Prato,
2013: un capannone-dormitorio per un gruppo di persone di nazionalità
cinese si è trasformato in un inferno.
Il
capannone era adibito a fabbrica tessile, in cui non veniva osservata
alcuna misura di sicurezza: “una tragedia annunciata”, come ha
sostenuto il sindaco della città, Roberto Cenni.
Restano
pezzi di macchine da cucire e tessuti bruciati, stendini e vetri
rotti. Ma resta, soprattutto, la vergogna e l'indignazione per quei
sette operai che hanno perso la vita nel rogo, sette persone, emblema
degli schiavi contemporanei, vittime di un sistema economico e di un
mercato sempre più aggressivi che pretendono produttività e non
concedono tutele.
A
distanza di pochi giorni dal dramma, l'unico corpo identificato è
quello di un irregolare e anche questo mette in luce un problema
irrisolto e complesso, la questione che riguarda il lagame tra la
possibilità, per gli immigrati, di ottenere un permesso di soggiorno
e un lavoro in regola.
Le
parole del Procuratore che sta seguendo l'inchiesta, Piero Tony,
sottolineano la gravità e le criticità che stanno alla base
dell'accaduto: “ La maggior parte delle aziende sono organizzate
così: è il far west. I controlli sulla sicurezza e su ciò che è
collegabile al lavoro, nonostante l'impegno delle amministrazioni e
delle forze dell'ordine, sono insufficienti. Siamo sottodimensionati:
noi come struttura burocatica siamo tarati su una città che non
esiste più, una città di 30 anni fa”.
I reati
contestati al proprietario italiano della fabbrica abusiva, ad oggi,
sono: disastro colposo, omicidio colposo plurimo, omissione di norme
di sicurezza e sfruttamento di manodopera clandestina. Gli operai
lavoravano, ovviamente sottopagati, nel capannone, ma ci vivevano
anche: ammassati in un soppalco, suddiviso in piccole stanze con
pareti in cartongesso. E qui c'era anche un bambino di quattro anni
che è riuscito a fuggire insieme ai genitori. Se questo è il modo
di tutelare la dignità della vita, se questo è il modo di
accogliere i migranti, se questo vuol dire essere un Paese civile,
come tante, troppe volte è stato scritto...