La globalizzazione fa
viaggiare anche le merci e, tra queste, i prodotti alimentari; ma se
siamo ghiotti di piccoli crostacei, al momento dell'acquisto,
guardiamo da dove provengono e facciamo una riflessione.
La Thailandia è il Paese
leader mondiale nell'esportazione dei gamberi perchè ne produce una grandissima
quantità e perchè i gamberi Thai sono più
convenienti di quelli di
altri Paesi. Ma per questo c'è una spiegazione.
Un documentario trasmesso
dal servizio pubblico statunitense - a cui ha fatto seguito una serie di
indagini - dimostra che l'industria del gambero sfrutta il
lavoro migrante minorile.
Secondo i dati
ufficiali solo 150 su 700 operatori di pesce primari sono registrati
presso il Ministero e le grandi fabbriche basano il loro guadagno
sulle centinaia di capannoni in cui lavorano bambini che provengono
dal Myanmar. Perchè proprio loro? Perchè
vengono percepiti come una minaccia alla sicurezza
nazionale, diventando, per
questo, vittime di un pregiudizio etnico.
Le statistiche
rilevate dal Labour Rights Promotion Network (e riportate anche da
Altroconsumo, dicembre 2013), dicono che il 19% dei minori sfruttati ha meno di
15 anni e il 22% ha tra i 15 e i 22 anni. Sono costretti a sgusciare
gamberi per dodici ore al giorno, chiusi nei capannoni sporchi e
soggetti a sostanze chimiche dannose; spesso subiscono maltrattamenti
fisici da parte dei caporali e la confisca dei documenti;
sono stati, inoltre, riscontrati anche casi di estorsione da parte
dei poliziotti. Questa situazione non riguarda solo il settore della
pesca, ma anche quello dell'edilizia, dell'agricoltura e
dell'abbigliamento dove sono
impiegate, come moderni
schiavi, migliaia di persone, tra giovani e adulti.
Ancora più serio il
problema quando si tratta di bambini e adolescenti che, anche
secondo la legge thailandese, dovrebbero vedersi assicurato il
diritto ad un'istruzione gratuita e
obbligatoria e che, invece, si ritrovano a sopravvivere in
condizioni terribili.
Il problema è ora
monitorato dal governo degli Stati Uniti che ha trasformato il
“Rapporto sul traffico di persone” in uno strumento diplomatico
per avvertire Bangkok che questo traffico deve terminare e, se
la Thailandia non dovesse dimostrare la volontà di
cambiamento, le conseguenze a livello diplomatico ed economico sarebbero
importanti anche perchè verrebbe equiparata, in termini di
violazione dei diritti umani, alla Corea del Nord e all'Iran.