delle forze dell'ordine, sono insufficienti. Siamo sottodimensionati: noi come struttura burocatica siamo tarati su una città che non esiste più, una città di 30 anni fa”.
I reati contestati al proprietario italiano della fabbrica abusiva, ad oggi, sono: disastro colposo, omicidio colposo plurimo, omissione di norme di sicurezza e sfruttamento di manodopera clandestina. Gli operai lavoravano, ovviamente sottopagati, nel capannone, ma ci vivevano anche: ammassati in un soppalco, suddiviso in piccole stanze con pareti in cartongesso. E qui c'era anche un bambino di quattro anni che è riuscito a fuggire insieme ai genitori. Se questo è il modo di tutelare la dignità della vita, se questo è il modo di accogliere i migranti, se questo vuol dire essere un Paese civile, come tante, troppe volte è stato scritto...