martedì 17 dicembre 2013

Và pensiero. Storie ambulanti, il nuovo film di Dagmawi Yimer


Mohamed Ba, accoltellato da uno sconosciuto mentre aspettava un autobus in pieno centro, a Milano; Mor Sougou e Cheike Mbengue, feriti gravemente a Firenze, nel 2011, in occasione dell'eccidio di Piazza Dalmazia; e poi ancora due persone uccise. Queste sono le storie di chi è sopravvissuto ad episodi di violenza ingiustificata e ingiustificabile, esperienze e testimonianze raccolte nel film Và pensiero. Storie ambulanti di Dagmawi Yimer, presentato nei giorni scorsi a Bologna e prodotto da Amm-Archivio delle memorie migranti. Un film importante per mantenere viva la memoria su fatti recenti e per continuare un approfondimento sui temi dell'immigrazione e del razzismo. Un fenomeno questo che può far paura o far torcere il naso a qualcuno ma che, in forme più o meno sottili, serpeggia ancora nella società italiana, una società che, come può ricordare il titolo del film con un omaggio a Giuseppe Verdi, dovrebbe essere ricca di Cultura e la Cultura dovrebbe aprire la mentalità.
Il regista, rifugiato dall'Etiopia, vuole raccontare al pubblico la violenza attraverso la voce e le emozioni di chi l'ha subita sulla propria pelle a causa del colore di quella pelle. E l'intento è duplice: far uscire le vittime dall'anonimato e far capire che, dietro ai corpi e ai volti, ci sono degli uomini e tutti gli esseri umani sono uguali.
Il film parte da un fatto di cronaca: l'11 dicembre 2011 Gianluca Casseri, estremista di destra, spara e uccide quelli che, su molti organi di stampa, vengono definiti genericamente “due immigrati senegalesi”: Yimer, invece, li fa conoscere attraverso il loro nome e cognome per dare sostanza e dignità alle loro vite a alla loro morte: Diop Mor che ha lasciato un bambino che, all'epoca, aveva sei anni e Sam Modu, 40 anni che lavorava in Italia per mandare i soldi in Senegal, dove vive sua figlia tredicenne che lui non aveva mai conosciuto.
Mohamed Ba, ferito nel 2009 e sopravvissuto ad un accoltellamento, racconta che la ferita ancora più dolorosa (e probabilmente inguaribile) gli è stata inflitta dall'indifferenza delle persone che, al momento dell'aggressione, hanno fatto finta di niente e delle istituzioni che, in seguito all'accaduto, non hanno dato alcun segnale. Un uomo con la testa rasata gli si avvicina e dice “Qui c'è qualcosa che non va” e Mohamed risponde: “No, non c'è niente che non va, è una spledida giornata di sole”. L'uomo estrae il coltello e gli affonda la lama nello stomaco. Non contento, quando Mohamed cade a terra, gli sputa addosso. E ancora: Moustafa Dieng, a causa dell'aggressione di Casseri, ha perso l'uso delle gambe e ora vive in centro per disabili per seguire corsi di riabilitazione senza, però, riuscire a riprendere a lavorare.
Queste quattro persone sono due volte vittime, secondo il regista: vittime dell'odio cieco e ottuso, ma vittime anche della stampa e dei mezzi di informazione che invece di mettere al centro della notizia le conseguenze per gli stranieri aggrediti, hanno scelto di parlare (e di accandere i riflettori) sui delinquenti. Questo film vuole ristabilire un giusto equilibrio e una corretta prospettiva nell'analisi dei fatti.