Mohamed
Ba, accoltellato da uno sconosciuto mentre aspettava un autobus in
pieno centro, a Milano; Mor Sougou e Cheike Mbengue, feriti
gravemente a Firenze, nel 2011, in occasione dell'eccidio di Piazza
Dalmazia; e poi ancora due persone uccise. Queste sono le storie di
chi è sopravvissuto ad episodi di violenza ingiustificata e
ingiustificabile, esperienze e testimonianze raccolte nel film Và
pensiero. Storie ambulanti di
Dagmawi Yimer, presentato nei
giorni scorsi a Bologna e prodotto da Amm-Archivio delle memorie
migranti. Un film importante per mantenere viva la memoria su fatti
recenti e per continuare un approfondimento sui temi
dell'immigrazione e del razzismo. Un fenomeno questo che può far
paura o far torcere il naso a qualcuno ma che, in forme più o meno
sottili, serpeggia ancora nella società italiana, una società che,
come può ricordare il titolo del film con un omaggio a Giuseppe
Verdi, dovrebbe essere ricca di Cultura e la Cultura dovrebbe aprire
la mentalità.
Il
regista, rifugiato dall'Etiopia, vuole raccontare al pubblico la
violenza attraverso la voce e le emozioni di chi l'ha subita sulla
propria pelle a causa del colore di quella pelle. E l'intento è
duplice: far uscire le vittime dall'anonimato e far capire che,
dietro ai corpi e ai volti, ci sono degli uomini e tutti gli esseri
umani sono uguali.
Il film
parte da un fatto di cronaca: l'11 dicembre 2011 Gianluca Casseri,
estremista di destra, spara e uccide quelli che, su molti organi di
stampa, vengono definiti genericamente “due immigrati senegalesi”:
Yimer, invece, li fa conoscere attraverso il loro nome e cognome per
dare sostanza e dignità alle loro vite a alla loro morte: Diop Mor
che ha lasciato un bambino che, all'epoca, aveva sei anni e Sam Modu,
40 anni che lavorava in Italia per mandare i soldi in Senegal, dove
vive sua figlia tredicenne che lui non aveva mai conosciuto.
Mohamed
Ba, ferito nel 2009 e sopravvissuto ad un accoltellamento, racconta
che la ferita ancora più dolorosa (e probabilmente inguaribile) gli
è stata inflitta dall'indifferenza delle persone che, al momento
dell'aggressione, hanno fatto finta di niente e delle istituzioni
che, in seguito all'accaduto, non hanno dato alcun segnale. Un uomo
con la testa rasata gli si avvicina e dice “Qui c'è qualcosa che
non va” e Mohamed risponde: “No, non c'è niente che non va, è
una spledida giornata di sole”. L'uomo estrae il coltello e gli
affonda la lama nello stomaco. Non contento, quando Mohamed cade a
terra, gli sputa addosso. E ancora: Moustafa Dieng, a causa
dell'aggressione di Casseri, ha perso l'uso delle gambe e ora vive in
centro per disabili per seguire corsi di riabilitazione senza, però,
riuscire a riprendere a lavorare.
Queste
quattro persone sono due volte vittime, secondo il regista: vittime
dell'odio cieco e ottuso, ma vittime anche della stampa e dei mezzi
di informazione che invece di mettere al centro della notizia le
conseguenze per gli stranieri aggrediti, hanno scelto di parlare (e
di accandere i riflettori) sui delinquenti. Questo film vuole
ristabilire un giusto equilibrio e una corretta prospettiva
nell'analisi dei fatti.